domenica 29 maggio 2016

LA ROCCHETTA MATTEI

La  prima volta in cui abbiamo sentito parlare di questa straordinaria costruzione è stato dal nostro eroe e mentore Philippe Daverio, in una puntata del programma televisivo "Passepartout".
La costruzione era stata aperta per l'occasione alla troupe televisiva di Rai5, ed il nostro ne evidenziava lo stato di abbandono, ed il degrado che aveva colpito i materiali da costruzione.
Infatti, il Conte Cesare Mattei, ideatore di questo sogno kitsch nel bel mezzo dell'appennino Tosco-emiliano, era un modernista,  ed i materiali che usati per la costruzione del castello, per l'epoca erano all'avanguardia. 
Un esempio sono le innumerevoli statue in calcestruzzo, un materiale che nel 1850, anno di inizio dei lavori del castello, era a dir poco fantascientifico.
Ma che ha subito le ingiurie del tempo, molto più del marmo o della pietra, che venivano comunemente usati per le costruzioni nobili.
Ma procediamo con ordine.
Il Castello (Rocchetta, perchè sorge sopra e dentro una roccia) sorge nel comune di Grizzana Morandi (Bologna) ma è molto più a portata di mano di quello che può sembrare, perchè in definitiva è una cinquantina di chilometri da Pistoia, su una diramazione della SS64 Porrettana.

Se non si trovano ciclisti che rallentano la circolazione, ci si arriva in poco più di un'ora, percorrendo una delle strade più belle e ombrose della zona.
Non ci sono indicazioni di nessun tipo, e questo ci ha a dir poco meravigliato, conoscendo la precisione e l'organizzazione che caratterizzano le amministrazioni emiliane.
Comunque siamo riusciti ad arrivare senza grosse difficoltà - a dire il vero - e abbiamo ritrovato tutta l'efficienza emiliana, tra i ragazzi che formavano i gruppi di venti persone che, al seguito di una delle guide volontarie del loro gruppo, potevano visitare il complesso monumentale.
La nostra guida, una ragazza giovane e competente, non è stata avara di spiegazioni.
Cesare Mattei nasce a Bologna da una famiglia assai agiata nel 1809; essendo un rampollo dell'alta borghesia, aveva spianato davanti a sè la carriera politica, e difatti fece parte del parlamento dello Stato Pontificio, di cui Bologna faceva parte. 
Fu uno dei fondatori della Cassa di Risparmio di Bologna nel 1837, e quando la madre morì, dopo un decennio di sofferenze a causa di un tumore, decise di lasciare la vita politica e di dedicarsi alla ricerca di un tipo di medicina diverso da quello dell'epoca e che tanto lo aveva deluso nella gestione della malattia materna.
Nel frattempo, lui e suo fratello avevano ottenuto, per concessione papale, il titolo di conte - per aver donato al Papa una loro proprietà nella zona di Comacchio (l'attuale Porto Garibaldi), che si rivelò assai utile nella difesa contro l'impero Asburgico - e durante una visita al fratello, che abitava con la moglie nella zona, si innamorò dei ruderi dell'antica rocca di Savignano - fortezza attribuita a Matilde di Canossa - la compro' e cominciò la costruzione.
Nel frattempo, continuava i suoi studi e sviluppò a suo modo le teorie omeopatiche del dottor Hanemann, creando la elettromeopatia, dove si fondevano i principi della medicina omeopatica, con le teorie elettriche tanto in voga all'epoca.
Fu sempre avversato dalla medicina ufficiale, ma i suoi rimedi non dovevano essere poi tanto campati in aria, se nel 1880 esistevano oltre 100 depositi dei suoi rimedi sparsi in tutto il mondo.
Nel 1859 si stabilì definitivamente alla Rocchetta, dove sorgeva anche il suo ambulatorio e dove venivano prodotti i suoi rimedi.
La produzione continuò sino alla fine degli anni '50 del secolo scorso, quando cessò del tutto in Italia.
A quel punto il castello era stato seriamente danneggiato dalla seconda guerra mondiale - un'intera guarnigione tedesca lo occupò nel 1944, e fu in parte responsabile del trafugamento delle opere d'arte e dei mobili finemente intarsiati che lo abbellivano. In parte, perchè le condizioni in cui versava la popolazione locale erano terribili, e anche loro contribuirono a spogliare il castello di tutto quello che poteva avere un valore. Persino tende e tappezzerie furono rubate per farne vestiti...
Il castello è costruito in stile eclettico, un po' perchè era lo stile dell'epoca, e un po' perchè fu costruito inizialmente come un castello medioevale, integrato poi con degli elementi arabeggianti, anche quelli tipici dell'epoca.
Nel 2005, dopo perlomeno venti anni di completo abbandono che lo avevano danneggiato ulteriormente - anche perchè, nel bel mezzo dell'appennino, gli inverni son duri, e il calcestruzzo si sa, se non viene manutenzionato convenientemente, si deteriora in pochi anni - è stato acquistato dalla fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna, che in dieci anni di accurati e difficili restauri, lo ha riaperto al pubblico nell'agosto del 2015.
Adesso è visitabile per due terzi: rimangono ancora interdetti al pubblico gli appartamenti privati del Conte Mattei.
Siamo rimasti affascinati dalle tante affinità con il Castello di Sammezzano (vedi link 1 e link 2) al quale, in effetti, la rocchetta Mattei è gemellata.
Ma si tratta di uno stile molto più intimo, meno fastoso. Ci sono meno colori, meno ornamenti, anche se il gioco intellettuale dei falsi è lo stesso.
Se al Castello di Sammezzano i ricami di pietra dell'Ahlambra sono resi in gesso, qui sono addirittura dipinti. Come sono dipinti, quelli che ad un esame superficiale semprano intarsi in legno. E questo non per risparmiare, beninteso. Era un gioco, un esercizio di stile, un voler creare dei simboli, come la piccola stanza pentagonale, dove questa figura geometrica è declinata all'infinito.
Oppure come la straordinaria cappella, dove questi archi bianchi e neri non sono in marmo e serpentino come nelle cattedrali toscane, ma sono verniciate, e servono a dare un senso geometrico ad una stanza dove ogni angolo è diverso dall'altro. E dove il soffitto che sembra scolpito in rilievo - e ce ne rendiamo conto quando visitiamo il sarcofago del conte, mille scalini più in su - è di legno dipinto!

