domenica 14 febbraio 2016

LA SACRA CINTOLA E LA MANO DI MUSCIATTINO

La storia del tentativo di furto della Sacra Cintola, la più famosa reliquia custodita a Prato, è nota.
Giovanni, figlio del notaio pistoiese Ser Landetto, ma identificato nei documenti con il soprannome di Musciattino - dispregiativo, probabilmente inventato dopo il processo - aveva pianificato da tempo il furto della reliquia. Essendo egli un laico dipendente della propositura, aveva accesso agli ambienti collegati alle abitazioni dei canonici. Da qui, nella notte tra il 27 ed il 28 luglio 1312, si recò all'altare della Cintola, forzò la serratura della cassetta che la custodiva, e uscì dalla Chiesa, nascondendo la reliquia in una cassa, in uno dei locali della canonica.
Il movente doveva essere stato probabilmente la vendetta, per dei torti subiti da parte dei canonici. L'intenzione di Giovanni di Landetto era quella di portare la reliquia a Firenze, dove l'avrebbe venduta per denaro e riconoscimenti- ma poteva anche essere un furto su commissione.
Forse pentito di quello che aveva fatto, confidò tutta a quello che credeva un amico; questi - il castaldo, cioè l'amministratore dei beni, della Pieve, riferì immediatamente al Vicario del Preposto, che diede d'ordine di sbarrare tutte le porte della città, in modo che il colpevole non potesse fuggire. Catturato, fu immediatamente processato.
La sentenza ribadisce che il furto sacrilego, oltre a dare offesa a Dio ed alla Beata Vergine, avrebbe creato un danno alla prosperità della città e del popolo pratese, in considerazione dei molti beni che pervenivano grazie alla preziosa reliquia.
Un'offesa così grave, recata alla Chiesa ed alla città, richiedeva una pena esemplare: il ladro fu condannato ad essere trascinato da un asino sino alla Pieve. Lì, secondo la consuetudine medioevale, gli furono mozzate entrambe le mani.
Agonizzante, fu portato sin su greto del fiume, dove su arso vivo (forse...).
A maggior dispregio del colpevole, le mani furono gettate in aria: una di queste,
leggenda vuole abbia lasciato una traccia rossastra, chiamata appunto "la mano di Musciattino", nell'ultimo concio in alberese, il più vicino al colonnino dell'architrave che sormonta la porta laterale della chiesa, vicino al campanile.


Questa la verità storica. 
Ogni pratese conosce invece una versione che getta benzina sul fuoco della rivalità con la città di Pistoia.
In realtà, è una versione romanzata di questa stessa verità storica.
Secondo la leggenda, Musciattino riuscì a fuggire fuori dalle mura della città.
Si perse nelle nebbie che circondavano le campagne intorno alla città - ricordate l'insignificante particolare che il furto era avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 luglio - e, credendo di essere arrivato alle porte di Pistoia, bussò invece di nuovo a quelle di Prato, gridando a gran voce la storica frase "aprite, aprite pistoiesi, che ho la cintola dei pratesi".
Da qui, la leggenda si salda nuovamente con la storia: in ogni caso il povero Musciattino fa una brutta fine!
Nei secoli si è sempre dato la colpa del furto sacrilego alla citta' di  Pistoia, che invece non poteva essere la mandante del furto, perchè solo pochi anni prima, nel 1306, aveva perso la sua autonomia, cedendo al lungo assedio portatole da Lucca e da Firenze, che si erano spartite il territorio, distruggendo mura e difese. 
Il ladro quindi non avrebbe potuto ottenere denaro e onori da una città recentemente sconfitta!
E' molto più probabile che la leggenda sia nata per una forma di ossequio nei confronti della potente Firenze, che nel 1351 estese il suo dominio anche su Prato, e che si era servita del povero Musciattino per cercare di accaparrarsi la famosa reliquia, che attirava verso la città di Prato grandi donazioni, denaro, pellegrinaggi e quindi la possibilità di fare molti soldi, cosa questa che piaceva molto ai fiorentini!
Non era prudente mettersi contro Firenze, e quindi fu semplice creare nel popolo la convinzione che erano stati i pistoiesi a voler perpetrare il furto.
Adesso che abbiamo parlato del furto della reliquia, due parole anche sull'oggetto del furto starebbero proprio bene, altrimenti si sa che hanno tentato di rubare, ma senza sapere cosa.
La Sacra Cintola - detta anche Sacro Cingolo - è considerata la cintura della veste della Madonna. 
E' una sottile striscia di lana di capra, di colore verde chiaro, intessuta con alcuni fili d'oro.
Secondo la tradizione, la Vergine Maria la consegnò a San Tommaso al momento della sua Assunzione in cielo.
Prima di partire per le Indie, San Tommaso l'affidò ad un monaco, e qui, di mano in mano, arrivò sino a Michele Dagomari, mercante pratese a Gerusalemme nel 1141. 
La preziosa reliquia, faceva parte della dote di Maria, una fanciulla sposata dal Dagomari, che era discendente del monaco a cui era stata affidata da San Tommaso.
Quando Michele Dagomari tornò a Prato, portò con sè la reliquia, in un baule, sul quale dormì ogni notte per meglio custodirla.
Nel 1173, in punto di morte, confidò su quale tesoro aveva dormito per trent'anni, ai notabili della città.
L'anno successivo la Sacra Cintola fu portata in Duomo con una solenne processione e riposta sull'altare maggiore.
La Cappella apposita sul lato sinistro della chiesa, fu costruita dopo il tentato furto, e lì è tutt'ora custodita.
Nel 1787 il Vescovo di Prato e Pistoia Scipione de'Ricci, di simpatie gianseniste, e comunque in piena epoca illuminista, tentò di scoraggiare il culto di questa reliquia, ma ci fu una sollevazione popolare di tale imponenza, che dovettero intervenire le truppe granducali per riportare la calma.
L'esposizione pubblica della Sacra Cintola si chiama Ostensione e si verifica cinque volte l'anno.

Il giorno di Pasqua, il 1° maggio - ma la festa dei lavoratori non c'entra niente - il 15 Agosto, l'8 Settembre - è la festa più solenne - e il 25 dicembre.
In una ventina d'anni, è capitato un paio di volte che a Prato venisse il Papa.
In questo caso non gli viene certo negata la possibilità di fare un'ostensione straordinaria! 

Nessun commento:

Posta un commento