domenica 26 gennaio 2014

I GIARDINI DI SCORNIO e NICCOLO' PUCCINI

A giudicare dal via vai di persone in tenuta da corridori che percorrevano convinti i molti sentieri di questo bellissimo giardino, è un parco ben conosciuto dagli abitanti della città di Pistoia.
Noi, pur non abitando certo lontano, non ne sapevamo niente. Anche perchè dalla via Dalmazia, che è uno degli accessi, si vede poco o niente.
E poi è una storia poco conosciuta...proprio una di quelle che piace a noi.
La zona si chiamava Scornio, alle porte della Pistoia medioevale: quello che chiamano "il villone" fu voluto da Tommaso Puccini, che aveva fatto dei bei soldi esercitando l'attività di medico presso la corte dei Lorena.

Il protagonista di questa storia è però Niccolò Puccini - Tommaso era suo prozio -  ideatore e realizzatore dei giardini  nella prima metà del XIX secolo, e che in quella villa era cresciuto. Nato nel 1795, aveva viaggiato molto, ed era una  personalità appassionata, con grandi ideali patriottici;  uno studioso ed un intellettuale, oltretutto affetto da una deformità fisica, come la gobba, che fa molto genio ottocentesco incompreso.  Quindi un personaggio romantico in piena regola, che aveva così alti ideali, che non esitò a finanziare anche i patrioti greci nella loro rivolta contro l'impero Ottomano.
Volle abbellire il panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi, creando i due laghetti comunicanti, organizzando il giardino,  e facendo costruire alcuni edifici:
il Pantheon degli uomini illustri - che adesso è proprietà privata.

una Torretta neogotica, attualmente in cattive condizione di manutenzione
e molti altri che adesso o non esistono più o sono rimasti fuori dal perimetro del parco pubblico.

Era un personaggio assai conosciuto e stimato nella Pistoia dell'ottocento. Un filantropo, perchè proprio nella sua villa,  e tramite un microscopio da lui fatto appositamente costruire, lo scienziato pistoiese Filippo Pacini individuò il vibrione del colera, in dei locali mesi a sua  disposizione dal Puccini stesso, dove potè effettuare le ricerche istologiche necessarie.
Alla sua morte, che lo colse improvvisa a soli 53 anni,  lasciò tutto ai poveri di Pistoia. La sorella Laura, sposata Rospigliosi, non ne fu affatto contenta. E alla luce dei fatti non aveva torto, perchè per fare soldi, il parco fu venduto a pezzi e smembrato, e quel che ne rimane adesso è soffocato dalle case private, da una struttura sanitaria piuttosto scalcinata e dall'incuria diffusa.

Al momento attuale è poco più di un parco pubblico - molto bello, con alberi antichi e  i due caratteristici laghetti  con aironi, anatre e dei paperi molto spiritosi, che si divertivano a starnazzare ogni qualvolta un podista gli passa davanti - e solo alcune delle molte costruzioni esistenti sono ancora in buone condizioni.
Una che non ha subito danni -  tanto doveva sembrare un rudere comunque -  era questo finto tempietto dedicato a Pitagora, sull'isola in mezzo al lago più grande.

Un po' di tristezza ci ha messo questa che doveva essere un giardino di fiori ed erbe aromatiche-  magari c'era anche la limonaia -  e di cui , per la totale incuria, non è rimasto che il perimetro delle aiuole,  a tracciare un tipico giardino all'italiana.

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domenica 5 gennaio 2014

IL DEMONIO DI RIMONDETO

Questa volta non si tratta di un luogo, ma di una leggenda: una leggenda che comunque è legata ad un luogo, la Val di Bisenzio.
Questa valle toscana stretta e severa -  a far da contrasto alla sua gemella sul lato emiliano, la valle del Setta, che invece è ampia e ridente - appare come il posto ideale per ambientare storie un po' truci.
Questa è relativa al  periodo in cui era signore del luogo il Conte Valfredo degli Alberti, di quella poco raccomandabile casata che avrebbe scacciato Dante Alighieri dalla propria porta in una notte d'inverno - e che per questo erano stati mandati all'inferno dallo stesso nella sua Divina Commedia.
Gli stessi che si sarebbero poi  inventata - allo scopo di fare una barca di soldi -  la città di Semifonte in Valdelsa, scatenando una delle più feroci guerre ai quali i feroci fiorentini abbiano mai partecipato (con successo).
Il luogo è Vernio, nome di un comune che riunisce diverse frazioni, tra cui le maggiori sono  Mercatale, San Quirico, Montepiano e Cavarzano. Il nome deriva dal latino Castrun Hiberna, cioè un accampamento invernale, dove le truppe potevano trascorrere la brutta stagione in un luogo (relativamente) riparato.
Abbiamo anche una data, il 18 Dicembre 1005.
Il protagonista è Vitale da Rimochi, noto appunto con il soprannome di Demonio di Rimondeto.
Rimondeto