E che dire della sala dei novanta, dove un ritratto del conte ci osserva dalla vetrata, che lui aveva costruito appositamente per festeggiare lì il suo novantesimo compleanno, insieme ad altri novanta vegliardi?

Presunzione punita convenientemente, perchè poi è morto ad 86 anni...
Stupendi anche i vari cortili, a cominciare dal primo, con un fonte battesimale medioevale al posto della fontana - a quei tempi non ci si scandalizzava di queste cose - ed al fantasmagorico cortile dei leoni, anche questo ispirato all'Ahlambra di Siviglia.

Da questo cortile si intravede il "cipollotto" la copertura in bronzo che ricopre il tetto dalla forma a cupola araba, dove è posto una specie di faro, che a volte viene ancora acceso, e che serve da riferimento a chi si muove nella valle la notte.

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domenica 22 maggio 2016

POGGIO BONIZIO E IL VILLAGGIO CAROLINGIO

Di Poggibonsi avevamo già accennato nel post dedicato alla Valdelsa.
Ci siamo tornati in uno splendido pomeriggio di primavera, non nella città a valle, di per sè un po' banale, ma nella sua parte alta, in quel Poggio di Bonizio che ne costituisce il vero centro storico.
Bonizio era il proprietario del poggio suddetto, che volle costruire un castello fortificato intorno al 1150; si trattava di una posizione strategica per le guerre - allora all'ordine del giorno - tra la Siena ghibellina e la Firenze guelfa.
Inoltre il "Poggio Bonizio", come venne poi chiamato col tempo, era alla confluenza del fiume Elsa e del torrente Staggia, in una posizione privilegiata per gli scambi commerciali.
Quando poi Siena fu sconfitta, fu proprio Lorenzo il Magnifico a volere la costruzione di una fortezza sul colle, progettata e costruita dal suo architetto di fiducia, Giuliano da Sangallo.
Con la morte di Lorenzo, però il progetto fu abbandonato, anche perchè una fortezza non aveva ragione di essere: tutto era ormai sotto il dominio mediceo.
E anche il progetto della nuova città che doveva sorgere sul poggio - una città ideale di stampo rinascimentale, sul modello di Pienza- fu lasciato cadere nel numma.
Dalla metà del XVI secolo, quindi inizia una china lenta ed inesorabile, che porta il possente edificio della fortezza e del suo spettacolare Cassero a delle condizioni di spaventoso abbandono.
Utilizzato per secoli come rimessa di annessi agricoli, è stato riacquistato e restaurato dal comune,  solo alla fine del XX° secolo, e dal 2005 è di nuovo fruibile dalla popolazione.
Dal Cassero, adibito in estate ad arene per spettacoli all'aperto, si gode un panorama veramente splendido, su una vastissima area dei dintorni.
Dalla fortezza partono vari sentieri, percorrendo uno dei quali ci siamo imbattuti in una straordinaria ricostruzione di un villaggio carolingio.
Infatti, negli scavi archeologici che sono stati condotti su questo colle dal 1993 al 2007 su questo colle, si sono scoperte infinite stratificazioni storiche, la più importante delle quali pare essere quella riconducibile al periodo franco,  quindi intorno al  IX secolo.
