domenica 17 dicembre 2017

DUE BORGHI DI LARCIANO: IL CASTELLO E CECINA

Lo Scopo del nostro blog è quella di far conoscere luoghi poco noti, nell'ottica del "turismo a chilometri zero", come piace chiamarlo a a noi.
Se poi le storie dei borghi si somigliano un po' tutte, non è colpa del castello di turno; se per noi è il centesimo che visitiamo non cambia niente. Si tratta pur sempre di segnalare un luogo bello e poco conosciuto, come dichiarato nella nostra "policy".
Dunque, oggi vi portiamo a Larciano, in Valdinievole, stretto tra le pendici del Montalbano ed il Padule di Fucecchio.
 Il nome Larciano pare significhi:  "di Larth", che è un nome etrusco, e questo ci dice da quanto tempo questa zona sia abitata. 

A proposito di Larciano Castello - che è quello che ci interessa di più - all'interno del castello stesso si trova un piccolo, piccolissimo museo (pensate, ci ci si può entrare al massimo in dieci per volta), dove gli appassionati potranno trovare testimonianze della civiltà etrusca - e non solo - ritrovati nel territorio.
Era signoria dei Conti Guidi, che però non si vergognarono, nel 1225, a venderlo al comune di Pistoia per 6.000 lire.
A quel punto, Larciano fu inserita con successo nel sistema difensivo di Pistoia, che consisteva in una serie di castelli, che si potevano vedere ad occhio nudo l'uno con l'altro e che potevano comunicare visivamente tra di loro.
Fu conquistata da Firenze e poi riscattata da Pistoia almeno un paio di volte nel corso di duecento anni, ma fu nel 1401 che si sottomise definitivamente a Firenze con tutto i suo contado, e divenne sede di una delle podesterie in cui fu organizzato il territorio pistoiese.
Tra l'altro, uno dei suoi Podestà fu quel Francesco Ferrucci, a cui è dedicata una strada in ogni città d'Italia, e di cui abbiamo parlato nel post su Gavinana (link).
Nel 1774, Larciano fu unificata alla comunità di Lamporecchio, e si deve aspettare il 1897 perchè torni ad essere comune autonomo.
Nel frattempo, si era costituita una piccola comunità intorno alla chiesetta di San Rocco, costruita nel 1631 per volontà del popolo, per ringraziare il Santo protettore contro la peste, di averla allontanata dal territorio.

Ormai la zona era bonificata, e libera dalla malaria, e del 1884, la chiesa di San Rocco fu nominata parrocchia autonoma, non più sottomessa a quella di San Silvestro che invece era sul colle, al Castello.
L'emorragia di popolazione era tale e tanta, che nel 1897, quanto Larciano tornò ad essere comune, fu stabilita a San Rocco, quindi in pianura, la sede comunale.
Ed in pianura si è sviluppato il paese moderno, che non ha proprio nulla di romantico, ma ha il vantaggio di portarci velocemente al borgo medioevale di Cecina.
Questo conserva una cinta muraria, con due porte di accesso, ed una suggestiva piazzetta centrale, di forma ovale.
E' ancora abitato - come il Castello, del resto - e le persone che abitano qui sicuramente ci sono nate e cresciute, ed orgogliose di abitarci ancora.
Anche da Cecina di gode un panorama spettacolare sulla pianura sottostante.
L'antica chiesa di San Nicola è stata edificata in un luogo dove prima sorgeva un tempio pagano, e nei secoli è stata rimaneggiata diverse volte.

Il nome di questo piccolo borgo si ricollega alle origini etrusche della zona.
Infatti Cecina deriva dal nome di una importante famiglia Etrusca, proveniente dall'antica Velathri (beh, si, Volterra insomma), ed il cui nome deriva dal fiume che scorre nella valle sottostante, cioè il fiume Caecina (oggi conosciuto come Cecina).
La Gens Caecinae si era integrata assai bene nell'impero Romano, ed aveva prodotto vari scrittori, consoli, generali, ma era di origine etrusca, ed in questa lingua il  nome si scriveva Ceicna oppure Kaikna.
Abitava nella zona di Volterra da molti secoli, ed aveva molti possedimenti, a cui aveva dato il proprio nome. Tra questi spicca la Cecina in provincia di Livorno, e la piccola Cecina di cui stiamo parlando adesso (ma siamo quasi sicuri che ce ne siano altre)