Il soprannome non era dato a caso: questo simpatico personaggino, in lite con il padre, non esitò a dar fuoco alla sua stessa casa con l'anziano padre dentro, non prima di aver rubato tutti gli averi del pover'uomo, ed ad uccidere la sua fidanzata che aveva avuto il torto di scappare terrorizzata quando aveva saputo del fatto.
Beh, di che cosa c'era da spaventarsi, poi?!
Dopo questa bella impresa, tanto per cominciare, il nostro Vitale si dirige verso Roma, dove nella continua lotta tra Papi e Antipapi, è certo di trovare un buon ingaggio. Infatti, si pone al servizio dell'antipapa Bonifacio VII, per il quale compie varie scelleratezze, non ultima quella di uccidere il Papa Giovanni XIV. Bonifacio VII muore dopo poco tempo dalla sua elezione, e siccome ai romani non stava tanto simpatico, trafugano la salma dell'antipapa e ne fanno scempio. Chi c'era a comandare la plebaglia inferocita? Ma proprio lui, il buon Vitale, che per assicurarsi di entrare tra le truppe dell'imperatore Ottone III, doveva pur dimostrare che con "quello là" non c'entrava niente. Nel calderone della Roma dell'epoca, tra Papi e Antipapi, ebbe modo in un trentina d'anni di mettere insieme dei bei soldi - e tante nefandezze - così quando si decise a tornare al paesello natio, la sua fama l'aveva preceduto, e la gente lo indicava come "Il Demonio di Rimondeto".
Così, in quella sera del 18 dicembre 1005, mentre scendeva al paese di Mercatale, sentì una certa agitazione tra gli abitanti del Borgo, ma come al solito, al suo apparire tutti scapparono. Perchè sentirsi chiamare "Demonio" non dispiaceva a Vitale, e quindi accentuava certe sue caratteristiche fisiche un po' inquietanti - capelli e barba neri ed incolti, naso aquilino molto sporgente, magro e alto per l'epoca - vestendosi eccentricamente di rosso e  nero.
Tuttavia, incuriosito, si accosto' ad una finestra sbarrata e sentì moglie e marito che parlavano dell'ultima efferratezza del Conte, che aveva fatto rapire Geltrude, una bella fanciulla del Borgo, prossima al matrimonio con Rainaldo.
In poche parole, il Conte aveva fatto rapire la ragazza e imprigionato il povero fidanzato nell'osteria del paese, guardato a vista da due guardie, che gli avrebbero impedito qualsiasi azione: nel frattempo il Conte si sarebbe preso le sue soddisfazioni con la ragazza.
I racconti parlano di un jus primae noctis, del quale il Conte avrebbe voluto avvalersi vista l'avvenenza della donzella, ma le notizie che abbiamo in mano parlano che il matrimonio non era ancora avvenuto, per cui ci sembra che somigli di più alla storia dei Promessi Sposi...
Ma torniamo al nostro Vitale, che, sentita la notizia, scuote le spalle e se ne va per la sua strada. Mentre cammina, sente una voce che canta una triste canzone - che somiglia maledettamente all'Addio ai Monti di Lucia Mondella - e il suo cuore, indurito dalla vita e dalle tante malefatte, ebbe un'improvviso ravvedimento. Mormorò una preghiera - cosa che non faceva da quarant'anni - e si avviò all'osteria di Zagrino, dove era prigioniero il povero fidanzato, Rainaldo.
Arrivato lì, si fece condurre dove era prigioniero il ragazzo.  A sorvegliarlo c'erano due sgherri del Conte, ma si sa, il miglior vino della valle ce l'aveva Zagrino, per cui ne avevano bevuto parecchio e adesso sonnecchiavano davanti al fuoco.
Vitale non perse tempo a discutere: aprì la finestra, che dava a picco sul fiume Bisenzio, ribollente delle piogge abbondanti che c'erano state di recente; prese i due per la collottola e li buttò nel fiume, dove annegarono senza nemmeno riuscire a svegliarsi dal torpore del vino.
Liberò Rainaldo dalle corde che lo tenevano prigioniero e gli impose di andare a fare i preparativi per il suo matrimonio, che si sarebbe tenuto il giorno dopo, come convenuto.
Rocca di Vernio