Sulla base delle conoscenze archeologiche acquisite, anche relativamente alle case ed agli oggetti ritrovati sul colle, archeologi appassionati hanno ricostruito questo straordinario "Archeodromo", cioè un villaggio carolingio in scala 1:1.
Se ci si va alla domenica, si trovano anche i suddetti archeologi, vestiti con accurate ricostruzioni di abiti dell'epoca, ognuno dei quali interpreta un personaggio diverso, dal notaio al fabbro, al signore del luogo, al mastro tintore, dalla tessitrice al contadino.
Di ognuno vi racconteranno come si volgeva la loro giornata, e quale era il loro ruolo all'interno del villaggio.
Il progetto, sovvenzionato in parte dal comune di Poggibonsi, ed dall'Università di Siena,  è  iniziato con la costruzione - seguendo le direttive dell'edilizia dell'epoca -  dell'ampia casa padronale al centro del villaggio, che serviva anche da magazzino per i prodotti agricoli di tutta la "curtis".
E' stata poi ricostruita una "bottega" il cui interno ci ha lasciato a bocca aperta, per accuratezza e veridicità.
Abbiamo poi trovato il forno comune, il pollaio sopraelevato per difenderlo dai predatori, e poi il recinto per il bestiame, e altre attività che sono ancora in costruzione.
Ovviamente, un materiale così importante e così curato non poteva non essere anche un laboratorio di storia per le scuole. Ed infatti le iniziative rivolte ai ragazzi sono tantissime, e potrete trovale, insieme ad una più ampia descrizione al sito del Parco Archeologico Poggibonsi, che potete trovare a questo indirizzo:http://www.parco-poggibonsi.it/

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domenica 15 maggio 2016

VILLA SALETTA

Di paesi abbandonati ne abbiamo visti - e ve ne abbiamo fatti vedere - tanti.
Ma questo ci ha emozionato e colpito più di altri.
si trova in provìncia di Pisa, nel comune di Palaia, su un colle in salita, in una zona di soave bellezza.

La strada per arrivare al paese, inizia con due colonne di pietra, come se non fosse una strada, ma un viale che porta ad una villa.
Quando si arriva alle prime costruzioni, si rimane perplessi: dove sono le persone? 
Perchè ad un primo colpo d'occhio, sembra tutto in ordine, solo guardando meglio ci si accorge che le porte sono inchiodate, le finestre sbarrate, le porte delle stalle chiuse da lucchetti - nuovissimi e lucidi, in verità - e la bellissima strada in pietra è alquanto dissestata.
Si tratta di un borgo le cui prime notizie risalgono alla fine del IX secolo in epoca longobarda. Pare infatti che il nome derivi da Sala, che era il nome che veniva dato alle case patrizie.
Si sviluppa però, nella forma che possiamo ancora vedere, nel XVI secolo per volere dei nuovi proprietari, la famiglia Riccardi di Firenze, famiglia strettamente imparentata con quella dei Medici.

Venne costruita la strada che tanto ci ha affascinato; da un lato 25 case dei contadini- ed il forno comune -  dall'altra le stalle per gli animali; il selciato sconnesso ci porta ad un'ampia piazza con una tozza torre in mattoni, sulla quale è ancora leggibile il fantasma di un orologio, e sulla cui sommità c'è una piccolissima campana, assolutamente sproporzionata all'aspetto massiccio e potente della torre.

