Quella di aggregarci ad un gruppo fotografico per una visita privata al Castello di Sammezzano.
Avevamo già avuto modo di vedere questa straordinario edificio, e ne avevamo parlato (link)
Quella di oggi però è stata una visita particolare, in cui non siamo stati intruppati in un gruppo che poteva solo seguire pedessiquamente la propria guida.
Essendo, non solo un gruppo, ma un gruppo fotografico, siamo stati lasciati molto più liberi di muoverci rispetto alle - rare - visite che sono concesse al pubblico.
Ovviamente appena siamo entrati al piano nobile, i fotografi sono impazziti nelle sale arabeggianti.
Le sale sono disposte come un corridoio circolare che gira intorno alla stanza centrale, la famosa sala bianca.
Dopo aver provato una varietà infinita di inquadrature, abbiamo imboccato una scaletta di servizio, che ci ha portato al piano superiore.
Sapevamo che negli anni '80 questo era stato un albergo di lusso, ma vedere le tracce di questo passaggio è stato traumatico.
Al primo piano sono poche le stanze decorate: solo gli ambienti di passaggio sono nello stile del Castello. Per il resto si tratta di stanze piuttosto comuni, che a causa dell'uso che ne è stato fatto per anni come albergo, ha reso ancora più sciatte. Pochi mobili rimangono all'interno di queste stanze, per lo più vecchi divani polverosi o fusti di letto sfondati, che accentuano ancor di più - se pur possibile - l'impressione di abbandono e sfacelo che si vede tutto intorno, e testimoniato da tanti particolari avvilenti.
L'anonima moquette rossa che copre un rosone intagliato nel pavimento, un ascensore che pare vergognarsi di sè stesso, tanto è piccolo è nascosto o il parquet gonfio di umidità, che copre chissà quale pavimento intarsiato.
E poi le macchie di muffa negli angoli alti delle stanze, gli specchi opachi di polvere, la plastica cotta dal sole, nella parte alta delle finestre.
Viene da domandarsi come sia possibile che un simile patrimonio di bellezza sia stato lasciato a marcire in queste condizioni, per oltre venti anni.
L'insulto più grande lo abbiamo visto in una stanza al primo piano, che sembrava fosse stata adibita ad ufficio: le pareti affrescate a gigli di Francia erano state coperte con una anonima carta da parati, i i pavimenti intarsiati, erano stati forati per far passare le canaline dei cavi dei computer (o si trattava di macchine contabili?! dopotutto stiamo parlando degli anni '80).
Una piccola apertura nel muro ha attirato la nostra attenzione: una stretta scaletta ci ha portato sempre più in alto, sino alla torre ed al suo belvedere, dal quale si può spaziare su una spettacolare vista a 360° sul panorama circostante.
L'esercizio è immaginare il paesaggio, come doveva essere al momento della costruzione della villa!
La visita al pianoterra è stata veramente interessante. Qui negli anni '80 c'era un ristorante, ovviamente con annesse cucine, che per dire la verità non sembravano affatto abbandonata da oltre 20 anni.
Sinceramente, il girarrosto profumava vagamente di legna bruciata!
Ma forse la spiegazione è alla portata di tutti. Esiste una associazione a difesa e decoro della villa: niente di più probabile che abbiano usufruito di questi spazi per farsi un bell'arrosto.
Il bar è quanto di più kitsch abbiamo visto... il bancone di zinco con le decorazioni arabeggianti su fondo arancio era autenticamente anni '80!
Come in tutto l'edificio, tutto ruota intorno ad una stanza centrale rotonda. In questo caso si tratta della vasca, pavimentata in maiolica blu, che alimentava la fontana nella sovrastante sala bianca.
Questa era sicuramente la sala centrale del ristorante, perchè c'erano ancora dei tavoli e delle sedie, oltre alla solita vetrinetta zincata che c'è in tutti i ristoranti.
Intorno, sale di riunione, separè, sale di soggiorno e poi, ovviamente, stanze di servizio ancora ingombre di piccoli oggetti: una scatola piena si saliere di metallo, un'altra di vecchi addobbi natalizi, tre o quattro televisori a tubo catodico, un ammuffito quadro ad olio con una scadente raffigurazione del castello stesso.
Poi, una sala riunioni ben conservata, con arredi vecchi ma in ordine - forse sede dell'associazione di cui sopra - dove ad una enorme colonna quadrata, era infissa una targa di marmo che riportava questa inquietante scritta: questa colonna sorregge tutte le volte
Di fronte, uno stemma in pietra con le sei palle dei Medici.
All'esterno l'atmosfera è serena, ma leggermente cupa: i grandi alberi - quelli che sono sopravvissuti all'incuria degli anni e alla tempesta di vento dei primi di marzo del 2015 - sono maestosi, ma tristi; la balaustra in cotto è corrosa dai muschi e dalle muffe.
In generale, lontano dai colori squillanti dell'interno, tutto il giardino ha un'aria vagamente inquietante.
Chi ha la pazienza di seguirci, sa che non ci piace dare giudizi o mettersi a fare la morale: in genere ci limitiamo a riportare i fatti o a fare qualche battuta - che speriamo strappi un sorriso.
Ma qui c'è veramente da fare una riflessione e domandarsi perchè un ambiente come questo viene lasciato da venti anni a marcire.
Fose, - è un'ipotesi - in Italia siamo drogati dalle bellezze architettoniche dell'antichità, per cui un Castello come questo, vecchio di non più di 150 anni, non viene considerato all'altezza di essere considerato come facente parte del nostro patrimonio culturale.
Sicuramente ci sono edifici più antichi e più meritevoli di questo di essere adeguatamente preservati e restaurati - basti l'esempio del sito archeologico di Pompei, che sta cadendo letteralmente a pezzi - ma qui c'è la magia di sentirsi trasportati in un luogo ed in un tempo assai lontano da quel che può essere qui e ora, come se il signor Panciatichi Ximenes ci avesse aperto una porta spazio-temporale, che ci conduce in un sogno esotico, fatto di candidi intarsi, maioliche dai colori vivaci e porte di bronzo raffiguranti animali fantastici, dai quali puoi immaginarti di vedere passare un'odalisca velata, da un momento all'altro.
Questo era sicuramente il suo obiettivo: vivere in un sogno, cosa che non tutti hanno i mezzi per fare!
Mappa
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