domenica 25 marzo 2018

UN ACQUEDOTTO PER QUATTRO FONTANE.

La distribuzione dell'acqua, nelle città antiche, era sempre un grosso problema.
E l'istituzione di fontane pubbliche, con la conseguente creazione di un acquedotto che le alimentasse, era una spesa veramente considerevole, che era molto spesso sostenuta da qualche ente benefico, o da dei privati facoltosi che volevano che il loro nome fosse ricordato negli anni a venire, per la loro generosità e benevolenza nei confronti del popolo.
Prato non costituiva certo un 'eccezione.
Nel 1644 fu inaugurato il Condotto Reale delle Fonti, realizzato dagli architetti Alfonso Parigi e Ferdinando Tacca, su progetto di Bernardino Radi.
Questo acquedotto, fu realizzato prelevando le acque, pure e gradevoli dal punto organolettico, dalle fonti di Canneto, Filettole e Carteano, e fu finanziata dai Ceppi, insieme ad alcune facoltose famiglie cittadine, che ne approfittarono per allacciarsi alla conduttura e ottenere quindi un lusso inaudito per l'epoca: l'acqua corrente in casa.
Se possiamo condividere il punto di vista delle famiglie facoltose, ci rimane però un dubbio amletico: chi cavolo erano i Ceppi?
Bene, i Ceppi, o più esattamente Pia Casa dei Ceppi, era la più antica istituzione benefica della città di Prato.
Tutto nacque nel 1282, quando l'eminente Monte Turino de' Pugliesi, fondò il "Ceppo Vecchio". In seguito, alla morte del'altrettanto eminente cittadino pratese Francesco di Marco Datini, per sua precisa volontà testamentaria, nacque il cosiddetto "Ceppo Nuovo".
(certo, anche a noi si è accesa una lampadina in testa quando abbiamo sentito questi nomi, abbinandoli ai nomi di due strade del cento di Prato!)
Nel 1545, dopo il tragico evento del Sacco di Prato, allo scopo di venire in soccorso ai superstiti della brutalità della soldataglia spagnola, i due enti benefici vennero riuniti in un'unica associazione denominata "Casa Pia dei Ceppi dei Poveri di Prato".
Per inciso, l'istituzione si è chiamata così sino al 1890, poi ha subito varie trasformazioni ed aggiustamenti, ma è tuttora esistente con il nome di Fondazione Casa Pia dei Ceppi Onlus. 
Niente male: quando venne scoperta l'America, esisteva già da 210 anni!
Ma torniamo al nostro acquedotto.
L'acquedotto partiva - anzi, parte ancora . da due passi prima della Chiesa di San Paolo a Carteano, in un luogo di incredibile ed incontaminata bellezza, se si pensa che è ad un tiro di schioppo (e di calibro piccolo, un 12 diciamo) dalla città.
Pochi passi prima, troviamo un anonima costruzione con una porticina di ferro.
Ecco, quello è l'inizio del Condotto Reale.

Quei due passi che abbiamo evitato di fare in salita verso la chiesa, facciamoli in piano, e ci troviamo davanti ad un lavatoio seicentesco, ripulito e riportato in vita dal lavoro e dalla passione del gruppo archeologico Offerente di Prato.
Il condotto Reale porta l'acqua, tra l'altro, a quattro fontane molto famose del centro di Prato.
La prima è la fontana del Pescatorello in Piazza del Duomo.


Certo, lo sappiamo, nessuno la conosce con questo nome: per tutti è "la Fontana del Papero", anche se lo scultore non ha certo raffigurato dei paperi, ma dei cigni, ma i pratesi non stanno certo a sottilizzare sul tipo di volatile.
E poi comunque sono due.
Non si sa come mai nessuno ha mai considerato il pescatore che sta in cima alla fontana, tutti guardano solo i "paperi"
Una curiosità sulla collocazione di questa fontana, che è nel centro della piazza del Duomo, dalla metà dell'ottocento, come voleva la moda di allora.
La fontana precedente, opera di Ferdinando Tacca, era invece collocata nell'attuale Largo Carducci, quindi in posizione molto più defilata, e che permetteva quindi alla piazza di venire meglio utilizzata per la vita sociale e per le riunioni di popolo.
L'altra è la fontana più famosa di Prato, la "Fontana del Bacchino", in piazza del Comune, proprio davanti al Palazzo Pretorio.