Accanto uno costruzione che riporta, ancora perfettamente visibile, lo stemma della casata dei Riccardi, un cancello delicatamente decorato e uno splendido albero fiorito, mettono una zona d'ombra sulla piazza assolata, su cui si affaccia un'imponente e pur leggiadra villa padronale, con in alto un incantevole loggiato, che diremmo "mediceo" proprio perchè lo abbiamo visto in tante altre ville della famiglia.
Un muro cadente, tenuto insieme da una colossale pianta di glicine, potata con evidente cattiveria, ci porta all'ingresso della villa, tramite alcuni scalini di pietra corrosi.

Il cancello è chiuso con il solito lucchetto lucente.
La piazzetta di ghiaia su cui si affaccia il giardino della villa, ospita anche una chiesa, in discrete condizioni, nella cui canonica abita evidentemente qualcuno, perchè un paio di autovetture sono parcheggiate davanti.

Scopriamo più tardi che questa era la chiesa dove assistevano alla Messa le famiglie più in vista, mentre i contadini si avvicinavano al Signore nella chiesa di fronte, assai più grande, e dedicata ai Santi Pietro e Michele.
Una strada scenderebbe dall'altra parte dell'altura, ma non è percorribile, perchè l'antico muro che sosteneva il terrapieno dove sorge la chiesetta padronale e l'ingresso della villa, è crollato sotto il peso degli anni e delle piogge recenti.
Sappiamo che il borgo, durante la seconda guerra mondiale, è stato occupato prima dall'esercito italiano, poi dalle truppe tedesche.
Immaginiamo che questo abbia negativamente influito sulla popolazione, ma non abbiamo trovato una sola riga circa i motivi dell'abbandono del paese da parte dei suoi abitanti,  anche se riteniamo fondati  i soliti motivi che hanno spopolato le campagne verso le fine degli anni '50 del secolo scorso: era molto meglio andare in città e lavorare in fabbrica, che sopravvivere lavorando a mezzadria i campi di qualche latifondista.
Niente di nuovo.
Lo spopolamento deve essersi compiuto in tempi abbastanza recenti e tanti particolari ce lo hanno detto:il campanello elettrico della villa padronale, i fili elettrici che penzolano da qualche casa, i resti dell'asfalto all'inizio ed alla fine del paese, il cartello sulla piazza della chiesa più piccola, che parla delle bellezze di Palaia.
Un'atmosfera magica, un silenzio irreale; eppure sembrava tutto così ...presente, come se l'intero paese fosse andato in vacanza... ma alla sera tutti sarebbero tornati alle loro case, e da un momento all'altro le persone avrebbero ricominciato a percorrere le piazza chiacchierando, e dalle finestre aperte avremmo sentito suoni e odori, le donne preparando la cena e i bambini giocando tra di loro.
Poi abbiamo guardato giù, al muro crollato, e ci siamo resi conto che no, non sarebbe tornato nessuno.
Che gran peccato!
In questo paese incantato sono stati girati diversi films
"La notte di San Lorenzo" e  "Fiorile" entrambi dei fratelli Taviani ed "Io e Napoleone" di Paolo Virzì.

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domenica 8 maggio 2016

GLI "OSSI DI BALENA"

Se vi è capitato di passare dalla SS67, in quel tratto bello e un po' dimenticato che da Lastra a Signa porta a Montelupo Fiorentino, siete sicuramente passati da una piccola frazione del comune di Lastra a Signa, che si chiama "la Lisca".
Vi siete mai chiesti il motivo del nome?
Beh, noi si.
La lisca del nome non è altro che un osso, forse una costola e presumibilmente di una balena, che è fissato sul muro di una delle case che si affaccia sulla Statale.

Reperto piuttosto strano da esporre in un zona così interna.
Forse un marinaio che lo ha portato alla sua amata al posto dell'anello di fidanzamento?
L'ipotesi era romantica, ma totalmente errata. 
Molto più prosaicamente, dobbiamo ricordare che questa zona, adesso così intensamente popolata, nell'era geologica del Pliocene era un mare.
E siccome nel mare ci sono pesci di tutte le misure, ci sarà stato anche un cetaceo preistorico che sguazzava in questo mare, oltre cinque milioni di anni fa.
Poi, con il tempo, il mare è diventato un lago, poi un laghetto, poi una palude - che gli antichi romani cominciarono a bonificare, rimuovendo la maggior parte di quella diga naturale di cui adesso rimane solo il masso detto "della Gonfolina", e che è a pochissima distanza dalla nostra "lisca" - fino a diventare l'amena valle che è adesso.
Stessa storia per un reperto in tutto analogo, che si trova invece a Cafaggiolo, frazione di Barberino di Mugello, nei pressi della "madre di tutte le ville Medicee" - nel senso che è stata la prima villa che i Medici, originari del Mugello, si sono costruiti - dove anche qui in origine, arrivava il mare. 

