domenica 28 febbraio 2016

VIAREGGIO ED IL LIBERTY

Lo scopo di questo modesto blog è quello di visitare luoghi poco conosciuti, oppure di vedere luoghi noti sotto una prospettiva diversa.
Quando si parla di luoghi noti, Viareggio è più di un luogo di villeggiatura. 
Chiunque viva a Prato o Firenze, la conosce quasi come la sua città, perchè - presto o tardi - ci ha passato le ferie o c'è andato per il carnevale, o anche solo per fare una passeggiata sul lungomare in una domenica di primavera.
Ma a noi questa Viareggio turistica non interessa.
A noi interessa la sua storia, ed alcune caratteristiche:
Questa tratto di costa, in epoca Medioevale, era l'unico sbocco sul mare della Repubblica di Lucca, e per tenere d'occhio le coste fu costruita una torre.
Per andare a questa torre, da Lucca, c'era da percorrere una "via regia" (l'attuale via di Montramito). Un lavoro di ingegneria notevole per l'epoca, perchè il fondo era composto di paludi di sabbia,  e quindi non c'erano nemmeno pietre nelle vicinanze.
Se "via regia" vi dice qualcosa, complimenti. Siete sulla buona strada.
Sappiamo che a quell'epoca le coste avanzavano, e presto la torre costruita dai lucchesi divenne troppo lontana dalla riva del mare.
In epoca rinascimentale fu costruita quindi questa torre, che è chiamata "Torre Matilda", perchè si pensava che fosse stata costruita da Matilde di Canossa.

Ovviamente non è vero, ma il suo aspetto è molto medioevale, perchè è stata costruita smontando i resti del vecchio castello sulla via regia, che invece risaliva al 1172.
La zona paludosa che circondava Viareggio fu bonificata solo nei primi anni del XVIII secolo, aiutata dalla piantumazione della grandiosa pineta, voluta dal nostro beneamato Granduca intorno al 1750, e che serviva come riparo dai forti venti.
Ma fu tra fine del XIX secolo e l'inizio del XX che Viareggio comincia a diventare "la perla del Tirreno" (anche se geograficamente, quello davanti alla costa è Mar Ligure). 
E si sviluppa architettonicamente secondo gli stili dell'epoca: Liberty ed Eclettico.
Diciamo due parole su questi stili:
Lo stile Liberty si chiama così solo in Italia, se si vuole fare una bella figura bisogna parlare di Art Noveau; il nome italiano deriva dai magazzini Arthur Liberty di Londra, che esponevano mobili ed oggetti nello stile floreale.
Il nome si è quindi formato, per una trasposizione di un modo di dire.
Parlare dell'Eclettico è più difficile, perchè ci porta a quella che era l'architettura nell'Ottocento, dove ognuno costruiva quello che gli pareva, come e dove riteneva opportuno. Quindi costruivano in stile neoclassico, neogotico, neo-medioevale, neo-rinascimentale, eccetera eccetera.
Tutta questa miscellanea di stili, accostata insieme, dà' lo stile Eclettico.
Questo stile esiste ancora, ed è usato nell'arredamento degli interni, mescolando tanti elementi diversi tra di loro.
A Viareggio esistono molti esempi di questi stili, i più famosi dei quali sono concentrati sul Viale Regina Margherita , cioè sul lungomare.
Il più caratteristico è il Gran Caffè Margherita

ma anche il negozio di Duilio 48

oppure il Bagno Balena

tanto per citarne qualcuno: ma percorrere il lungomare avendo presente questa chiave di lettura può portare a delle sorprese.
Ma gli edifici in stile Liberty sono molti anche nell'interno, anche in quella parte della città dove Viareggio perde la sua apparenza di città di villeggiatura, dove ci sono negozi di ortolano, ferramenta, parrucchieri di seconda categoria, bar poco appariscenti, trattorie dove vanno a mangiare i viareggini.
Insomma, la città vera, quella che vive e lavora tutti giorni, anche in inverno, anche quando piove.
Un'altra particolarità di Viareggio sono i suoi marciapiedi, quelli  con le caratteristiche mattonelle di cemento con decorazione simmetrica impressa, e che si chiamano proprio mattonella Viareggio.

