domenica 26 aprile 2015

L'OLIVO MILLENARIO DI MASSAROSA

Questo Olivo si trova nei pressi di Massarosa in località Pian del Quercione, Infatti,  di questo olivo millenario dicevano che era grande come una quercia ed è conosciuto come "Olivo dei 30 zoccoli".

Pare che il nome lo abbia trovato uno scrittore straniero, tale George Christoph Martini, che durante un suo viaggio in Italia - era l'epoca dei Gran Tour, nello specifico tra il 1725 e il 1745: pensate, questi potevano permettersi di stare 20 anni in ferie! - si trovò s passare da quelle parti e fu richiamato dalla fama di questo enorme ed antico olivo.
Era il periodo della battitura delle olive, e sull'albero c'erano ben 13 contadini che stavano raccogliendo le olive. Avevano iniziato al mattino presto e a mezzogiorno non avevano ancora finito, tanto per dire.
Il Martini notò che, alla base dell'albero c'erano le calzature dei contadini, quindi 26 zoccoli.
Siccome 26 è un numero che non dice niente, alloro lo arrotondò a 30, e da allora si chiama così, Olivo dei 30 zoccoli.
I proprietari dell'albero sono sempre stati gli stessi - i marchesi Salimbeni-Bartolini, che abitano nella casa vicina, e che quando ci siamo andati noi stavano allegramente mangiando in terrazza - e quindi hanno redatto una specie di diario sulla vita dell'albero, che fino a qualche anno fa aveva, nella parte cava del tronco, persino un tavolino e delle sedie dove la gente del posto si radunava per chiacchierare e giocare a carte.
Secondo alcuni autorevoli volumi riguardanti gli alberi monumentali, questo Olivo avrebbe duemila anni.  Ma come tutti gli olivi è di difficile datazione, perchè tendono a scavarsi all'interno, per crescere verso l'esterno.
Questo esemplare poi, presenta varie ceppe - anche se provengono tutte dalle stesse radici, quindi è un albero unico - per cui dargli un'età è molto difficile.
Il cartello posto davanti all'albero, parla più realisticamente di 700/800 anni; che detto tra noi è una gran bella età per un albero.

Purtroppo una quarantina di anni fa, una ruspa che stava facendo dei lavori nelle vicinanze dell'albero, perse una notevole quantità di gasolio, danneggiando moltissimo l'albero, che perse gran parte della sua abbondante chioma, e che da allora non ha più recuperato.
Naturalmente, quando al Pian del Quercione si celebra la sagra dell'Olio e delle olive, il maggior festeggiato è proprio l'antico albero!

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domenica 19 aprile 2015

QUEL CHE NON TI ASPETTI DA MARINA DI PISA

Tante volte le storie le abbiamo sotto gli occhi, ci viviamo vicini e non le conosciamo.
Altre, ci passiamo accanto senza vederle.
Parlare di Marina di Pisa può sembrare banale, ma quanti possono dire di conoscere un po' della sua storia?
Prima di tutto è interessante sapere che la foce dell'Arno è stata spostata artificialmente di 1500 metri in epoca medicea, perchè si pensava che i venti di Libeccio impedissero il regolare deflusso delle acque, allagando Pisa.
All'inizio del XVII secolo qui era tutta palude, malsana e disabitata.
Ma per risarcire un proprietario terriero, al quale erano stati confiscati dei terreni dai Savoia -  per quella che poi sarebbe diventatala Tenuta Reale di San Rossore - furono concessi ampi appezzamenti sulla riva sinistra del fiume Arno.
Questo signore era Gaetano Ceccherini, che è riconosciuto unanimemente come il fondatore di marina di Pisa, perchè nel 1869 costruì uno stabilimento balneare vicino alla dogana del traffico fluviale, attorno alla quale si erano via via affiancate varie casette di pescatori.
Nel 1872 fu varato un piano regolatore, sulla quale è stata basata la costruzione della Marina di Pisa odierna: pianta ortogonale e tre grandi piazze semicircolari.
Per collegarsi alla città, c'era il grande viale dei Platani.
Il viale c'è tutt'ora (dei platani ne sono rimasti ben pochi, e se bisogna pur capire che anche gli alberi invecchiano e muoiono, bisognerebbe anche che le amministrazioni comunali provvedessero a rimpiazzare le piante che devono essere abbattute....) e si chiama viale Gabriele D'Annunzio, in onore di uno dei primi e più famosi bagnanti della zona. 
Fu in queste pinete che il Vate scrisse nel 1899 la celeberrima "Pioggia nel Pineto", e comunque in questa zona scrisse gran parte delle liriche della sua più bella raccolta di poesie, la mitica "Alcyone" che vi invitiamo a leggere.
 E se già vi abbiamo invitato a leggerla - e quindi ci ripetiamo, non possiamo non ammetterlo - è perchè ne vale veramente la pena, credeteci.
A proposito della Pioggia nel Pineto, l'amministrazione comunale di Pisa - di cui Marina è una frazione - risanando la Boccadarno ed il suo porto da un abbandono  su cui poi sprecheremo qualche parola, ha fatto un bel lavoro davvero, scrivendo una delle liriche di Alcyone - non siamo riusciti ad identificare quale - in questo originalissimo modo, sul molo che costeggia il porto.
La passeggiata è davvero gradevole, ben pavimentata e con dei giardini davvero originali.
Dalla parte interna c'è ancora parecchio da fare.
Questa era la zona in cui sorgeva il Cantiere Navali Gallinari, dove venivano costruiti gli idrovolanti su progetto dell'ingegnere tedesco Dornier e da cui, nel 1928, partì la spedizione per la ricerca del capitano Nobile, disperso tra i ghiacci del Polo nord.
i Cantieri diventarono proprietà della Fiat nel 1930, e qui vennero costruiti molti degli aerei da caccia per la Regia Marina nella seconda guerra mondiale.
Nel 1943 vennero requisiti dalle truppe tedesche, e rientrarono in possesso della Fiat alla fine del 1945, che li convertì in fabbrica per la costruzione di autobus.
Nel 1988 gli stabilimenti chiusero definitivamente i battenti, e furono lasciati per decenni nel più completo abbandono.
Adesso sono stati abbattuti, ed è un peccato per chi, come noi è amante dell'archeologia industriale e della storia aereonautica. Ma bisogna rendersi conto che il mondo va avanti, e non tutto può essere conservato; le città hanno sempre ricostruito sulle proprie macerie, e proprio questo le ha fatte crescere ed evolvere.
La città di Pisa ha fatto un bel lavoro con la riqualificazione della zona portuale: sicuramente saprà riutilizzare al meglio anche questa zona, ancora ingombra di rovine.
Sempre in questa zona, quindi vicino agli ex stabilimenti Gallinari, sorge la villetta dove soggiornavano Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio.
E' in condizioni veramente miserevoli: un rudere invaso dall'edera, senza infissi e con il tetto sfasciato.

