domenica 25 ottobre 2015

UN POSTO FUORI DAL COMUNE: CIVITELLA DEL TRONTO

Quella di Civitella del Tronto è proprio una storia particolare, di quelle che ci piacciono per due motivi: uno, che una storia dimenticata - abbiamo un'insana passione per le cose dimenticate - e l'altra... boh, l'altra non ci viene in mente; forse è solo la passione per le cose dimenticate, moltiplicata per due.
Beh, dimenticata lontano da qui, perchè qui è come essere ancora sotto il regno dei Borboni.
Perchè Civitella del Tronto (provincia di Teramo) è stata l'ultimo baluardo del regno delle Due Sicilie, e la guarnigione si arrese ai soldati "piemontesi", due giorni dopo che Vittorio Emanuele I, fu nominato Re d'Italia.
Si, due giorni dopo, non due giorni prima - che sarebbe stato già abbastanza!
Questo voleva dirci crederci per davvero.
Anzi, ci credono ancora: pensate che non è infrequente trovare  nei negozi, il ritratto di Franceschiello, ovvero Francesco II, l'ultimo dei Borbone, a cui la fortezza rimase fedele fino oltre l'evidenza.
Del resto gli abitanti di Civitella sono famosi per la loro fedeltà: prima di far parte del regno Borbonico, la città resistette eroicamente nel 1557 all'attacco del Duca di Guisa,e per questo fu esentata dal pagamento delle tasse per 40 anni, oltre ad essere appellata come "Fedelissima" dal Re di Spagna.
Come se mancassero le attrattive per questo borgo, al suo interno si trova la strada più stretta d'Italia, la "ruetta", un ripida e strettissima scalinata che porta verso la Fortezza.

Un discorso a parte merita questa famosa Fortezza, che sorge sullo sperone roccioso che domina la città.

Quando siamo andati a visitarla, pensavamo di trovare il solito altipiano, con qualche vecchia fortificazione e qualche metro di pavimento antico.
Invece abbiamo visto una vera fortezza aragonese, ottimamente restaurata - sempre pensando che per un lungo periodo ha rappresentato la cava di pietra della zona - e ben presentata.
Superfluo dire che dalla fortezza, situata a circa 600 metri sul livello del mare, si gode di un panorama assolutamente mozzafiato, che va dai monti Sibillini al mare, passando da una campagna che sembra disegnata, tanto è bella.

La fortezza era un caposaldo del Regno delle Due Sicilie, essendo Civitella al confine con lo Stato della Chiesa.
Rappresenta una delle opere di ingegneria miliare più importanti dell'Italia meridionale, ed è certamente una delle più estese d'Europa.
La zona è sempre stata di confine; cambiava il nome degli stati, ma di questa fortezza si hanno notizie fin dall'anno mille (cioè quando è stato cominciato a tenere registri scritti, in definitiva) quindi in periodo svevo, ma la fortezza nella sua estensione e potenza, si riconduce alla dominazione degli Aragonesi, nel 1442 strapparono il Castello ai D'Angiò, che comunque avevano dato già un'impronta importante alla fortezza.
Gli Aragonesi svilupparono ed accorparono le varie costruzioni preesitenti in una pianta ellittica che ricopre completamente la sommità rocciosa.

E' realizzata in travertino, la pietra del luogo, e si compone di varie piazze d'armi. camminamenti coperti e scoperti, e di tutti gli annessi necessari al funzionamento di un struttura così imponente: alloggi, cisterne, stalle, chiese, forni per il pane e... celle di punizione come il "Calabozzo del Coccodrilli", una tetra stanza in cui, forse per sdrammatizzarla un po', hanno collocato questa strana statua.

La Fortezza non ebbe sempre un buon rapporto con gli abitanti del paese, se è vero - come è vero - che nel 1495 furono distrutte quattro delle cinque torri, proprio dagli abitanti di Civitella, stufi delle angherie e delle sopraffazioni dei militari.
I Borboni arrivarono nel 1734, sostituendo gli Asburgo, che nel frattempo si erano avvicendati; la fortezza subì grossi danni nel periodo napoleonico, e fu completamente restaurata dai Borboni nel 1820, mantenendo però il proprio impianto rinascimentale.

Come già detto, dopo l'Unità d'Italia la fortezza subì un forte degrado. Solo un centinaio di anni dopo, tra il 1975 e il 1985 fu deciso di recuperarla e restaurarla.
In fondo alla strada dove si trovavano gli alloggi e le stalle, è stato creato un museo delle armi, dove ampio spazio viene dedicato alla cultura borbonica, ed ai suoi confronti con quella "piemontese", e dove quest'ultima ne esce piuttosto malconcia.