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domenica 10 dicembre 2017

LA FONTE DELLA FATA MORGANA

Questa volta vi portiamo a Grassina, nel comune di Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze.
Qui, isolata nella bellissima campagna, sorge una villa con un nome che è tutto un programma: "Il Riposo".
Il committente , nella seconda metà del '500, era Bernardo Vecchietti, membro di una delle più antiche famiglie fiorentine, che fece sorgere la villa sul luogo dove già dal 1427 sorgeva una "casa da signore", nome che si dava alle dimore gentilizie nel medioevo.
Il Vecchietti, come tutti i nobiluomini dell'epoca, era un mecenate, ed essendo assai vicino alla corte medicea si ritenne in grado di modificare il paesaggio circostante, esattamente nella stessa maniera in cui i Medici lo avevano fatto nelle vicinanze delle loro numerosissime ville.
Costruì quindi vari fabbricati, destinati allo svago ed al riposo, che decoravano i vasto parco della villa, il più famoso dei quali è proprio questa Fonte della Fata Morgana.
Adesso la villa è di proprietà del comune di Bagno a Ripoli, che l'ha completamente restaurata, e la fonte, nella sua casina bianca e rosa, è su una suggestiva strada bianca, persa nella splendida campagna della zona.

La piccola costruzione è attribuita al Giambologna, e niente di più facile, perchè era un amico personale di Bernardo Vecchietti!
Tutto tende a rendere l'ambiente estremamente suggestivo: il morbido paesaggio circostante, sicuramente plasmato e disegnato dal Vecchietti insieme a qualche architetto di paesaggi, così come usava all'epoca e così come facevano i Medici; la casetta in finti mattoni rosa e pietra alberese, con il pavimento in mosaico di sassolini bianchi e neri, che sull'ingresso formano la scritta "fata Morgana"; il ninfeo che circonda la fonte, anche quello tipico dell'epoca, e che alla sua costruzione conteneva molte belle statue.
Alcune sono andate perdute, altre si trovano collocate in altri luoghi.
E, naturalmente, la leggenda dell'eterna giovinezza che si sarebbe potuto acquisire bevendo l'acqua di quella fonte.
(NON faremo nessuna battuta sul fatto che il proprietario della villa si chiamava Vecchietti; non ce ne siete grati?)

Oltre tutto giravano voci che, nelle notti estive, nei pressi della fonte si tenessero delle feste e dei baccanali, oppure che improvvisamente apparissero dal nulla delle donne giovani e bellissime, che - così come erano apparse - altrettanto improvvisamente scomparivano, lasciando nell'aria solo l'eco di una lieve risatella.
Qualcuno aveva ipotizzato che ci fossero dei passaggi segreti che portavano dalla fonte, sino alla villa.
Ma magari erano davvero le ninfe di Morgana, che volevano divertirsi un po'!

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lunedì 4 dicembre 2017

IL CASTELLO DI VINACCIANO

Questa è l'apoteosi della gita a chilometri (quasi) zero.
Perchè, nonostante si trovi nel comune di Serravalle Pistoiese - che sarebbe comunque a tiro - per arrivarci si passa da quelle strane stradine traverse tra Prato e Pistoia, che un minuto sei nel bel mezzo di una zona industriale e passi sotto il viadotto dell'A11, e il minuto successivo ti ritrovi tra vigne ed oliveti, e anche girandoti indietro non vedi più nemmeno la casa del fattore.
E' una sensazione di straniamento notevole, ma anche di meraviglia. Non si capisce come sia possibile che un ambiente naturale così bello possa trovarsi  a un chilometro dall'ultimo viadotto dell'autostrada.
Eppure è così.
E quando ci si trova davanti all'imponente Castello di Vinacciano, con la sua particolarissima torre pentagonale, la meraviglia aumenta.

Di questo antichissima costruzione si hanno le prime  notizie scritte nel 998, e questo ci fa capire che il castello esisteva già da molto tempo, perchè in questo scritto,un certo Ottone III, dichiara all'allora vescovo di Pistoia, un certo Antonino, di prendere sotto la sua protezione  la Curtem Vinathianam (il castello di Vinacciano).
Ci è venuto da ridere pensando al grandissimo film "L'armata Brancaleone",  con il suo strampalato italiano medioevale, quando dice che "Lo cavaliere feudatario fece grande giuramento di proteggere e ben governare lo castello..."
A parte le reminescenze cinefile, il luogo è in un posto splendido, sulle colline settentrionali del Montalbano, in quelli che una volta venivano chiamati "I monti di sotto", in un luogo che spiega la sua esistenza proprio perchè domina la viabilità da e per la pianura dove ci sono Pistoia -Prato -Firenze.
Un luogo strategico, che è stato teatro di diverse battaglie, la più famosa delle quali ha visto protagonista nientemeno che il lucchese Uguccione della Faggiola, che pose qui l'accampamento dei suoi soldati per la conquista - peraltro fallita - di Pistoia.
Meglio andò invece svariati anni dopo, nel 1322, a Castruccio Castracani, che - sempre partendo da Lucca - riusci invece a conquistare Pistoia e tornandosene a casa, pensò bene di fortificare il borgo e di insediarvi una propria guarnigione.
Poi il borgo diventa oggetto di disputa tra due importanti famiglie pistoiesi: i Cancellieri, di cui era roccaforte, e i Panciatichi.