Fu realizzata tra il 1659 ed il 1665 dallo scultore pratese Ferdinando Tacca, in occasione della proclamazione di Prato a "Città", cioè un centro urbano strutturato, mentre sino ad allora era considerata "Terra", vale a dire un centro agricolo.
La figura di questo Bacco, giovane e allegro, (da cui il nome "Bacchino")  emerge dai grappoli, da cui escono zampilli d'acqua che , che scendono nella conchiglia intermedia, e di lì nella vasca ottagonale, da cui poi esce in quattro vaschette semicircolari.
Nel XIX° secolo fu inaugurato l'uso di rinfrescarci dentro dei cocomeri, da donare alla popolazione assetata nel giorno del 15 agosto.
La tradizione continua tutt'ora, anche se pare che a beneficiarne sia più che altro la comunità cinese, che notoriamente non va in ferie in agosto.
Altra fontana alimentata dal Condotto Reale è la "Fontana dei Delfini" in Piazza San Francesco.

Se la Fontana del Pescatorello è in marmo, quella del Bacchino in bronzo, (e comunque quella in piazza del Comune è una copia, perchè l'originale si trova all'interno del palazzo Pretorio) la Fontana dei Delfini è in arenaria, ed anche questa è una copia.
Ma l'originale non esiste, perchè la Fontana dei Delfini", che era stata progettata e costruita sempre dal Tacca, più o meno nel periodo di quella del Bacchino, ma con committenti molto meno forniti di denaro.
Lui infatti consigliava di fare la fontana in marmo, un materiale assai durevole, ma anche molto costoso.
Invece chi pagava aveva i soldi solo per farla in pietra arenaria, che è un materiale assai meno resistente. 
Infatti, la fontana era così malridotta nel negli anni '30 del secolo scorso fu completamente rifatta; quindi quella che vediamo adesso è una copia novecentesca. E a voler far bene ci sarebbe da rifarla di nuovo, perchè l'inquinamento ha pesantemente rovinato l'arenaria in cui era costruita la copia.
Forse, volendo rifarla adesso, si potrebbe pensare di seguire le indicazioni originali del Tacca, una buona volta!
(ma i tempi, ahimè, non sono migliorati dal 1665...)
Ultima fontana alimentata dal Condotto Reale: la "Fontana del Maghero"

E qui vi volevamo. 
Siamo convinti che quasi nessuno la conosce con il suo nome, e quindi è difficile collocarla. Ma vi risparmieremo un mal di testa, dicendovi subito che si trova sul Mercatale, alla congiunzione tra via de' Saponai e via Garibaldi.
A vederla ha un'aria molto dimessa, per decenni non buttava più acqua.
L'avevano riparata, ma adesso è di nuovo spenta.
Sembra più un abbeveratoio per animali che una fontana, ed infatti solo nel 1966 sono state tolte le inferriate che impedivano ai cavalli o agli asini di avvicinarsi e di bere (povere bestie, e perchè poi?)
In realtà era una fontana molto importante, anche questa costruita "in economia" e quindi in quella pietra arenaria che con i secoli si è talmente corrosa da far sparire qualsiasi decorazione.
Dello stemma che appare in alto, sappiamo che riportava lo stemma di Prato, solo perchè lo abbiamo visto su dei disegni che la rappresentavano, e a quanto pare, almeno lo stemma era stato rifatto almeno una volta.



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domenica 18 marzo 2018

LE COLLINE SOPRA PONTASSIEVE: UN CASTELLO E DUE SANTI

Ne abbiamo già parlato: le colline sopra Pontassieve sono un posto splendido, oltre che carico di storia praticamente in ogni ciottolo che si trova lungo la strada.
E quindi fanno proprio al caso nostro: turismo a chilometri zero, luoghi interessanti che abbiamo vicini e che non conosciamo.
Insomma, il nostro motto.
Sopra Pontassieve c'è il castello del Trebbio: ci dobbiamo passare per andare a Santa Brigida, per cui non spendiamo niente a fermarci a dare un'occhiatina.
Adesso e' in parte agriturismo/ristorante, e in parte abitazione privata.