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domenica 18 ottobre 2015

IN VIAGGIO SU UNA LINEA FERROVIARIA SECONDARIA

Quando si tratta di cercare cose vecchie e dimenticate, la nostra fantasia si scatena.
Noi che siamo abituati da sempre a muoversi con mezzi propri, perchè che non ci piace dipendere da orari e coincidenze, abbiamo deciso di fare un viaggetto su una linea ferroviaria che è nata secondaria: La Faentina.
Il percorso della Faentina, sarebbe quello più semplice e meno aspro tra i vari valichi appenninici tra Toscana ed Emilia Romagna.
Invece, quando fu inaugurata nel 1893 era già una linea secondaria, superata in importanza dalla Porrettana, inaugurata nella sua intierezza nel 1864, la quale  doveva superare dislivelli assai più elevati, e con pendenza percentualmente superiori, per  una lunghezza complessiva assai simile.
La Porrettana, nata a binario unico, si dimostrò subito inadeguata al suo ruolo di asse viario principale transappenninico.
Si dovette aspettare il 1934 perchè si inaugurasse la ferrovia Direttissima, che con una pendenza assai inferiore, attraversando le valli del Bisenzio e del Setta, portava direttamente a Bologna via Prato, tramite un capolavoro dell'ingegneria di allora come la Grande Galleria dell'Appennino, lunga ben 18.032 metri.
Solo recentemente la Direttissima è stata sopravanzata in importanza dalla Linea Alta Velocità, facendo scendere ancora un gradino di importanza alla Ferrovia Faentina, che sin dall'inizio fu destinata ad un uso prettamente locale e di transito merci.
La Seconda Guerra Mondiale quasi distrusse questa tratta, che era considerata così poco importante che fu riattivata solo nel 1957; e comunque i binari si fermavano a San Piero a Sieve.
Era possibile raggiungere Firenze solo dalla diramazione per Pontassieve, che però era di percorrenza lunga e poco agevole a causa del regresso (cioè dell'inversione di marcia della motrice) necessario alla percorrenza della tratta, che era a binario unico.
Il percorso  completo è stata riaperto, come contropartita richiesta dagli enti locali alla realizzazione della linea ad alta velocità, solo nel 1999.
Comunque si tratta di una linea non elettrificata, e le motrici sono diesel!
In pratica un autobus su rotaie, per condurre il quale c'è bisogno di una patente ferroviaria speciale.

Ma veniamo al nostro viaggio.
Sapevamo che il percorso era poco frequentato, ma quando l'abbiamo percorso noi - ma era agosto - abbiamo visto le carrozze quasi piene, con un certo traffico locale - una fermata o due - che testimonia il suo utilizzo quasi come un tranvia.

Appena usciti dalla Stazione di Santa Maria Novella, il paesaggio si apre in tutta la sua bellezza, portandoci velocemente a Fiesole prima e a Vaglia poi.
Da San Piero a Sieve in poi si comincia ad avvertire la pendenza, e dopo Borgo San Lorenzo le gallerie si susseguono, sino ad arrivare , dopo la stazione abbandonata di Fornello (vedi link) al valico che culmina della Galleria dell'Appennino detta "degli Allocchi" - chissà da dove è venuto fuori questo nome - che rappresenta il punto più alto con i suoi 578 metri, dopodichè si passa da Crespino del Lamone,  e dopo la stazione di Marradi, si entra in Romagna.
Già a Fognano il paesaggio si apre, nelle ampie vallate e nei caratteristici calanchi che ci portano a Brisighella, e, ormai in pianura, a Faenza.

E' questa una piacevolissima cittadina,  di cui parleremo in un post a parte, perchè proprio lo merita.
E' un viaggetto molto carino, e poi qui non si devono fare le corse per prendere coincidenze o cambiare treno. Si va da A a B, e basta.: niente stress quando si sale sulle carrozze, che sono tutte di seconda, ma molto decorose.
Certo, c'è il traffico locale di cui parlavamo prima, ma del resto una linea come questa, che è un autobus su rotaie, vive anche di quello.
E poi nei viaggi in treno la cosa veramente interessante, è la gente: a maggior ragione per noi che, come dicevamo all'inizio, predilegiamo spostarci con mezzi propri - e quindi non siamo abituati a mescolarci a questa varia umanità!
La signora elegante, chiaramente una viaggiatrice abituale, che ha passato tutto il viaggio, quasi due ore, leggendo delle riviste.
Il ragazzo che aveva con sè due scatoloni, uno zaino e vari sacchetti, e che alla fine si è addormentato rumorosamente.
La famigliola con il bambino, la cui carrozzina non passava dal corridoio centrale del treno, e che si sono adattati a fare tutto il viaggio sugli strapuntini pur di non disturbare il pupo.
le turiste francesi un po' troppo poco vestite
le turiste giapponesi con calze, vestito, soprabito, cappello e guanti.
i vacanzieri in bermuda e sandali: euforici  quelli in partenza, un po' seccati,  con le valige al seguito, quelli al ritorno.
Un giovane prete in abito talare, una signora in tailleur e tacchi a spillo, turisti indiani, tutti con un cappellino con la Union Jack sopra, e sui quali ci siamo scervellati un po' per capire il nesso.
Divertente ed istruttivo!




domenica 11 ottobre 2015

IL MULINO DI PISPOLA E IL LANIFICIO ROMEI

Pispola era evidentemente un soprannome.
In realtà si chiamava Luigi Biagioli, e , altrettanto ovviamente, faceva il mugnaio.
Altrimenti che ci stava a fare, nel 1849, in un mulino?
La data importante è proprio questa, 26 agosto 1849.
Siamo a Cerbaia, nel comune di Cantagallo (PO).

