domenica 31 gennaio 2016

IL PASSO PIU' BASSO della Toscana

In Toscana, con l'Appennino centrale a fare da confine settentrionale, non mancano certo i valichi .
Nel passato i passi appenninici hanno rivestito un ruolo importante nel sistema di comunicazioni nord/sud,  favorendo lo scambio di merci e il passaggio delle persone,  sino a quando questi spostamenti si sono svolti a piedi o a cavallo. All'affermarsi di sistemi di comunicazione piu' moderni, come la ferrovia prima e l' autostrada in tempi più recenti, queste località dono state relegate in secondo piano, ambite solo da centauri in cerca di strade che sappiano emozionare.
Passo della Cisa, passo del Cerreto, passo della Futa, giogo di Scarperia, passo del Muraglione, passo dei Mandrioli,  sono fra quelli che godono di una meritata fama e che hanno tante storie da raccontare.
Ma oggi vogliamo parlare della Focetta della Valletta, che con i suoi 40 m.slm è il passo più basso della Toscana.

Si trova lungo la Strada provinciale 4 delle Sorgenti,  che unisce Livorno a Nugola.
Il tracciato non esalterà le vostre doti di guida, ma invitiamo a scalare  una marcia e rallentare;  ammirerete il vecchio acquedotto Leopoldino,  che per un tratto costeggia con i suoi archi la strada fino a Piano di Rota,  dove troverete il Cisternino,  opera in stile Neoclassico realizzata dall'architetto Pasquale Poccianti, e che aveva lo scopo di  accumulare le acque, che venivano qui dentro anche depurate.
Riprendiamo la provinciale, che per qualche chilometro mantiene un andamento pianeggiante, e prima del bivio per Parrana San Giusto,  inizia la leggera salita che porta al nostro passo: non troverete cartelli che attestino che lì c'è un valico, come invece succede per quelli più famosi, ma il passo c'è.
Noi ne abbiamo notizia solo perchè abbiamo avuto la pazienza di leggersi tutto un libro, "Valichi stradali d' Italia" scritto da Georges Rossini.








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domenica 24 gennaio 2016

LA PIETRAMARINA

Spesso si dicono i nomi delle località, senza porre attenzione al loro significato. Per chi abita nei pressi del Montalbano, il nome Pietramarina è legato alla riserva naturale ed a una piscina, molto frequentata in estate. Punto.
Invece  Pietramarina è una vero pietrone, collocato in un determinato punto del Montalbano, dalla cui sommità - nelle giornate molto terse - cui si accede tramite delle apposite scalette scavate nel pietrone medesimo, si può scorgere il mare.

Che, vi assicuriamo, è molto lontano.
E il bello è che, girandosi dall'altra parte, si vede bene l'Appennino.
Qui le viti e gli olivi lasciano via via il posto ai boschi dove, insieme ai cerri, è possibile trovare delle secolari piante di agrifoglio.
Facente parte della riserva naturale, è anche un'albereta, con alberi da tutto il mondo, voluta dal consorzio Montalbano.
A poche centinaia di metri dalla pietra, si trova il sito archeologico di Pietramarina, dove sono state trovate le tracce di un insediamento etrusco, frequentato sin da VI secolo A.C..

Certo, questa è zona etrusca; Artimino è molto vicino, e proprio per questo il sito era un punto di osservazione militare. Da qui, dominando la pianura sottostante, (e siamo sicuri che ai tempi degli Etruschi le giornate terse erano certamente molte di più che adesso. L'industrializzazione e le sue emissioni nocive, ai tempi, non dovevano costituire un problema...) potevano vedere l'avvicinarsi dei nemici dalla parte del litorale, e comunicare visualmente, tramite una catena di comunicazioni che da qui rimbalzava ad Artimino, da lì a Fiesole ed infine a Volterra!
Nei pressi degli scavi, un paio di costruzioni: siccome il posto era famoso per la grande visibilità che si godeva su tutta la pianura sottostante, in epoca medicea ci hanno costruito l'abitazione delle guardie venatorie, che sorvegliavano lo smisurato parco del Barco Reale, di cui abbiamo accennato più volte parlando del parco delle Cascine di Tavola (link) e della villa Medicea di Poggio a Caiano (link) e che si estendeva per una porzione considerevole del territorio del Montalbano, comprendendo nella sua estensione sia quest'ultima, che la villa di Artimino.
Il nome della casetta è autoesplicativo: casino dei birri

Più vicina alla Pietramarina, un'altra costruzione, probabilmente la stalla.