Una gran bella abitazione, vorremmo dire.
Ma quello che ci interessa è la sua storia, perchè questo antico castello, fatto erigere dai Conti Guidi nel XII° secolo in questa località, detta Monte Croce, fu acquistato tra il XIII° ed il XIV°, insieme a tutte le terre circostanti, dalla nobile famiglia fiorentina dei Pazzi, che ne fece il proprio quartier generale.
Fu nelle sale di questo castello che fu ordita la famosa congiura, quella dove, la domenica di Pasqua del 1478, Giuliano de' Medici fu ucciso nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, mentre suo fratello Lorenzo riuscì a scampare alla morte.
A seguito di questo fatto di sangue, il castello, insieme a molti altri beni dei Pazzi, fu confiscato. La famiglia ne rientrò in possesso solo molti anni più tardi, e rimase di loro proprietà sino al secolo XVIII°.
Ripartiamo verso Santa Brigida, frazione del comune di Pontassieve.
La Santa Brigida di cui parliamo, non è la Santa Brigida di Svezia, nè la Santa Brigida patrona d'Irlanda, anche se era irlandese anche lei.
(anche se tutti i documenti la danno proveniente dalla "Scotia", bisogna ricordare che questo era il nome dell'Irlanda, nel medioevo).
Dunque, era irlandese, ed era sorella di quel sant'Andrea che aveva vissuto in quel luogo una santa vita da eremita.
La sua cella la possiamo ancora vedere nella cripta del Santuario della Madonna delle Grazie al Sasso (link), infatti in quel luogo il sant'uomo aveva eretto un piccolo tabernacolo venerato dal popolo,  dove poi apparve la Vergine Maria alle pastorelle, e dove poi sorse prima una chiusa e poi il santuario che conosciamo.
Ma torniamo ad Andrea di Scotia che, gravemente malato, esprime il desiderio di rivedere l'amata sorella prima di morire.
Brigida, che era in Irlanda a farsi gli affari suoi, si trovò improvvisamente trasportata dagli angeli al capezzale del fratello malato, vicino a Fiesole.
Lo assistette amorevolmente per tutta la durata della sua malattia, e quando morì fece voto di rimanere tutta la vita vicina alla sua tomba.
Si rifugiò in una piccola grotta e lì visse, svolgendo opere caritatevoli e facendosi amare molto dal popolo, sino alla bella età di 103 anni.
La grotta, un po' risistemata, esiste ancora. Pochi scalini, dalla piazza del grazioso paesino, portano a quella che dovrebbe essere stata la grotta in cui la santa passò la sua esistenza di penitenza e carità.

Sopra la grotta è stata costruita la chiesa, a lei intitolata.
Nella piazza antistante la chiesa, da cui si ammira un panorama a dir poco grandioso, una statua in bronzo di una suora giovane e bella - che potrebbe essere chiunque - è dedicata sempre alla santa irlandese.

Per il santo successivo, in linea d'aria bisognerebbe spostarsi di poco, ma non c'è una strada che metta in comunicazione Santa Brigida con il Mugello, anche se non possiamo escludere che non esista un sentiero percorribile a piedi, che unisce le due località.
Bisogna quindi rassegnarsi a fare un po' di chilometri e spostarsi verso Borgo San Lorenzo, verso la Pieve di San Cresci in Valcava.
Una piccola curiosità: San Cresci in Valcava fu comune autonomo per un brevissimo periodo, tra il 1808, quando lo creò l'amministrazione francese, ed il 1815, quando il Granduca, tornato al suo posto, lo riaccorpò  al comune di Borgo San Lorenzo.

Ma torniamo a San Cresci, che è stato il prima martire del Mugello.
Era originario della Germania, era venuto in Italia per visitare le tombe dei martiri, e sentendo parlare di un eremita, Miniato, si unì a lui nei boschi delle colline intorno Firenze.
Quando vennero catturati dai soldati dell'imperatore Decio, Miniato fu martirizzato, Cresci invece fu imprigionato. Uno dei suoi carcerieri aveva una bambina ammalata e lui la guarì. Allora lo fece fuggire, unendosi a lui.
Trovarono rifugio in Valcava, dove Cresci fece alcune guarigioni miracolose, tra cui il figlio della povera donna che aveva ospitato i fuggitivi.
La fama della sua santità cresceva, e molti venivano battezzati, tanto che alla fine anche i soldati di Decio li trovarono.
Uccisero i suoi compagni e poi tagliarono la testa anche a lui. Infilzarono la testa su una lancia con l'intenzione di portarla a Florentia, al prefetto. Ma la testa era diventata così pesante che era diventata impossibile da trasportare.
La testa cadde dalla lancia e non fu più possibile spostarla da lì di un centimetro.
Allora i superstiti seppellirono Cresci e i suoi compagni in quel punto, ed in seguito lì sopra fu costruita una piccola chiesa.
Questo luogo, di rara pace e bellezza, è quindi sacro fin dall'anno del martirio di Cresci, il 250 D.C.
Da lì la chiesa si ingrandì - non di molto - ma i frequenti terremoti che hanno colpito queste zone, l'ultimo dei quali nel 1919 l'ha quasi distrutta, ed infatti all'interno non troverete grandi opere d'arte, proprio per questo motivo.
Ha sùbito vari rifacimenti, sino ad arrivare ai giorni nostri, così come la vedete adesso.

