domenica 14 giugno 2020

A PRATO LUNGO VIA FIRENZE: LA MACINE, GONFIENTI ( E IL ROSI)

Continuiamo nel nostro giro turistico tra le frazioni di Prato, e forse il titolo può suscitare qualche perplessità, perchè qui stiamo nominando non una ma ben tre frazioni di cui una...
Vi possiamo solo dire che dovreste fidarvi, dopotutto finora non vi abbiamo - si spera - mai deluso, per cui evidentemente un motivo per cui abbiamo guazzabugliato così questi tre nomi, c'è!
Dunque: Sembra strano a noi moderni, ma in tempi passati La Macine e Gonfienti erano molto più vicine di quanto si possa immaginare. 
Infatti, provate ad immaginare la zona senza la ferrovia che porta a Firenze, e immediatamente capirete quanta poca distanza esista tra le due località.
Certo, la ferrovia è lì da un bel pò. Dopotutto la linea "Maria Antonia" così  chiamata in onore di Maria Antonia di Borbone, seconda moglie di Leopoldo II Granduca di Toscana, è stata inaugurata il 3 febbraio del 1848!
Da allora è stata ammodernata, ampliata, elettrificate e chissà che altro, ma il percorso è pur sempre quello. 
Come comunicazione tra le due frazioni esistevano i sottopassi (tutt'ora visibili ma percorribili solo a piedi o in bicicletta) che ci sono davanti al circolo della Macine e al confine con Il Rosi.
Quello che sappiamo è che anticamente le due frazioni erano unite da una sola parrocchia, quella di San Martino a Gonfienti.
Stabilita questa unione, così poco evidente, parliamo intanto di Gonfienti, che ha alle spalle una storia non da poco: il nome Gonfienti, o Confienti deriva dal latino "Ad Confluentum", quindi alla confluenza, in questo caso tra i torrenti Marina e Marinella, prima che i due alvei fossero stati spostati a congiungersi nel Bisenzio in un punto più basso.
Di Gonfienti sappiamo tutti che era un importante centro etrusco che avrebbe potuto essere identificato con il nome di Camars. Si trattava di una città di tutto rispetto, estesa per circa 17 ettari, la maggioranza dei quali adesso sono sepolti sotto il cemento dell'Interporto della Toscana Centrale, che si può ammirare in tutto il suo splendore, dalle tranquille stradine dell'attuale borgo.
Quando l'interporto fu costruito furono trovate le tracce di questa straordinaria città, ma la società che aveva acquistato il terreno per la costruzione dell'importante infrastruttura non era minimamente interessata all'archeologia, e non esitò a ricoprire il tutto con una bella colata di cemento.
Ne è  rimasta solo una piccola parte scoperta, una fetta al confine con il Comune di Campi Bisenzio e la nostra Ferrovia "Maria Antonia".
Dopo la sua grande storia Etrusca, Gonfienti rientrò nella centuriazione romana della pianura, e la sua storia continuò pacatamente, accanto alla Cassia, che in questo tratto coincide con via Firenze. 
Il monumento più interessante della frazione è sicuramente la chiesa di San Martino che risale al X secolo, 

pare sia stata edificata su volere del Marchese Ugo di Toscana, che poi la cedette ai monaci benedettini, proprio mentre i Conti Alberti (conti di Prato "tristamente" noti), erigevano un fortilizio, la Rocca di Confienti di cui rimangono queste due torri "scapitozzate" (cioè alle quali è stata mozzata la vetta) 

a testimonianza di una ben più salda rocca che serviva sicuramente quale difesa del loro contado, come confermato da Federigo I° in Pavia con atto del 10 agosto 1164.
Ricordiamo che dietro il sereno, delizioso paesino attuale, sorge la sagoma massiccia della villa di Dino Baldassini, adesso trasformata in condominio di appartamenti di lusso, dove l'anziano imprenditore viveva solo dopo che l'unico figlio venne rapito dall'anonima sequestri sarda l'11 novembre 1975, proprio a Gonfienti, e dove non fece mai più ritorno.


Passiamo a La Macine: qui, purtroppo le notizie sono pari a zero. 
Diciamo solo che il toponimo non ha difficoltà di interpretazione. Evidentemente qui c'era un mulino, oppure c'erano delle rocce che potevano servire per costruire le macine. Ma il fatto che il toponimo si riferisca ad una sola ci fa propendere per un mulino, di cui però non abbiamo trovato tracce evidenti.
Le rocce ci sono, ma non sono adatte per la costruzione di questo tipo di utensile, ci vogliono rocce molto consistenti, e la propaggine meridionale della Calvana ai cui piedi la frazione si trova è stata in passato utilizzata per estrazione di rocce, ma per farci cemento...non è la stessa cosa.
Parliamo infatti dell'imponente struttura del Cementificio Marchino, noto a tutti come "La Cementizia" e che ha dato lavoro a tutta questa zona di Prato per 30 anni, dal 1926 al 1956, anno di chiusura.