Le guardie venatorie dovevano essere pagate bene, al tempo dei medici, perchè il posto è isolato adesso, immaginiamo come doveva essere a quei tempi!


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domenica 17 gennaio 2016

IL CANALE DELLA BOTTE (E IL LAGO DELLA GHERARDESCA)

Vorremmo parlare, stavolta, di una eccezionale opera idraulica, realizzata in epoca granducale, tra Cascina e Fornacette (PI).
Come sappiamo, il nostro caro granduca Leopoldo II, era uno che, quando si trattava di erigere mura, alzare cippi e realizzare fontane, non si tirava certo indietro.
Scherzi a parte, è stato riconosciuto che il suo governo fu uno dei più miti e tolleranti dell'epoca, tanto che la Toscana rimase quasi immune dai moti rivoluzionari che incendiavano le città di allora.
Del resto, il Granducato di Toscana, sotto Pietro Leopoldo, fu il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte il 30 novembre del 1786.
Questo tanto per dire che i Lorena erano sovrani assoluti, sì; alleati dell'Austria, sì (e ci credo...erano loro che regnavano sull' Austria), ma erano anche personaggi illuminati, che fecero del Granducato uno degli stati più prosperi e pacifici d'Europa.
Stranamente, di quel periodo così prolifico di opere e di iniziative, non rimane quasi niente.
Solo chi, come noi, va a frugare sotto gli strati di oltre centocinquanta anni di stato unitario, scopre qualcosa.
Forse è stato proprio il fatto di dover creare un'unità nazionale che prima non esisteva, a far sì che la memoria di tante buone opere poste in atto dai Lorena venisse  - in maniera studiata, per non dire colpevole - dimenticato.
Ma c'è chi non dimentica, come pare dalla vena polemica che abbiamo colto in questa targa, posta sulla "botte" cioè sull'uscita del canale di cui volevamo parlarvi.

Perdonateci la divagazione.
Torniamo a questa opera idraulica; in pratica un canale sotterraneo che passa sotto l'Arno, nell'attuale comune di Fornacette,  - in un punto tutt'altro che trascurabile per larghezza, visto che si avvicina alla foce - per una lunghezza di ben 255 metri.
E' un'opera che, a volerla realizzare adesso, comporterebbe anni e anni di progettazioni, litigi con gli ambientalisti, con i comuni vicini, e quelli da cui il canale proviene,  e a quelli ove sfocia, senza contare il risentimento dei comuni che non sono toccati dall'opera (perchè per loro di sicuro rappresentava un'opportunità irrinunciabile) e con gli abitanti della zona riuniti in comitato eccetera eccetera; per non parlare degli appalti truccati, delle ruberie e della lentezza dei lavori.
Invece questa opera imponente fu terminata in poco meno di cinque anni, tra il 1854 ed il 1859 (e pensate: con i mezzi dell'epoca!).
In pratica si trattava di deviare il Canale Imperiale, pensato dall'eminente architetto Leonardo Ximenes quasi cento anni prima; questo canale, che era l'emissario del lago di Bientina doveva garantire il ricambio delle acque, allo scopo di risolvere il problema dell'aria fortemente insalubre.
In realtà il canale non aveva risolto il problema, perchè lasciava defluire le sue acque nel fiume Arno, e per questo aveva addirittura aggravato il problema delle piene del fiume in questa zona assai pianeggiante, ricevendo nel suo alveo le acque provenienti dal lago.
La soluzione fu trovata dall'architetto Alessandro Manetti, figlio d'arte perchè anche suo padre Giuseppe fu un famoso architetto.
Studiò di deviare il Canale Imperiale detto anche "del Cilecchio", in modo che passasse sotto il fiume - appunto con un canale sotterraneo detto "botte"- in modo che le acque che defluivano dal Lago di Bientina non aggiungessero la loro portata a quelle del grande fiume, già così bizzoso di natura.