Già proprio quelle che abbiamo visto migliaia di volte, limitandoci a calpestarle, senza chiederci nulla in proposito!
Sempre in argomento di Liberty, e sempre a proposito della città con le sue esigenze normali, vi proponiamo una visita al Cimitero della Misericordia di Viareggio, che è molto bello e particolare.
Prima di tutto le tombe sono enormi, interrate in dei terrapieni, molto diverse da quelle alle quali siamo abituati qui tra Prato e Firenze.
Non parliamo poi delle tombe verticali (i "forni", per capirsi) dove, dalle dimensioni delle lapidi, sembra che i feretri siano messi per largo, anzichè per lungo nello spessore del muro.
Certo, si tratta di tombe di grandi famiglie: esistono anche i "forni" di dimensioni piccole e piccolissime, dove sono sepolte persone di modesta estrazione sociale.
E poi c'è il viale delle Cappelle Gentilizie - si chiama proprio così - dove ci sono le cappelle delle famiglie, alcune di stile e costruzione recente, altre più antiche.
Ci ha molto colpito una spettacolare cappella in marmo, alta almeno sei metri, una specie di arca dei forti, con statue, colonne, incisioni.

Gli ultimi componenti della famiglia non erano stati sepolti da moltissimo: l'ultima data era il 1989.
Il pavimento intorno era sconnesso, pieno di erbacce, le tombe senza un fiore, in alcuni punti c'erano persino le transenne per impedire che qualcuno potesse farsi male inciampando.
Sulle tombe che avevamo visto sino a quel momento, una frase si ripeteva spesso "sarai sempre con noi" oppure "il tuo ricordo sarà sempre con noi".
Ma che succede quando quel "noi" non c'è più, quando più nessuno può venire a portarti un fiore, o a dire una preghiera?
A che cosa sarà servito spendere milioni per quell'imponente monumento funebre, adesso che non è rimasto più nessuno della tua famiglia?
Questo pensiero ci ha rattristato molto, e per dare una risposta a questo dubbio, abbiamo cercato una tomba famosa, quella della famiglia Barsanti-Beretta. 
E' originale sin dal materiale: anzichè marmi e colonne, una semplice edicola di metallo verniciato, tipica della fine del XIX secolo, ed in perfetto stile Liberty: infatti è datata 1895.
Seduta su uno scalino di marmo, una bimba ricciuta dall'aria triste, aspetta la mamma morta, che riposa alle sue spalle.

E' detta la bimba che aspetta, ed è un personaggio ben conosciuto in questo cimitero, e forse il liberty più bello che abbiamo visto.

Mappa

domenica 21 febbraio 2016

LUCCA....DIABOLICA

Chi ha la pazienza di seguirci lo sa: abbiamo le nostre fisse:
Prato, prima di tutto, poi le paludi, le pianure e ... Lucca.
Ma innamorarsi di Lucca, è la cosa più facile del mondo.
Raccolta dentro la cerchia protettiva delle sue mura - che sono una passeggiata splendida in qualsiasi stagione - ci sono tesori d'arte,  e una vita che scorre dolce, pacata, così diversa dal frastuono di città vicine, sia pur bellissime.
Ma, come nessuna persona porta in sè solo caratteri positivi, (un lato oscuro ce l'abbiamo tutti) anche le città hanno i loro luoghi oscuri e misteriosi.
E noi li abbiamo trovati, sia pure nella placida Lucca.
Ed in posti insospettabili!
Per esempio, abbiamo scoperto che nella Chiesa di Sant'Agostino in Lucca, esiste nientedimeno che l'ingresso dell'inferno!
La chiesa è visitabile solo il pomeriggio:
E' una bella chiesa, ma in una delle cappelle laterali, c'è un'immagine, assai venerata,  della Madonna.
Gli affreschi che decorano la Cappella ci chiariscono la storia:
pare che in tempi remoti, un uomo che amava giocare d'azzardo, abbia puntato al gioco una fortissima somma, confidando appunto nella protezione della Madonna.
Avete mai sentito dire che la Madonna proteggesse i giocatori d'azzardo?! 
Nemmeno noi!
E infatti, avendo perso tutto e credendo di aver subìto una grossa ingiustizia,  si scagliò contro l'immagine della Vergine, lanciandole un grosso sasso, e provocando un foro - tutt'ora visibile -  nell'immagine sacra.

All'istante, si aprì una voragine sotto i suoi piedi, e l'uomo sprofondò (presumibilmente all'Inferno).
Pare che abbiano poi provato a calare una corda, che ritirarono su tutta bruciacchiata, e addirittura un cane che - povera bestia - subì la stessa sorte.
Ah, odorava anche di zolfo.
La botola fu chiusa nel XVIII secolo, e da allora non è mai più stata riaperta.
(saggia decisione!)