Un mare che copriva, oltre al Mugello, la Valdelsa ed le prospicenze del Montalbano (e rieccoci alla prima lisca, quella di Lastra a Signa), quindi una bella fetta della Toscana settentrionale.
Che in questo mare nuotassero strani animali primordiali pare confermato anche dall'esistenza a Scandicci, di un museo di paleontologia e mineralogia, dove è esposto un intero scheletro di balena, oltre ad alcuni animali vicini ai delfini ed a un Dugongo, un mammifero marino (poco) diffuso, ormai solo nell'oceano indiano, e che nei secoli scorsi i marinai tendevano ad indentificare con le sirene, perchè la femmina ha due grosse ghiandole mammarie toraciche, e pinne anteriori che ricordano delle corte braccia.
Inoltre questo strano animale partorisce in genere un cucciolo alla volta, e per allattarlo lo tiene tra le pinne anteriori, come fa una mamma con il suo bambino.
Vabbè, ci siamo imbattuti in questa "Sirena di Scandicci" e ci ha incuriosito.
Ma è una ulteriore conferma che strani animali nuotavano in questo mare primordiale, per cui non è stato difficile, nei secoli, trovare le costole di balena che identifichiamo adesso come i due ossi di balena del titolo.

domenica 1 maggio 2016

IL SACRO CHIODO DI COLLE VAL D'ELSA

Le reliquie che riguardano la croce di Cristo sono molteplici. 
La tradizione parla di 4 chiodi (due per le braccia, uno per i piedi ed uno per il cartello "INRI"(Gesù Nazareno Re dei Giudei in latino: è sicuramente una precisazione inutile, ma farla non si spende niente, quindi...) ma di reliquie legate in qualche modo alla Santa Croce, è pieno il mondo.
Pare però che in Italia abbiamo tutti e quattro i chiodi della Santa Croce.
Uno è a Monza, ed è quello racchiuso nella corona ferrea: si, proprio quella dei re Longobardi, quella che Carlo Magno si fece mettere in testa dal Papa la notte di Natale dell'anno 800.
L'altro è a Roma, nella Basilica della Santa Croce di Gerusalemme. Con questo chiodo fu fatto il morso del cavallo di re Costantino, per proteggerlo nelle battaglie.
il terzo è a Milano, e secondo la tradizione è lì, appeso supra l'altare maggiore, ma la città di Milano ne è in possesso da quando era vescovo Ambrogio - quindi dal IV secolo.
Il quarto invece, è a Colle Val d'Elsa.
Di Colle Val d'Elsa abbiamo già brevemente parlato nel post "le città della Val d'Elsa" (link).
E' custodito nella Cattedrale, nella parte alta della città, e pare che si trovi a Colle dal Xi secolo. 


Era stato affidato ad un vescovo franco, che morì mentre tornava a casa da Roma, dove il papa glielo aveva affidato.
Alla morte del vescovo, passò nelle mani di un prete colligiano, che lo lasciò poi alla città. 
Qui è rimasto in un piccolo scrigno di legno dorato, e solo dopo diversi anni fu commissionato il monumentale reliquiario d'argento che possiamo vedere nella cappella, posta sul lato destro della Cattedrale.

Il culto del Sacro Chiodo era così vivo in Colle, che nessun testamento era considerato valido, se non portava almeno un piccolo lascito al culto della reliquia.
La Cattedrale che lo custodisce è veramente bella a luminosa, ma ancor più sorprendente è la cripta, che si può visitare passando dall'esterno.

Dal XVII secolo è la sede della Confraternita della Misericordia di Colle ma, a parte l'esposizione di drappi e bare tardo-rinascimentali - sorprendentemente piccole per le nostre proporzioni attuali - la cripta è tutta colori chiari, e raffigura fiori, uccelli e piante; forse così immaginavano il paradiso.

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