Questi ultimi, per risolvere la questione una volta per tutte, pensarono bene di dargli fuoco.
Arse completamente, ed infatti del castello originale rimane solo la maestosa torre pentagona.

A quel punto il castello aveva perso ogni funzione strategica e difensiva, e le numerose famiglie nobili che lo hanno posseduto da alloro in poi, lo hanno trasformato in una villa agreste, con annesso chiesa parrocchiale dedicata ai santi Marcello e Lucia.


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domenica 26 novembre 2017

VERNAZZANO SUL LAGO TRASIMENO.DUE BORGHI E UNA TORRE PENDENTE

Questa è una bella storia ma, contrariamente al solito, bisogna fare un po' di chilometri per arrivare sul luogo.
Anche se è un luogo segreto, nascosto, meno conosciuto; fuori dai circuiti turistici più battuti.
Bisogna andare in uno dei luoghi più belli d'Italia, in Umbria, sul lago Trasimeno; quindi un viaggio bello e comunque poco impegnativo.
Vernazzano è attualmente una frazione del comune di Tuoro sul Trasimeno. Si sale un po', e quando si vedono le isole Maggiore e Minore sul Lago, vuol dire che si è arrivati.
L'antico castello fu donato dalla nobile famiglia dei De Marchiones al monastero di Santa Maria Petroia nel 1098, ma sicuramente esisteva già da un po', con tanto di torre di guardia.
Infatti era situato su un nodo viario assai importante per il tempo, perchè collegava Perugia al lago, e quindi a Cortona, ad Arezzo e Firenze.
Nel 1282 contava ben 52 famiglie, una comunità importante per l'epoca.
Un centinaio di anni dopo fu occupata da dei fuoriusciti perugini, i Michelotti, che razziarono le isole e l'abitato, e ci vollero anni e un bel po' di denaro da parte di Perugia, per riuscire a rientrare in possesso del castello.
L'attacco da parte di Firenze che nel 1479 incendiò e distrusse l'abitato, fu decisivo per la sorte di Vernazzano. L'abitato non si riprese più da quei danni, anche perchè nel frattempo erano cambiate le sorti politiche della zona, e la sua non era più una posizione strategica: erano state costruite altre vie di comunicazione più dirette e veloci e Vernazzano rimase fuori dal giro.
Iniziò lentamente a spopolarsi, e quando nel 1750 un disastroso terremoto fece crollare gran parte delle abitazioni e portò la torre di guardia alla sua attuale pendenza, la popolazione rimanente ritenne più opportuno trasferirsi più a valle, dove nel 1772 venne inaugurata la nuova chiesa di San Michele Arcangelo.

Nel frattempo intorno alla costruenda chiesa, erano sorte le abitazioni di chi aveva potuto o voluto rimanere negli stessi luoghi in cui era nato e vissuto. Infatti la distanza tra i due paesi è minima: poche centinaia di metri più a valle, dall'altra parte del torrente Rio.
E sullo sperone roccioso è rimasta solo la torre di guardia, incredibilmente inclinata di ben 13 gradi, quindi un'inclinazione superiore a quella della torre di Pisa! 

Infatti, per metterla in sicurezza, hanno dovuto ingabbiarla e sostenerla con dei tiranti; una cosa che certamente non potrebbero fare con l'assai più famosa torre pisana, e che non è certo il massimo dell'estetica, ma è sempre meglio che ritrovarsi con un mucchio di macerie!

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domenica 19 novembre 2017

IL CASTELLO DI MONTERIGGIONI O ABBADIA ISOLA?

C'è uno strano destino che a volte unisce e divide dei luoghi ugualmente splendidi che abbiamo vicini.
Potremmo trovare decine di esempi per parlarvi di questa particolarità, ma ne scegliamo uno solo, quello del titolo:
Il Castello di Monteriggioni ed Abbadia Isola.
Crediamo che il Castello di Monteriggioni non abbia bisogno di presentazioni. Si tratta di uno splendido borgo fortificato, il cui andamento circolare delle mura, fu ottenuto semplicemente seguendo il perimetro della collina.
Fu costruito su terreni di proprietà dei Da Staggia, dove già sorgeva un'antica fattoria Longobarda che doveva essere probabilmente di proprietà regale (da cui il toponimo Montis Regis).