Qui, il Pispola ospitò Giuseppe Garibaldi,con il suo luogotenente, in fuga dalla Romagna; da qui fu trasportato tramite un carro a Vaiano,e poi da qui a Prato, alla Stazione di Porta al Serraglio, dove potè continuare la sua fuga verso la Maremma.
Il povero Pispola non sapeva chi erano i due sconosciuti che si erano fermati lì per ripararsi da un temporale, e che lui si era solo offerto di ospitare.
Lo sapeva invece l'ingegner Enrico Sequi, direttore dei lavori per il rifacimento della strada maestra della vallata (l'attuale SS 325), che passava di lì per andare a caccia nei boschi.
Come dice la lapide infissa sopra alla porta - il mulino è tutt'ora abitato - la sua guancia era solcata dall'ambascia per la perduta Annita e poi : "quindi impari chi legge a non disperar mai per la patria".
E va beh, che dovevano scrivere su una targa commemorativa in marmo?!

Ma torniamo al nostro mulino, che è di costruzione databile intorno al XVII secolo.
Certo è diventato famoso per questo motivo, e perchè il Pispola, dopo aver passato i suoi guai per aver ospitato l'Eroe dei due mondi, per lo stesso motivo al momento dell'unità d'Italia, fu largamente ricompensato.
Tanto che potè mettere su una fabbrica tessile, alimentata dalle stesse acque che gli permettevano di svolgere il suo lavoro di mugnaio.
Erano le acque del Gricigliana che in quel punto si immettono nel Bisenzio; interessante esempio di due attività produttive che ricevono la forza motrice dallo stesso margone.
Lo stabilimento tessile è il più antico della Val di Bisenzio, risale al 1866,  ed è passato nelle mani di Cesare Romei nel 1869, che  ne fece un grosso stabilimento, con tutte le lavorazioni: carbonizzo, stracciatura, follatura, filatura e tessitura. Qui, nel 1870 fu installato il primo telaio meccanico del distretto tessile di Prato.
I discendenti di Pispola invece, continuarono l'attività molitoria e facevano anche il pane per gli operai della fabbrica.
Il lanificio dava lavoro a moltissimi operai ed era un fulcro vitale per la vita della Val di Bisenzio.

Non siamo riusciti a reperire la data in cui il lanificio Romei ha cessato l'attività, ma a vedere lo stato dei capannoni, non può essere passato moltissimo.
Sappiamo invece per certo, che il molino e il forno annesso, hanno smesso di funzionare intorno al 1952.


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domenica 4 ottobre 2015

IL DOLMEN DI PIETRA PERTUSA

I Dolmen sono tombe megalitiche, costituite da due o più pietre verticali piantate nel terreno e sormontate da un lastrone orizzontale, in uso presso popoli antichi tra la fine del quinto e la fine del terzo millenio avanti Cristo.
Tipo quelle di  Stonehenge, tanto per farvi capire di che si parla.
Numerosi i ritrovamenti fatti in Europa in partcolare modo in Gran Bretagna, Irlanda, Francia; Germania e penisola Iberica; in Italia le testimonianze più importanti sono in Sardegna, Sicilia e in Puglia.
Anche in Toscana è stata trovata, negli anni '60 del secolo scorso, una di queste sepolture sull' altopiano delle Pizzorne, in una zona chiamata Pietra Pertusa che era sede di un insediamento dei Liguri.
E i liguri chi erano?!  Un popolo pre-romano che abitava sulle montagne - perchè a quei tempi nella valle c'erano laghi e paludi (un ambientino un po' difficile) -  e che hanno avuto contatti con gli etruschi, tanto che sono stati ritrovati, nella stessa area,  dei pezzi di vasellame per così dire "di scambio" e che veniva usato come moneta.
Il sito si presenta invaso dalla vegetazione e il Dolmen, la cui lastra orizzontale si è spaccata (da cui il nome: pertusa significa infatti "spaccata"),  si presenta come un cumulo di massi; questo ci ha reso difficile l' identificazione del luogo - fra l'altro assolutamente non segnalato - ma con un po' di fortuna lo abbiamo trovato e questo ci ha fatto sentire dei veri  Indiana Jones.

Qui è visibile solo il  Dolmen.
Beh, sapevamo che ci doveva essere e quindi lo abbiamo identificato, ma un escursionista che nulla sapeva dell'aerea archeologica, ci sarebbe passato sopra senza manco accorgersene - ma gli altri oggetti ritrovati dallo scavo, sono conservati presso il museo di Villa Giunigi a Lucca.

L' altopiano delle Pizzorne è ricoperto da boschi di castagni, e in estate offre refrigerio ai gitanti, che qui non mancano davvero, e ai fortunati possessori di tante graziose casette situate intorno al prato centrale.
Nei pressi c'è anche una chiesetta, molto carina.

di impianto medioevale, costruita in pietra, e che conserva al suo interno un pregevole crocifisso.


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