 Però ha sempre davanti due palme, anche quelle piuttosto malridotte, che testimoniano di fasti passati. Sicuramente alla fine del XIX secolo, la villa era ottimamente situata, vicino alla foce del Fiume Arno e praticamente sulla spiaggia.
Accanto c'è un altro rudere, in condizioni se possibili anche peggiori: la villa di quel Gaetano Ceccherini di cui abbiamo già accennato in precedenza: in pratica il fondatore di Marina di Pisa!
Il fatto che siano circondate da una recinzione di sicurezza, ci fa ben sperare in un intervento futuro.
Molte altre sono le costruzioni Liberty di cui Marina di Pisa è disseminata.
Alcune dimore storiche sono ben conservate, altre hanno subito pesanti rimaneggiamenti.
Ben conservata, ma trasformata in abitazione privata, la vecchia stazioncina della ferrovia elettrica che univa Pisa a Marina, Tirrenia e  Calambrone, soppressa dopo la seconda guerra mondiale.
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domenica 12 aprile 2015

CASTIGLIONCELLO, MA NON E' SUL MARE

Castiglioncello è un toponimo abbastanza diffuso.
Il  più conosciuto è quello sulla costa Livornese, ma c'è un posto che si chiama così anche sui monti della Calvana, sopra Prato.
Questo però si trova nell'appennino Tosco-romagnolo, amministrativamente nel comune di Firenzuola, ma  vicinissimo  al confine con l'Emilia Romagna (ed infatti lì la gente parla bolognese...).
E potevamo forse farsi mancare l'opportunità di visitare un paesino abbandonato?
Dalla provinciale che ci porta diritta al Ponte sul Rio dei Briganti - di questo Rio parleremo dopo - che segna il confine con l'Emilia-Romagna, si scende giù per una vertiginosa discesa che, con un paio di curve a gomito da panico, ci porta ad un piccolo parcheggio.
Sinceramente non capivamo a che cosa potesse servire un parcheggio in un luogo così remoto, ma fatti pochi passi abbiamo capito bene.
Un ponticino pedonale attraversa il fiume Santerno e ci porta a delle spiagge di sabbia sottile,  e dove il Rio dei  Briganti, un centinaio di metri più in alto si getta - nel senso letterale del termine - nel sottostante Santerno, con una spettacolare cascata.
Il luogo in estate deve essere molto frequentato: la sabbia, le cascate, la frescura del bosco e le grandi rocce piatte,- una caratteristica del corso del Santerno - adatte ad accogliere bagnanti e patiti della tintarella, giustificano la presenza del parcheggio.
Proseguendo per quella che dovrebbe essere stata un tempo una mulattiera, si sale sino a che si può ammirare la cascata dall'alto. 
Lì un piccolo sentiero, invaso dalle piante - ed era inverno! - ci conduce sino alle mura di Castiglioncello.
Una piccola strada lastricata ci porta a quella che era la piazza principale, con i lavatoi, la chiesa con l'alto campanile e quella che doveva essere stata la canonica.
E' facile chiudere gli occhi e immaginare quella che doveva essere la vita di questo modesto paese di appennino, anche se la domanda che è sorta spontanea era: di che si viveva in un posto come questo?
E' una domanda la cui risposta,  a chi vive nel XXI secolo, in piena civiltà post-industriale,  può sembrare assurda: quasi di niente:
La maggiore risorsa derivava sicuramente dalla cura del bosco, quindi dai marroneti, dalla legna e dal carbone, che sicuramente veniva fabbricato in zona. E poi un po' di allevamento, qualche orto, anche un po' di grano, strappato alla montagna, che in alcuni punti è ancora terrazzata. 
E dal brigantaggio. 
Il rio dei Briganti con si sarà mica chiamato così per niente...
Durante la seconda guerra mondiale la linea Gotica passava proprio da queste parti, e sappiamo bene quanta morte e distruzione abbia portato con se: risalendo verso Firenzuola c'è un piccolo cimitero di guerra americano.
Questo ha sicuramente influito sul suo spopolamento: ma la vera causa della morte del Borgo è stata la strada provinciale, che passa sull'altro lato del Santerno, e che ha irrimediabilmente relegato il paesino fuori da tutte le rotte commerciali: anche quelle dei briganti.
Come sempre è l'isolamento che fa morire i paesi.