Qui accanto sorge un convento? non sembra, c'è una targa che parla dei padri passionisti, e sicuramente in un luogo che parla così tanto allo spirito, almeno un riferimento ad un ordine religioso doveva esserci.

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domenica 11 marzo 2018

IL CASTELNUOVO DI PRATO

Nel nostro girovagare molte cose accadono per caso. E una volta anzichè passare per la strada principale, sei costretto, a causa di un trattore,  che facendo una rotonda ha sparso il letame dappertutto, a fare una strada alternativa, ti capita casualmente, di passare da una strada dalla quale tu, pur essendo pratese, non eri mai passato.
E ti capita di capire che Castelnuovo di Prato non è solo via di Giramonte, come sempre avevi pensato, ma che trovi una piazza, una chiesa (e che, no?!) e - sorpresa - due antiche mura in mezzo ad una strada.
E che mentre cerchi di capire dove ti porti la strada persa nella campagna (vabbè, mica ti troverai al confine svizzero...), ripensi a quelle antiche mura, e appena torni a casa ti precipiti a cercare di trovare qualche notizia.
Non ci vuole un grande acume per capire il significato del toponimo Castelnuovo: Castello Nuovo: un borgo di fondazione, come ce ne sono stati tanti, vedi i vari Castelfranco di Sopra (che è in provincia di Arezzo) e Castelfranco di Sotto) che è in provincia di Pisa.
 Che non erano altro che cittadine di nuova fondazione;  Castelli "franchi" appunto, nati per iniziativa della Repubblica Fiorentina,  dove la gente veniva incoraggiata ad andare ad abitare ed ad aprire nuove attività esenti da tasse, allo scopo di costituire nuovi baluardi, in un caso contro Arezzo e nell'altro contro Pisa, dove il "di sopra" e il "di sotto" si riferisce solo alla posizione rispetto al corso dell'Arno.
Ecco, anche Castelnuovo di Prato, nel suo piccolo, costituiva un baluardo a difesa del comune di Prato, contro l'avversa Pistoia, al limite delle terre da poco bonificate ed in prossimità del corso del fiume Ombrone.
Pare certo che fosse cinto da mura, che le davano un disegno quadrato.
Le mura che vediamo ancora adesso erano la porta a nord, e - sopresa - la porta è rimasta lì sino al 1944, quando viene distrutta dai tedeschi.

Chissà mai che cosa ci avranno visto di pericoloso i tedeschi, in una porta medioevale di una piccola frazione persa nella campagna... mah!

Dalle mappe catastali che il  nostro ben più preparato collega blogger Salvatore Gioitta, ha consultato, pare che l'altra porta, di cui non rimane alcuna traccia, non fosse collocata dalla parte opposta della porta di cui rimangono i basamenti, ma su un gomito orientato ad ovest della stessa strada, che portava a Prato, e che doveva essere parallela all'attuale via Roma.
Attualmente la strada, che cammina tra edifici restaurati ma dall'aspetto molto antico, si perde tra i campi e non dà nessun segno di sè.
Sempre il Gioitti, ci aiuta a capire il borgo era cinto, oltre che da mura, anche da un fossato, che in parte esiste ancora ed in parte è ricordato dal nome di una strada (via del Fossato).
Tutte queste caratteristiche, Castelnuovo le ha potute conservare perchè è molto lontano dall'abitato di Prato, ed è riuscito nel corso degli anni a conservare una sua caratteristica di unità, non essendone stato inglobato, come invece è successo a molte altre frazioni più vicine.

grazie a Salvatore Gioitti ed al suo "note e immagini da Prato, una città toscana, disordinata e sull'orlo di una crisi di nervi(e una provincia sulla via dell'estinzione)"

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