Qui si produceva cemento e soprattutto Klinker, per cui era particolarmente adatta la marna di cui è composta Poggio Castiglioni. Il materiale, fatto scaldare a temperature altissime, vetrificava, diventando un tipo di pavimento e rivestimento che è stato (ed in parte lo è tutt'ora, per alcuni utilizzi) di gran moda negli anni '50 a causa della sua particolare inalterabilità.
Di questa fabbrica avevamo già parlato nel nostro post sul sentiero degli ottocento scalini.
Dobbiamo essere sinceri: credevamo che la fabbrica fosse molto più vecchia; trenta anni di attività mentre da 65 (ad oggi) incombe sul nostro paesaggio, avendolo cambiato per sempre.
Specialmente da quando la tristemente nota Valore spa ha ingabbiato tutta la costruzione nei primi anni 2000 con l'intenzione di farci chissà che cosa.
Poi la Valore è fallita (ma c'è voluto molto tempo) e tutti noi nel frattempo ci siamo abituati a questa specie di scultura post-moderna visibile praticamente da ogni punto di Prato.
Magra consolazione, perchè se ci si prende la briga di andare più vicini, vediamo che i forni del Klinker stanno per crollare, che i ponteggi metallici sono gravemente pieni di ruggine e che tutta la struttura è alquanto precaria.
Ma adesso vorremmo portare alla vostra attenzione una piccola perla de La Macine, che invece crediamo che siano in pochi a conoscere. 
Si tratta della chiesetta di Santa Maria Maddalena o dei Malsani.
Come dicevamo, La Macine si allunga tutta sull'antica via Cassia, che in questo punto coincide con via Firenze. 
Più o meno davanti all'ex biscottificio Belli, laterale rispetto all'asse viario, si trova una piccola e all'apparenza dimessa chiesetta, che è nata vicino allo Spedale dove ospitare i lebbrosi. 


Già nel 1199, veniva menzionato questo Spedale intitolato a San Jacopo del Ponte Petrino (che come sappiamo non era in corrispondenza dell'attuale ponte moderno)  dove venivano ricoverati gli infetti.
Questo ci dice che la zona ai tempi era lontana dal centro abitato, perchè i lebbrosari venivano costruiti in zone assai remote, lontane da qualsiasi abitazione.
Agli inizi del XIII secolo, il vescovo di Firenze donò allo Spedale, parte del terreno attiguo, perchè vi costruisse un edificio da adibire al culto.


La chiesa di Santa Maria Maddalena ai Malsani fu consacrata nel 1221.
Ed è ancora lì, con il suo candido alberese ed il suo serpentino di Prato, compatta, semplice, con la sua unica navata che termina con una piccola abside semicircolare.


Scommettiamo che ci siete passati davanti mille volte e non l'avete mai notata.

Vogliamo parlare anche de Il Rosi?
Certo, anche se Il Rosi è Campi Bisenzio.

Lo sapevate? Certo, chi ci abita lo sa.
Ma chi non ci abita o non ci conosce nessuno... la vedo dura.
Dunque. Anche qui sul toponimo ci sono pochi dubbi. Evidentemente si trattava di un terreno che era di proprietà di un signore che si chiamava Rosi.
Non ci vuole un detective per arrivarci.
Non chiedeteci perchè quel terreno sia sotto la giuridizione del comune di Campi Bisenzio... dopotutto ad un tiro di schioppo ci sono "I Gigli".
"I Gigli = Capalle = Campi Bisenzio" (anche qui non ci vuole uno scienziato per arrivarci).
Se ci fate caso, in quella strisciolina di via Firenze (solo il lato sinistro andando verso Prato) ci sono tutti palazzoni di 6/7 piani, a differenza di tutto il resto della strada, dove ci sono palazzine al massimo di 2/3.
Questo perchè la località si è sviluppata enormemente solo tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso e hanno sfruttato al massimo il terreno per popolarlo al meglio.


Chi ci abita ha proposto più volte la possibilità di unirsi al Comune di Prato, di cui utilizza viabilità, scuole, servizi pubblici, mentre invece ogni volta che devono fare un documento devono andare a Campi Bisenzio che è (relativamente) lontano. Ma il loro comune li coccola e li vizia, per evitare che se ne vadano.
Oltre la ferrovia, nascosti alla vista, per dire la verità ci sono belle villette, un magnifico giardino con una bassa costruzione che si chiama "Vivere il Rosi", evidentemente atta ad aggregare gli abitanti, e anche una piccola zona industriale.
Insomma, c'è tutto!
(chissà quanti abitanti sono... magari a noi ci servirebbero per arrivare ai 300.000 che sono la quota minima per mantenere lo status di provincia...)

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