Un altro manufatto demoniaco si trova sulla facciata di palazzo Bernardini, sulla via della Santa Croce.
La ricca famiglia Bernardini, diede incarico all'architetto Civitali (siamo nel 1512) di costruire un palazzo degno del nome del casato.
Proprio in corrispondenza della facciata, era collocata una modesta edicola sacra.
Nulla di artistico, una piccola immagine dipinta da chissachì.
La famiglia Bernardini si interrogò se l'immagine dovesse venir demolita, e le remore di carattere devozionale erano parecchie.
Però, perchè la facciata risultasse simmetrica, doveva essere eliminata!
Pare che il Diavolo in persona abbia assistito all'evento e, sotto mentite spoglie abbia fatto virare la decisione secondo i suoi desideri.
Perchè il fatto non venisse dimenticato, a imperituro ricordo della sua "vittoria", ritenne opportuno piegare in questo strano - e impossibile - modo, la pietra dello stipite di questa finestra.

Se ritenete che bastava cambiare la pietra dello stipite, ebbene vi state sbagliando; perchè in molti ci hanno provato, ma ogni volta la pietra è tornata alla sua posizione originale!
Ha sempre a che fare con il Diavolo anche la leggenda della Torre delle Ore.

Anticamente in Lucca c'erano molte torri, come in quasi tutte le città medioevali.
E anche qui i nobili e i ricchi facevano a gara a chi aveva la torre più alta.
(Si sfogavano con quello che avevano. Ancora non c'erano le auto di lusso...)
Comunque, fatto sta che queste torri non erano molto stabili, e siccome erano costruite male e con materiali non idonei - forse i costruttori erano cinesi - crollavano.
Non così invece la torre dell'orologio, che era molto importante per la città, e che quindi godeva di tutta la manutenzione necessaria.
Intorno al 1623 viveva a Lucca una ricca e bellissima contessa, Lucida Mansi.
Un tipino niente male, che uccideva i suoi amanti dopo averli - per così dire - utilizzati.
Quando la bella signora si accorse del tempo che passava si disperò: la bellezza, sua arma di seduzione, stava svanendo.
Ma il Demonio la tentò, e le promise 30 anni di incorruttibile bellezza, dopodichè lui avrebbe preso la sua anima.
La contessa accettò, e trascorse i 30 anni successivi sempre splendida e desiderata, dimenticando il patto.
Ma il tempo passava, e quando arrivò alla fine del trentesimo anno, corse disperata verso la torre dell'orologio per fermarne i rintocchi. 
Ma naturalmente non arrivò in tempo, ed il Demonio esigè il pagamento del suo debito, portando via la sua anima su un carro di fuoco, e abbandonando il suo corpo in un laghetto.
Da allora, chi l'aveva conosciuta, vedeva l'immagine del suo volto nella luna piena.






domenica 14 febbraio 2016

LA SACRA CINTOLA E LA MANO DI MUSCIATTINO

La storia del tentativo di furto della Sacra Cintola, la più famosa reliquia custodita a Prato, è nota.
Giovanni, figlio del notaio pistoiese Ser Landetto, ma identificato nei documenti con il soprannome di Musciattino - dispregiativo, probabilmente inventato dopo il processo - aveva pianificato da tempo il furto della reliquia. Essendo egli un laico dipendente della propositura, aveva accesso agli ambienti collegati alle abitazioni dei canonici. Da qui, nella notte tra il 27 ed il 28 luglio 1312, si recò all'altare della Cintola, forzò la serratura della cassetta che la custodiva, e uscì dalla Chiesa, nascondendo la reliquia in una cassa, in uno dei locali della canonica.
Il movente doveva essere stato probabilmente la vendetta, per dei torti subiti da parte dei canonici. L'intenzione di Giovanni di Landetto era quella di portare la reliquia a Firenze, dove l'avrebbe venduta per denaro e riconoscimenti- ma poteva anche essere un furto su commissione.
Forse pentito di quello che aveva fatto, confidò tutta a quello che credeva un amico; questi - il castaldo, cioè l'amministratore dei beni, della Pieve, riferì immediatamente al Vicario del Preposto, che diede d'ordine di sbarrare tutte le porte della città, in modo che il colpevole non potesse fuggire. Catturato, fu immediatamente processato.
La sentenza ribadisce che il furto sacrilego, oltre a dare offesa a Dio ed alla Beata Vergine, avrebbe creato un danno alla prosperità della città e del popolo pratese, in considerazione dei molti beni che pervenivano grazie alla preziosa reliquia.
Un'offesa così grave, recata alla Chiesa ed alla città, richiedeva una pena esemplare: il ladro fu condannato ad essere trascinato da un asino sino alla Pieve. Lì, secondo la consuetudine medioevale, gli furono mozzate entrambe le mani.
Agonizzante, fu portato sin su greto del fiume, dove su arso vivo (forse...).
A maggior dispregio del colpevole, le mani furono gettate in aria: una di queste,
leggenda vuole abbia lasciato una traccia rossastra, chiamata appunto "la mano di Musciattino", nell'ultimo concio in alberese, il più vicino al colonnino dell'architrave che sormonta la porta laterale della chiesa, vicino al campanile.