Nel frattempo, si era recato al Castello di Vernio dal Conte Alberti, Pietro, un vecchio eremita in odore di santità,  che viveva a Montepiano dove, dalla grotta dove inizialmente viveva, venuto dal Monastero di Vallombrosa, aveva fatto erigere l'Abbazia che ancora oggi esiste.
Questo Padre Pietro era venerato tra i pastori e i contadini della valle, come un santo vivente, e anche i Conti Alberti e le loro soldataglie lo veneravano e ne avevano timore.
Rocca di Vernio

Saputo del fatto di Geltrude e Rainaldo si era recato a parlare al Conte (non vi ricorda proprio niente dei Promessi Sposi...?) ma non era stato ricevuto. Infatti il Conte non voleva nessuno tra i piedi quella notte, ed aveva dato ordini per cui nessuno poteva entrare.
Ma dove ad un Santo fu proibito, il demonio riuscì a entrare.
Tramite una corda, entrò da uno dei finestroni del Castello, in una stanza dove sonnecchiava un funzionario, che si spaventò moltissimo quando lo vide. Si fece portare davanti al Conte e gli intimò di restituire la ragazza alla madre e al fidanzato nell'arco di due ore. Rovesciò una clessidra e diede al Conte quel tempo per ottemperare all'ordine. In caso contrario l'avrebbe impiccato.
Il Conte conosceva la fama del Demonio di Rimondeto, ma era un Conte, era nel suo Castello e voleva a tutti costi approfittare della ragazza nell'altra stanza. Furibondo, si attaccò al cordone del campanello per far accorrere le sue guardie, ma nel tempo che aveva impiegato a girarsi per suonare, Vitale non c'era più.
Le guardie cercarono dappertutto, e sia loro che il Conte escludevano la possibilità che Vitale fosse potuto fuggire dalle finestre, che davano su un baratro dal quale ritenevano impossibile fuggire senza sfracellarsi sulle rocce prima e nel fiume poi. Il Conte Valfredo si spavento', ma lo spavento non gli impedì di correre da Geltrude, e con la blandizie prima e con le minacce poi cercò di farla cedere.
Quando sembrava che il destino della fanciulla fosse segnato, un fulmine illuminò a giorno la stanza. delineando la snella e inquietante sagoma del Demonio di Rimondeto.
Dopo dieci minuti la sentinella del Castello faceva abbassare il ponte levatoio per far passare il Conte e Geltrude, che si allontanavano nonostante la pioggia cadesse battente.
Il giorno dopo, il sacerdote di Mercatale univa in matrimonio Rainaldo e Geltrude, che pensarono bene di andare a vivere la loro vita da un'altra parte, lontani da tutti i guai che - loro incolpevoli - avevano cagionato.
Le guardie del Conte, nel frattempo si domandavano come mai il loro padrone non tornasse. Al terzo giorno si decisero ad andare a vedere nelle sue stanze, e lo trovarono nudo, impiccato ad una trave, con i vestiti di Vitale da Rimochi, sparsi ai suoi piedi.
Finalmente capirono l'inganno e videro anche la fune che era servita all'assassino per entrare ed uscire dalla stanza del Conte.
Così il Demonio di Rimondeto aveva mantenuto la sua promessa...
Trent'anni dopo, i frati dell'Abbazia di Montepiano pregavano per l'anima di un loro confratello, che stava per salire a Dio. Il Priore raccolse l'ultima confessione del pio moribondo e le sue ultime parole, che confidavano nel perdono di Dio.
Badia di Montepiano

Quando tutto fu finito, andò dai confratelli che pregavano e svelò loro che Frate Pietro, nel secolo si chiamava Vitale da Rimonchi, detto il Demonio di Rimondeto.
Che ve ne pare, non sembra pari pari la sorte dell'Innominato nel romanzo di Manzoni?

In realtà Manzoni si era ispirato, specie per questo personaggio, ai romanzi gotici del settecento dove c'era sempre una fanciulla  perseguitata da un qualche più o meno nobile uomo di malaffare.
E chissà che i romanzi gotici del settecento non abbiano tratto in qualche modo, ispirazione da questa storia. Avremmo fatto una scoperta storica notevole, non vi pare?

Per ricostruire questa vicenda ci è stato prezioso:
"Di Castagne e d'Altro" testo di Umberto Mannucci, edito dalla Comunità Montana Val di Bisenzio.


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