Il progetto fu approvato da Leopoldo II, che tanto a cuore aveva preso le sorti della popolazione delle campagne tra Cascina e Fornacette, già così duramente provate dal doppio alluvione del 16 febbraio e del 23 marzo 1855 , e procedette rapido, tanto da risolvere definitivamente la questione, avviando di fatto il prosciugamento del lago.
A proposito del lago di Bientina, il lago della Gherardesca ne è una delle piccole rimanenze. 
Situato in un'area di circa 30 ettari, ai piedi del Monte Pisano, nel comune di Capannori (LU), è un luogo ideale per gli uccelli palustri, che qui trovano il loro ambiente e cibo abbondante (i pesci non sono molto d'accordo, ma non si può accontentare tutti...).
Il lago si chiama Della Gherardesca per richiamare il nome della antica casata nobiliare a cui il territorio apparteneva, e che risanò la zona paludosa inaugurando un impianto idrovoro il giorno 22 Agosto 1925. 
La zona bonificata, si chiama infatti "bonifica Della Gherardesca".

E' un luogo di grande valore paesaggistico - per dire la verità noi siamo un po' parziali in proposito, perchè è nota la nostra passione per i laghi, le paludi e amenità del genere - dove si possono trovare ancora dei residui boschi igrofili nelle zone scure (vale a dire quelle che in estate lasciano evaporare la maggior parte delle acque, rimanendo paludose) accanto a rimboschimenti artificiali, quasi tutti pini marittimi.
E' il luogo ideale per gli appassionati di bird-watching, perchè un sentiero percorribile a piedi, ne segue interamente il perimetro, permettendo anche una piacevolissima passeggiata.

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domenica 10 gennaio 2016

CASCINA: TUTTA UN'ALTRA STORIA

Che Cascina  (si pronuncia Càscina, e lo scriviamo così una volta sola) sia un insediamento romano, anche un cieco lo vedrebbe dalla sua disposizione ortogonale, tipica dei castrum romani.
Del resto i nomi derivanti dalle centuriazioni romane (che quindi finiscono in -ano e -ana) qui non mancano:  Misigliano, Laiano, Titignano e Bibbiano, tanto per fare degli esempi.
A differenza di molti luoghi, di cui si parla nei testi scritti non prima dell'anno mille, Cascina è menzionata nelle antiche pergamene già dal 750.
Certo, il suo nome potrebbe benissimo derivare da cascina, senza accento, intesa come casa di campagna, ma potrebbe derivare anche da Cassenius, che è un nome di persona: quindi il podere di Cassenius.
Ma sono solo ipotesi.
Qui c'era anche un torrente che si chiamava Càscina,  (ripetizione voluta...) e il nome della cittadina potrebbe derivare anche dal suo fiume. Che adesso non esiste più, interrato e disperso. Certo, doveva trattarsi di un fiume da poco se ha fatto questa fine ingloriosa.
Quello che colpisce di Cascina sono i suoi portici.

Sul castrum infatti, si affacciano tutti porticati, cosa questa che in Toscana è più unica che rara.
Volendo fare un'ipotesi molto fantasiosa, si potrebbe ipotizzare che la cascina fosse organizzata come quelle padane, che hanno portici rivolti verso l'interno, per il ricovero di mezzi agricoli e animali.
Ma è molto più probabile che l'utilizzo dei portici fosse militare.
Non mancano le belle architetture: notevole è l'antichissima Pieve di Santa Maria, nella pietra verrucana intarsiata,  tipica del romanico pisano. Più recente invece è il suo campanile.

Nell'anno 1385 fu terminata la costruzione di alte mura - che le davano la forma quadrata di un forte -  dopo che nel 1295 la sua torre era stata abbattuta dai lucchesi e dopo che negli anni successivi era stata saccheggiata, derubata e conquistata, nelle ripetute guerre tra lucchesi e pisani, tra fiorentini e lucchesi e tra pisani e fiorentini.
Proprio ad una decisiva battaglia tra questi ultimi, si deve la fama di Cascina.
Infatti la battaglia che si tenne alla fine di luglio del 1364 fu immortalata nientemeno che da Michelangelo - che però aveva completato solo i disegni preparatori: evidentemente la commessa non andò poi a buon fine - e da Giorgio Vasari. Il suo dipinto ha avuto maggior fortuna e adesso è esposto a Palazzo vecchio a Firenze. forse perchè chi vinse la storica battaglia furono proprio i fiorentini.
E quindi il dominio di Cascina, situata proprio sulla strada che da Pisa portava a Firenze - adesso di chiama SS67 tosco-romagnola- passò da Pisa a Firenze (ma i cascinesi, per Firenze non hanno mai avuto simpatia).
Le mura di Cascina, realizzate in pietra verrucana e in laterizio,  hanno superato quasi  indenni i secoli e la seconda guerra mondiale, per essere poi abbattute dai sui abitanti stessi, nel secondo dopoguerra per "dare aria" al borgo.
Adesso si griderebbe allo scandalo, ma alla fine degli anni '40 del secolo scorso la cosa sembrava assolutamente logica e costruttiva.
Adesso ne sono rimaste solo alcuni tratti, preservate evidentemente per farne ammirare la passata grandezza.