domenica 5 aprile 2015

LA STAZIONE ABBANDONATA DI FORNELLO

Ebbene sì!
Un'altra stazione dismessa.
E nemmeno possiamo promettere che sia l'ultima!
Perchè a noi ci piacciono le ferrovie, e ci affascinano i vecchi edifici - specialmente se sono vecchi ruderi abbandonati - proprio perchè sono carichi di storia: magari storie piccole, di gente comune, di vite normali, niente di trascendentale.
"Ordinary world" per dirla con i Duran-Duran (mitici)
La storia con la "s"minuscola, proprio quello di cui ci occupiamo noi, insomma.
E qui la storia è veramente una piccola storia, che si inserisce su una linea ferroviaria - la Faentina - che nasce già di serie "B", e della quale vorremmo occuparci in separata sede.
Fornello era una stazione senza paese.
Serviva più che altro per la funzionalità della cava di pietrisco, collocata poco più in altro della stazioncina, e che serviva proprio a procurare il materiale per la massicciata, necessaria alla posa dei binari.
Insieme alla miniera, esisteva anche un impianto di frantumazione, necessario per ridurre il materiale alle giuste dimensioni.

Da qui, con una piccola ferrovia a scartamento ridotto (in gergo: Decauville) il materiale veniva portato sino alla stazione sottostante e da qui caricato sui vagoni merci che li portavano alle varie destinazioni.
L'impianto, seppur abbandonato da moltissimi anni, è ancora quasi tutto lì. Ci sono i macchinari, le pompe, persino i carrelli basculanti destinati al trasporto del pietrisco frantumato.

Ovviamente tutto è in stato di totale abbandono, i carrelli sono ruggine allo stato puro, ma ci sono ancora; come ci sono i binari, che sono stati recentemente ripuliti dalle piante che li avevano colonizzati.
L'ambiente conserva intatto un suo fascino, sempre che si sia interessati all'archeologia industriale!
Anche la stazioncina c'è sempre, con i suoi due piccoli fabbricati verniciati di rosso - ma ogni targa testimoniante il nome della località, e tutti i riferimenti ferroviari, sono stati asportati - anche loro in stato di totale abbandono.

Eppure le scale sono ancora in buono stato, le ringhiere in ghisa sono ancora ben solide, le cucine dimostrano ancora le loro funzione.
Le finestre senza vetri e senza imposte, e soprattutto il soffitto a canniccio a brandelli  - l'antenato del cartongesso - sono le dimostrazioni più lampanti del degrado della casa del casellante e dell'edificio viaggiatori.
Dall'altra parte della ferrovia - che, durante la guerra è stata così pesantemente danneggiata che è stata riaperta al traffico merci e passeggeri solo nel 1957 - c'è un deposito dell'acqua, risalente anche quello all'apertura della stazione , quindi alla fine del XIX° secolo.

Altro non c'è.
Il paese più vicino è Molezzana, una località di Gattaia, frazione del comune di Vicchio.
Ci vogliono 40 minuti buoni di sentiero per arrivare dalla strada asfaltata sino alla Stazione.
Il sentiero non era troppo difficile, ma noi ci siamo andati a passeggio in una bella mattina di fine inverno: sicuramente le condizioni per chi lo percorreva in pieno inverno, magari con la pioggia o di notte, per andare o tornare dal lavoro, dovevano essere certamente ben diverse.

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