L'edificazione di un nuovo castello da parte della repubblica Senese di un nuovo castello era una novità, perchè di solito si limitavano a conquistarne uno già esistente. Ed ai fiorentini questa alzata di ingegno non piacque... iniziarono quindi le guerre per il suo possesso, già nel 1244 e poi nel 1254 e poi nel 1269 e ancora innumerevoli battaglie e sempre Siena riuscì a tenerselo!
Bisogna arrivare al 27 Aprile del 1554 perchè Monteriggioni passi sotto il dominio di Firenze. Ma non per una sconfitta, bensì per un tradimento, quello del capitano Bernardino Zeti corrotto dal Marchese di Marignano. 
Questo Marchese di Marignano merita due parole.
Prima di tutto perchè occupando Monteriggioni, gettò le basi per la definitiva sconfitta di Siena, con la sanguinosissima battaglia di Scannagallo, ed il seguente assedio di Siena che si concluse il 17 aprile del 1555, con la resa definitiva della città.
Poi perchè il suo nome era Gian Giacomo Medici. Però non era nato a Firenze, bensì a Milano e non aveva nessun legame di parentela con i Medici di Firenze.
Anzi, era di famiglia di condizioni sociali piuttosto modeste.
Per dire la verità, i Medici di Firenze, quando lui che era diventato ormai un famoso condottiero, nonchè Marchese di Marignano; consegnò loro Siena su un vassoio d'argento; cominciò a vantare un fratello papa (Pio IV) ed un nipote che si chiamava Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, non arricciavano più il naso in sua presenza, chiamandolo con il nomignolo con cui era conosciuto, cioè "medeghino" che vorrebbe dire "piccolo Medici", a causa della sua bassa statura.
Ma anzi, cominciarono a dire che era loro parente.
Accettarono allora il gentile omaggio e cancellarono la repubblica di Siena dalla faccia della terra, inglobandola nel loro granducato.
Dunque, da dove eravamo partiti....?
Ah, che non dovevamo parlare di Monteriggioni perchè di Monteriggioni sapevamo tutto.
Ed infatti abbiamo parlato di tutt'altro, no?!
Questo per dire che Monteriggioni è una località assai nota, turistica, ben conosciuta. c'è un ampio parcheggio dedicato ai bus turistici, una bella scalinata per salire al paese, affollatissimo, con bei negozi, bei ristoranti, tanta gente.
Talmente tanta gente che noi siamo scappati via.
Ormai ci conoscete, lo sapete come siamo.
Ci piacciono i posti meno conosciuti.
Abbiamo fatto quattro (dicasi quattro) chilometri e siamo andati ad Abbadia Isola.
Questo piccolo, incantevole borgo, ci riporta in pieno medioevo. 
Infatti era una delle tappe indicate da  Sigerico sulla via Francigena, per fare tappa e tornarsene in Inghilterra, nel 990.
A quei tempi era conosciuta come Borgonuovo, ma siccome la zona era paludosa, l'Abbazia sorgeva dal lago, come un'isola.
Ed il nome, così evocativo, è rimasto.
Il paese è molto piccolo, ma ci sono case in cui la gente abita davvero. Abbiamo visto gatti sul davanzale al sole, panni stesi ad asciugare, una signora che spazzava davanti a casa... nessun negozio nel borgo medioevale. Solo un piccolo ristorante.

Dall'altra parte della provinciale, c'era il centro commerciale: un distributore di benzina, un bar, un minimarket.
Nel minuscolo parcheggio, oltre alla nostra macchina, solo un camper di olandesi.

E ci siamo domandati: Perchè?
Che cos'ha Abbadia Isola meno di Monteriggioni?
Perchè laggiù (quattro chilometri, ricordate?!) la gente fa a gomitate per vedere un posto certamente bellissimo e ricco di storia, e qui, dove la storia è la stessa ed è altrettanto bella e suggestiva, non c'è nessuno?

Sono domande cosmiche, che non hanno una risposta.
Forse a Monteriggioni è stata dato maggiore risalto, sui media oppure in TV.
In effetti il nome del Castello di Monteriggioni è conosciuto, e la sua immagine nota, mentre Abbadia Isola... se lo si chiede a uno di Pordenone, magari nemmeno la sa collocare geograficamente.
E' il destino di molti borghi, sparsi in tutta Italia, vicini ad uno noto, famoso, frequentatissimo.
Altrettanto belli e carichi di storia, ma dimenticati.
Ma per questo ci siamo noi.
Fateci un giretto. Sotto c'è la mappa per andarci!


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domenica 12 novembre 2017

AUTUNNO NELL'ANCHIONESE E IL PORTO DEL CASINO DEL LILLO

Difficile che riusciate ad andarci quest'anno ormai, magari questo post ve lo dovete ricordare per l'anno prossimo.
Oppure meglio ancora: fregatevene delle nostre indicazioni e andateci quando volete, anche perchè secondo il nostro modesto parere, questi luoghi hanno un grande fascino in tutte le stagioni dell'anno.
Adesso il "foliage" (vorrebbe dire quando le foglie degli alberi cambiano colore da verdi a rosse o gialle) regala al paesaggio dei colori splendidi, ma siamo certi che gli alberi fioriti in primavera, oppure verdeggianti in estate, o nella nebbia in pieno inverno, non siano meno suggestivi.
Ok, vi immaginiamo già tamburellare con le dita: "tutta 'sta pappardella per autunno, ma che cavolo è l'anchionese?".
Giusto.
Anchione è una località del comune di Ponte Buggianese, situata al limite settentrionale del padule di Fucecchio.
In prossimità della frazione, oltrepassata l'antica Dogana Medicea 