Questa la verità storica. 
Ogni pratese conosce invece una versione che getta benzina sul fuoco della rivalità con la città di Pistoia.
In realtà, è una versione romanzata di questa stessa verità storica.
Secondo la leggenda, Musciattino riuscì a fuggire fuori dalle mura della città.
Si perse nelle nebbie che circondavano le campagne intorno alla città - ricordate l'insignificante particolare che il furto era avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 luglio - e, credendo di essere arrivato alle porte di Pistoia, bussò invece di nuovo a quelle di Prato, gridando a gran voce la storica frase "aprite, aprite pistoiesi, che ho la cintola dei pratesi".
Da qui, la leggenda si salda nuovamente con la storia: in ogni caso il povero Musciattino fa una brutta fine!
Nei secoli si è sempre dato la colpa del furto sacrilego alla citta' di  Pistoia, che invece non poteva essere la mandante del furto, perchè solo pochi anni prima, nel 1306, aveva perso la sua autonomia, cedendo al lungo assedio portatole da Lucca e da Firenze, che si erano spartite il territorio, distruggendo mura e difese. 
Il ladro quindi non avrebbe potuto ottenere denaro e onori da una città recentemente sconfitta!
E' molto più probabile che la leggenda sia nata per una forma di ossequio nei confronti della potente Firenze, che nel 1351 estese il suo dominio anche su Prato, e che si era servita del povero Musciattino per cercare di accaparrarsi la famosa reliquia, che attirava verso la città di Prato grandi donazioni, denaro, pellegrinaggi e quindi la possibilità di fare molti soldi, cosa questa che piaceva molto ai fiorentini!
Non era prudente mettersi contro Firenze, e quindi fu semplice creare nel popolo la convinzione che erano stati i pistoiesi a voler perpetrare il furto.
Adesso che abbiamo parlato del furto della reliquia, due parole anche sull'oggetto del furto starebbero proprio bene, altrimenti si sa che hanno tentato di rubare, ma senza sapere cosa.
La Sacra Cintola - detta anche Sacro Cingolo - è considerata la cintura della veste della Madonna. 
E' una sottile striscia di lana di capra, di colore verde chiaro, intessuta con alcuni fili d'oro.
Secondo la tradizione, la Vergine Maria la consegnò a San Tommaso al momento della sua Assunzione in cielo.
Prima di partire per le Indie, San Tommaso l'affidò ad un monaco, e qui, di mano in mano, arrivò sino a Michele Dagomari, mercante pratese a Gerusalemme nel 1141. 
La preziosa reliquia, faceva parte della dote di Maria, una fanciulla sposata dal Dagomari, che era discendente del monaco a cui era stata affidata da San Tommaso.
Quando Michele Dagomari tornò a Prato, portò con sè la reliquia, in un baule, sul quale dormì ogni notte per meglio custodirla.
Nel 1173, in punto di morte, confidò su quale tesoro aveva dormito per trent'anni, ai notabili della città.
L'anno successivo la Sacra Cintola fu portata in Duomo con una solenne processione e riposta sull'altare maggiore.
La Cappella apposita sul lato sinistro della chiesa, fu costruita dopo il tentato furto, e lì è tutt'ora custodita.
Nel 1787 il Vescovo di Prato e Pistoia Scipione de'Ricci, di simpatie gianseniste, e comunque in piena epoca illuminista, tentò di scoraggiare il culto di questa reliquia, ma ci fu una sollevazione popolare di tale imponenza, che dovettero intervenire le truppe granducali per riportare la calma.
L'esposizione pubblica della Sacra Cintola si chiama Ostensione e si verifica cinque volte l'anno.