Del resto negli anni successivi la città ebbe un grandissimo sviluppo industriale, legato all'industria del mobile.  Infatti l'arte in cui gli abitanti di Cascina erano maggiormente versati era proprio la lavorazione del legno.
L'industria del mobile ha seguito il suo corso, sino ad avere perso molta della sua importanza nell'economia generale della zona.
Rimane però l'abilità nella lavorazione del legno, che ha fatto sì che si creassero delle industrie di nicchia, ma di livello altissimo, che realizzano i lussuosi interni in legno di gran parte degli yacht che solcano i sette mari.

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domenica 3 gennaio 2016

L'EREMO DI CALOMINI

Di nuovo in Garfagnana, abbiamo scoperto un interessante collegamento tra un luogo straordinariamente suggestivo,  e la città di Prato.
Si visita questo santuario e prima di tutto, si rimane affascinati dal luogo, incredibilmente incastrato in uno strapiombo roccioso.
"Incastrato" è la parola giusta, perchè il loggiato seicentesco ed il campanile che si vedono emergere -  bianchissimi - dalla roccia color perla, sono solo una parte dell'edificio religioso, che è scavato per venti metri nella roccia viva.
La chiesa internamente è in stile barocco, e nell'altare maggiore conserva la miracolosa immagine della Beata vergine dei Martiri .
a questa immagine sacra sono collegate varie tradizioni: dalla donna di Calomini - paese che sorge sul culmine del colle, amministrativamente appartenente al comune di Vergemoli . precipitata dall'alta parete rocciosa del monte e rimasta miracolosamente illesa, avendo invocata la Santissima Vergine; all'immagine trovata nel bosco e che, portata a Gallicano, "tornava" ogni volta nella grotta sui monti dove tutt'ora si trova, segno questo che fu interpretato come la volontà della Madonna di rimanere in quel luogo.
Esternamente si può accedere al una cappella che risale all'anno mille, completamente scavata nella roccia - e per questo detta appunto grotta - estremamente suggestiva, la cui volta rocciosa è costellata di punti luce, che devono renderla, alla sera, uno spettacolo straordinario.
Anche l'antica sagrestia e le celle degli eremiti- queste ultime non visitabili - sono completamente scavati nella roccia.
Questa zona è straordinariamente ricca di eremitaggi, sia costituiti da piccole comunità che da singoli individui che intendevano dedicare la propria vita alla preghiera e meditazione, nella solitudine e nell'isolamento più completi.
Ed in effetti il luogo si presta molto a questa visione estrema del Vangelo. 
come molti conventi, anche questo permette di contemplare l'opera di Dio, una Natura nella quale il Santuario è immerso nella maniera più completa; si ha l'impressione di navigare in questo mare di verde che si vede davanti. 
Certo, in una giornata di inizio autunno come questa, luminosa e tiepida, il luogo sembra un vero paradiso. Ma la vita tra queste montagne è molto dura in inverno: lo è tutt'ora per chi abita nei comuni più a valle, come Gallicano, per esempio, per cui immaginiamo che le condizioni in cui dovevano vivere gli eremiti nel XIII secolo, non dovessero essere delle più comode.
Dopo la soppressione degli ordini religiosi in epoca Napoleonica, per l'eremo inizia un lungo periodo di decadenza, se non di vero e proprio abbandono. 
Solo verso la fine del XIX secolo, l'eremo viene affidato al clero secolare, dove quindi i parroci delle località vicine officiavano messa. 
Nel 1914 venne affidato ai padri cappuccini,che ne ebbero la custodia per 98 anni, sino al 2011, quando venne affidato ai Discepoli dell'Annunciazione, comunità proveniente dalla Diocesi di Prato.
Ed ecco il collegamento dell'inizio.
 collegamento che ci ha colpito in modo particolare, visto il nostro amore per la Lucchesia e la Garfagnana; un sentimento che, evidentemente, non alberga solo nel nostro cuore!


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