- che era una dogana dove le merci approvano via acqua e non via terra - e attraversato il ponte detto "del Pallini" (l'ultimo ponte sul Pescia prima che si impaludasse), proseguiamo su uno sterrato percorribile da qualsiasi vettura, e ci troviamo al Casino del Lillo, uno dei tanti porti dei barchini dei cacciatori, ma uno dei pochi (forse l'unico?) completamente restaurato dai cacciatori stessi, e  che chiunque, con il dovuto rispetto, può visitare liberamente.
Qui il connubio tra i cacciatori, i loro cani e l'ambiente naturale, è totale.
Noi non amiamo la caccia, ma abbiamo molta stima per chi ha dedicato tanto tempo e risorse a ricostruire un ambiente tanto particolare, e che permette di godere così appeno della natura.
Il silenzio è totale, gli uomini parlano sottovoce, timorosi di turbarlo; solo qualche cane abbaia lontano.
Visitiamo in silenzio il porticciolo: vediamo arrivare un barchino dal canale, e rimaniamo sorpresi nel vedere quanto l'acqua sia poco profonda; il cacciatore ed il cane scendono direttamente nell'acqua senza problemi.
Leggiamo la lapide sul casotto di caccia; vengono ricordate due vittime dell'eccidio nazista del 23 agosto 1944, un padre e un figlio poco più che diciassettenne.
Nelle strade vicine troviamo molte di queste lapidi, vicine a un cipresso, e un'altra commemorativa davanti alla nuova chiesa di Anchione.
Abbiamo avuto una strana impressione di questa strage nazista, dimenticata dai più. E' come se il tempo qui avesse avuto uno stop, come se da quella strage, questi luoghi non si fossero mai ripresi.
Le edicole commemorative lungo gli stradoni bianchi, fanno un tutt'uno con le case coloniche diroccate sullo sfondo, a simboleggiare che, con quella feroce uccisione da parte delle truppe naziste sulla popolazione civile inerme, un'epoca finiva definitivamente.
L'epoca della vita contadina in questi luoghi, dove adesso vediamo tutto bello e ridente, coltivato com'è a vivaio di piante, ad albereta, punteggiato di belle villette rosso mattone o giallo vivo.
Ma alla fine dell'ottocento qui la vita doveva essere molto dura, si viveva dei prodotti della palude, cominciava appena qualche bonifica e non si arava terreno, ma fango.
Se si arrivava a quarant'anni era già tanto, e comunque a quell'età si era già vecchi, finiti. L'alternativa era morire di malaria o di qualche malattia di palude. Poi con gli anni le bonifiche diventarono sempre di più e le fattorie di moltiplicavano; se ne vedono tante in questa pianura.
Poi arrivò quel 23 agosto 1944, e qui non rimase più nessuno. Donne, vecchi, bambini, tutti fucilati dai nazisti. Quando gli uomini tornarono dalla guerra - quelli che tornarono - andarono a lavorare nelle fabbriche, all'estero, oppure a Prato, o a Pistoia, lontano da questa vita e da quest'incubo. E qui tutto è rimasto cristallizzato, come l'antica Dogana Medicea, che - guarda caso - è diventata sede del centro di documentazione dell'eccidio nazista del Padule di Fucecchio.

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domenica 5 novembre 2017

LE BUCHETTE DEL VINO A PRATO

Le avrete viste di sicuro, così come le abbiamo viste noi per tutta la vita, domandandoci - ma in maniera piuttosto distratta, oltretutto - che cosa cossero quelle piccole finestrelle, il più delle volte a forma ogivale, che vedevamo nei muri dei palazzi antichi.
Per una fortunata coincidenza siamo venuto a sapere di che cosa si tratta, e come si chiamano. Sono le buchette del vino.


Si chiamano così perchè, sostanzialmente, servivano alle famiglie nobili per vendere il vino che loro stessi producevano, in maniera discreta, in modo da non mettersi contro gli osti delle taverne - che da loro quello stesso vino lo compravano e poi lo dovevano rivendere, quindi una concorrenza sleale. Adesso si rischia un'azione legale, a quei tempi, una coltellata nella schiena - e anche perchè così non si dava troppo nell'occhio nei confronti del popolo.
Infatti queste buchette servivano per arrotondare le entrate, quando i redditi delle antiche famiglie andavano assottigliandosi. 
Adesso un grande nome è un'ottima carta da giocare nel commercio, ma a quei tempi veniva considerato dequalificante. E quindi queste buchette le troverete sempre nelle strade secondarie che circondano i palazzi nobiliari.
L'incarico di vendere il vino era affidato ad un servitore.
Ci sono anche casi in cui le buchette sono in bella evidenza.
In questo caso servivano alle famiglie nobili, durante il giorno, per offrire ai poveri gli avanzi delle loro tavole.
Ma non vi sbagliate: di notte servivano comunque per vendere il vino.
In piazza del Comune, sotto le logge, abbiamo trovato una buchetta dalla forma inconfondibile.