Il giorno di Pasqua, il 1° maggio - ma la festa dei lavoratori non c'entra niente - il 15 Agosto, l'8 Settembre - è la festa più solenne - e il 25 dicembre.
In una ventina d'anni, è capitato un paio di volte che a Prato venisse il Papa.
In questo caso non gli viene certo negata la possibilità di fare un'ostensione straordinaria! 

domenica 7 febbraio 2016

LA CICLABILE CAMAIONI-MONTELUPO

Di solito noi parliamo di luoghi, che abbiamo visitato e che secondo noi meritano di essere descritti e chissà che a qualcuno non venga in mente di visitarli a sua volta...
Stavolta invece parliamo di un percorso, nello specifico una pista ciclabile.
Va bene, il mondo è pieno di piste ciclabili, però confessiamo la nostra parzialità: per lavoro ci passiamo davanti ogni giorno, e ci era venuta una gran voglia di vedere com'era e dove portava.
E' nei pressi del Ponte Bitossi (link) poco prima del sottopasso sotto la ferrovia Firenze-Pisa: una ripida salitina, con una sbarra ed un divieto di accesso ai veicoli a motore.
Così una volta abbiamo parcheggiato oltre il sottopasso, e ci siamo avventurati, muniti di scarponi da trekking (perchè avevamo letto che era fangosa).
Invece: sorpresa! Un asfalto drenante, colato di recente, si snodava sinuoso tra la ferrovia e la riva sinistra dell'Arno.
Si tratta di un percorso assolutamente pianeggiante, adatto anche a mamme con il passeggino - se non fosse che nel primo tratto è un po' isolata - e ciclisti della domenica pomeriggio.
Qualche buontempone ha attaccato questi adesivi, forse un po' ottimisti, sulle località raggiungibili da questo percorso.

La ciclabile, è costeggiata da un lato da una storica ferrovia, quella Firenze-Pisa Livorno (già... prima della Strada di Grande Comunicazione), detta Leopolda, poichè voluta dal nostro buon Leopoldo II di Lorena.

Fu la prima ferrovia costruita in Toscana tra il 1844 ed il 1848.
Il tratto Livorno-Pisa fu inaugurato il 13 marzo 1844. Il 19 ottobre del 1845 la ferrovia raggiunse Pontedera ed il 20 giugno 1847, Empoli.
Nel frattempo, si lavorava anche nella tratta Firenze - Empoli ed il 12 giugno 1848 tutti i 97 km della ferrovia furono aperti al traffico.
Prima ferrovia italiana ad avere una effettiva valenza commerciale, portò miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro di migliaia di persone, anche se non mancarono le contestazioni. 
Infatti, proprio a Montelupo Fiorentino, i barrocciai dell'Arno - che vedevano giusto prevedendo che il loro lavoro di collegamento tra i barconi,  che trasportavano le merci sin lì, e la città di Firenze,  sarebbe stato soppiantato dalla linea ferroviaria - organizzarono una rivolta, dove si ebbero anche delle vittime. 
Forse questa strana costruzione risale a quei tempi?
La linea che la ciclabile costeggia, è rimasta la stessa dal 1848, anche se, per evitare la tortuosità della linea ferroviaria originale, proprio nel punto costeggiato dalla ciclabile, è stata costruita la variante Lastra a Signa - Montelupo Fiorentino (circa 10 km)  che ha richiesto, tra il 1995 ed il 2006, molto più tempo che per costruire tutta la linea nel 1845.
Miracoli delle opere pubbliche in Italia!
Percorrendo la nostra ciclabile, si trovano degli scorci, dove l'Arno è particolarmente maestoso, tanto da farci esclamare "Però...sembra il Tamigi!"
Ci siamo meravigliati di non vedere i "tre uomini in barca (per tacer del cane)".
Ah, se non avete mai letto il capolavoro di Jerome K. Jerome, leggetelo: è uno dei libri più spassosi che ci sia mai capitato di leggere!



Il percorso scende poi più vicino al letto del fiume, avvicinandosi alla frazione di Sanminiatello, dove la ciclabile costeggia degli orticelli, talmente ordinati e ben tenuti da sembrare dei giardini. 
Da qui, spesso troviamo dei sottopassi sotto la ferrovia ma, uno solo escluso, nessuno porta a Sanminiatello; sono tutti privati e portano a cortili o rimesse.
Quando sulla destra dell'Arno appare la rupe di Capraia, sulla destra un pioppeto autunnale ci ricorda i quadri Klimt.

In lontananza, le torri - un po' sinistre - della Villa Ambrogiana: siamo arrivati nei pressi del parcheggio che costituisce l'arrivo, poco più di 4 km e un'oretta di cammino molto facile e piacevole.
Sono lontani i tempi in cui leggevamo notizie sconfortanti su questo tratto, lasciato a sè stesso, invaso dalle erbacce, un viottolo nel fango e nella sporcizia.
Si tratta invece di un bel percorso, al quale abbiamo trovato un solo, vero difetto: al momento non è illuminato, per cui non è percorribile di sera.

Mappa