Ci passa un fiasco preciso!
Ma altre ce ne sono in molti altri palazzi
altre, recentemente trasformate in edicole sacre

a volte con delle piccole imposte di legno.

Sappiamo che sono diffuse nello stesso modo anche a Firenze ed a Pistoia, ed è logico; siamo tutti nella stessa piana, e che ci piaccia o no, siamo parenti molto stretti, ed abbiamo usi e costumi molto simili.
Non abbiamo mai fatto caso se queste buchette esistono anche fuori zona, che so...a Lucca o a Siena, ma scommetteremmo di sì.

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domenica 22 ottobre 2017

A UN TIRO DI SCHIOPPO: CASOLE D'ELSA

Una bella gita in un bel posto vicino.
E' quello che vi aspettate dai nostri suggerimenti.
Eccoci qua, al 100%!
Casole D'Elsa.

E' in Val'Elsa (lo dice il nome) quindi uno dei nostri luoghi preferiti.
Come tutti i borghi da queste parti, fu teatro di dispute sanguinosissime tra la Repubblica Fiorentina e Siena, finchè, dopo l'arcinota battaglia di Montaperti, nel 1260, non rientrò sotto la sfera d'influenza di Siena.
E ci rimase sino al XVI scolo, quando entrò a far parte del Granducato di Toscana, sotto il dominio dei Medici.
Poi, entrò a far parte del Regno d'Italia, che le piacesse o no.
Essendo in una zona di passaggio, come tutta la Val d'Elsa del resto, fu praticamente distrutto nel 1944, con il passaggio del fronte nel corso della seconda guerra mondiale.
Quindi, molto in sintesi, una storia che abbiamo raccontato almeno un centinaio di volte, in tutto simile a quella di molti altri borghi che abbiamo visitato e che vi spingiamo a visitare a vostra volta.
E allora che ci andiamo a fare... direte voi. Storia vista e rivista.
Prima di tutto Casole è in un luogo incantevole. Su una collina, domina un panorama a perdita d'occhio, e dove ci sono anche poche zone industriali!
E poi è uno di quei borghi senesi talmente accurati, dove persino i panni stesi ad asciugare sono in nuance tra di loro, tanto che ti domandi se la vecchietta con il grembiule a fiori seduta sulla sedia impagliata, e che fa la calza davanti a casa sua, non sia per caso pagata dalla pro-loco.
Noi ci siamo capitati durante una fiera dei fiori (si, va bene, sembra un gioco di parole, ma per una volta non ce lo siamo cercato...) e l'atmosfera era così deliziosa che non abbiamo potuto far altro che passeggiare su e giù, cercando di assorbire più serenità possibile da quel luogo incantevole.
Quando poi abbiamo cercato un posto dove poter nutrire anche il corpo, (oltre che l'anima) abbiamo trovato un ristante all'aperto con una vista a dir poco spettacolare sulla valle, i prati ed i borghi vicini.
Abbiamo mangiato bene, ma per quel che ci riguarda potevano darci da mangiare anche rape lesse: con quel panorama da ammirare non ce ne saremo accorti nemmeno.
Più in basso, un percorso pedonale conduce all'ammirazione di alcune opere di artisti contemporanei,


di cui alcuni già li conosciamo, perchè abbiamo visitato "Selva di sogno" (link) e altri invece ci hanno sorpreso per la loro forza, pensando soprattutto che si trovano in un piccolo borgo, e non in una grande città, dove sicuramente potrebbero essere visti da un maggior numero di persone.

Ma si sa che a volte le piccole realtà locali sono quelle maggiormente aperte rispetto ad altre più grandi, che possono scegliere tra molte proposte e privilegiare magari grandi nomi, e non artisti emergenti o locali.

Certo, le piccole realtà hanno anche qualche problema di censura.
Questa statua non ha senso, se non si sa che il personaggio qui ritratto stava guardandosi il pisello, e che l'amministrazione locale lo ha fatto togliere perchè era vicino ad una scuola e poteva turbare i bambini!!

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venerdì 20 ottobre 2017

NEL MUGELLO: LA FORTEZZA DI SAN PIERO A SIEVE E IL PONTE DI CIMABUE

Tutti sanno che i Medici sono originari della zona del Mugello.
Pochi invece sanno che a San Piero a Sieve esiste una fortezza Medicea.
Noi, per esempio, non lo sapevamo.
Ed invece è abbastanza vicina al piccolo e grazioso centro storico della cittadina, da poco unita nello stesso comune con la vicina Scarperia.

E' situata su una piccola altura, anzi, vorremmo dire che "è" la piccola altura, perchè si tratta probabilmente della più grande fortezza medicea che sia mai stata costruita, e l'esterno è quello che conosciamo bene, e che abbiamo visto in tante altre fortezze medicee della zona, tutte opera del Buontalenti, del resto: terrapieni coperti di laterizio rosso, i baluardi (noi ne abbiamo contati nove) ancora assai imponenti, due grandi portoni uno che guarda verso Firenze ed uno che guarda verso Bologna.

All'interno non è attualmente visitabile, perchè secoli di incuria sono difficili da recuperare in pochi anni di restauri; inoltre c'è una vera e propria cittadella, con caserme, depositi per le armi, mulini a vento, officine per la riparazione dei carri e per la costruzione dei costruzione dei cannoni, oltre naturalmente alle stalle, alle prigioni, ed a una cappella, per la cura delle anime dei soldati, quindi tanta roba da restaurare.

E' possibile fare una bella passeggiata tutta intorno, ed ammirare i rampicanti che, purtroppo, hanno quasi sgretolato le antiche mura. Ma che dire? ormai fanno parte di esse.

La Fortezza, dedicata a san Martino, fu fatta costruire da Cosimo I°, nel 1569 e fu dismessa da Leopoldo I° di Lorena nel 1784, giudicandola inutile (ed a quel tempo era vero), perchè erano cessati i pericoli di invasione dal nord.
La fortezza fu destinata ad uso agricolo, e molti contadini della zona si trasferirono lì per abitarci e ricoverarci gli attrezzi agricoli.
Forse è stato proprio grazie a questo utilizzo, che non è una diventata una  cava a cielo aperto, e che si è abbastanza ben conservata, nonostante l'incuria di secoli.
Ci si arriva dal centro del borgo, tramite un facile sentiero sterrato.

Ci si sposta di poco, e si va a Vicchio per trovare quello che adesso si chiama il ponte della Ragnaia, ma è conosciuto da tutti come il Ponte di Cimabue.
Si tratta di un ponte rinascimentale, costruito sui resti di un ponte medioevale, sperso nella campagna mugellana: per vederlo bisogna uscire dalla SS67 tosco romagnola e fare piccola deviazione.


Ci si trova in aperta campagna ed il piccolo ponte è quello dove, secondo la leggenda, il pittore Cimabue, incontrò il giovane Giotto, nativo di quelle parti.
La storia è arcinota: Cimabue se ne andava per i fatti suoi, quando notò un pastorello, che con arte sopraffina, ritraeva una delle sue pecore su una lastra di ardesia. Lo volle a tutti i costi nella sua bottega, e aveva le sue buone ragioni: quel pastorello era Giotto di Bondone.

La leggenda è questa, e essendo tale non è mai stata provata.
Il ponte potrebbe essere questo come altri cento nella zona - anche se c'è tanto di targa scolpita nella pietra - ma il luogo vale la visita.
E' uno di quegli scorci che il Mugello è ancora capace di regalare: una campagna soave, toccata dall'uomo quel tanto da disegnarla a sua immagine, ma non da deturparla. 
Non si fa fatica nè ad immaginarsi il fiero artista, che cavalcava verso l'appennino, nè il piccolo pastorello che ritraeva la sua pecorella con mezzi di fortuna, perchè certamente qui il paesaggio è cambiato di poco: certo, la strada non era asfaltata, ma il ruscello che passa sotto il ponte cantava nello stesso modo, ed era limpido e brillante cinquecento anni fa come adesso. 
La casa colonica non era vistosamente imbiancata di giallo, ma scommetteremmo che era già lì, e il filare di pioppi c'era già. Sicuramente non erano gli stessi alberi che ondeggiavano argentei al vento, ma nello stesso luogo sicuramente sì.
Ed i cavalli che pascolavano nel recinto, erano certamente dei parenti alla lontana di quelli che, cinquecento anni fa, pascolavano nello stesso recinto.
Si ha una leggera vertigine; e solamente il telecomando della macchina, facendo accendere le quattro frecce, ci riporta alla realtà.


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domenica 15 ottobre 2017

IL PARCO DI VILLA MONTALVO

Villa Ramirez de Montalvo, ecco il nome esatto dell'antica villa alle porte di Campi Bisenzio, e  del cui parco vogliamo parlare.
Ecco, in due righe, abbiamo creato i presupposti per una serie di incisi, perchè non si tratta di un parco, ma di due parchi ben distinti, e Ramirez de Montalvo è solo uno dei tanti proprietari di questa avita costruzione, anche se in zona è conosciuta con questo nome.
Allora partiamo dai Ramirez de Montalvo, una nobile famiglia spagnola che arrivò a Firenze nel 1539 al seguito di Eleonora da Toledo, moglie di Cosimo I° de' Medici.
Qualche anno dopo, Don Antonio Ramirez acquistò questa villa -  che era conosciuta come Villa alla Marina, per la sua vicinanza al torrente Marina, proprio alla confluenza con il fiume Bisenzio - da un componente di un ramo secondario della famiglia Medici, che a sua volta l'aveva avuta dalla famiglia Spinelli, che l'aveva acquistata dai Del Sodo, che l'avevano comprata dai Tornabuoni, che nella metà del duecento avevano fortificato una costruzione già esistente.
La villa appartenne ai Ramirez de Montalvo per circa trecento anni, senz'altro i migliori per la proprietà perchè i Montalvo la ampliarono ed abbellirono.
Poi, come succede in tutte le famiglie, ci furono personaggi che l'amarono di più ed altri che l'amarono di meno. Nel XVII secolo il vicino torrente Marina esondò più volte, provocando molti seri danni, e certamente questo non favorì i proprietari dell'epoca.
Tuttavia, intorno al 1760, la ereditò un certo Don Ferdinando che invece la fece restaurare ed ampliare, l'interno della villa venne ammodernato ed abbellito, ed il parco migliorato con molte piante di pregio e belle statue.
Lungo il famigerato torrente Marina è inoltre ripristinata - e anzi migliorata - una macchia boschiva che diventa una vera e propria ragnaia.
(Per chi non lo sapesse, la ragnaia era una caratteristica dei giardini all'italiana; in sostanza si trattava di un boschetto molto fitto, di solito attraversato da un ruscello, dove si potevano stendere delle reti per catturare gli uccelli, che somigliavano a delle ragnatele - da cui il nome - e che con il tempo diventarono dei luoghi dove prendere il fresco in estate)
Questa ragnaia diventò molto famosa tra i nobili dell'epoca, ed era molto ben frequentata da tutti i nobili fiorentini.
La villa rimase di proprietà dei Ramirez sino al 1838, quando l'ultima discendente della famiglia, Giulia, sposò il giovane ingegnere lucchese Felice Matteucci, inventore con Eugenio Barsanti del motore a combustione interna!
Felice Matteucci ci ha vissuto a lungo ed è sepolto qui, nella cappella interna alla villa.
Nel 1921 i suoi eredi l'hanno venduta al fattore della villa, che incrementò le attività agricole che già erano legate a questa villa (e già, sennò lui che ci stava a fare, sino a quel momento?...), ma durante il periodo bellico l'ha rivenduta ad un industriale milanese, un certo Walter Pauly, che l'ha tenuta sino ai primi anni '70, quando fu ceduta ad una multinazionale.
A questo punto era in totale rovina.
Nel 1984 fu comprata dal Comune di Campi Bisenzio, nel cui territorio comunale la villa sorge.
Nel parco della villa ci sono alcuni splendidi alberi monumentali, tra cui un gigantesco platano ultracentenario ed una magnolia, famosa in tutta la zona.

Il restauro è stato lungo e meticoloso, ed è terminato alla soglia del 2000.
Adesso la villa ospita la biblioteca comunale, l'archivio storico e dei locali, che vengono messi a disposizione per manifestazioni di vario interesse.
L'altro parco è quello chiamato "Parco Urbano di Villa Montalvo" e sorge nei terreni adiacenti la villa, nei quali si svolse una festa nazionale dell'Unità, nel 1988.
L'allora Partito Comunista Italiano, si impegnò in una sottoscrizione, detta "Compra un Parco", per cui tutti i tesserati, e tutti i partecipanti la festa, potevano acquistare delle quote con le quali si sarebbe poi provveduto all'acquisto dei terreni ed all'allestimento del parco pubblico, che il partito intendeva lasciare alla zona, quale compenso all'ospitalità ricevuta per l'organizzazione della Festa Nazionale.

Purtroppo l'acquisto delle quote non andò bene come si era immaginato, ed il Comune di Campi Bisenzio provvide ad integrare - non senza polemiche - quanto mancava per l'acquisto della zona, operazione che si concluse solo nel 1995.
La zona -  compresa tra la A11, via di Limite, il torrente Marina e la circonvallazione nord di Campi Bisenzio - fu allestita con numerose piante, arredo urbano, tracciatura di vialetti, sistemazione di ponti  sui ruscelli che attraversano l'area, e un'area gioco per bambini e fu terminata solo nel 2001.
Una gestazione lunga e faticosa, ma adesso il risultata appaga gli occhi e l'animo e passeggiare qui è piacevole ed interessante, perchè si è immersi nel verde ed al sicuro, ma si possono vedere partire ed atterrare gli aerei dall'aereoporto di Peretola, e le macchine che sfrecciano (se non c'è la coda, beninteso) sull'autostrada A11.

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domenica 20 agosto 2017

ORANGINA...CHI ERA COSTEI?

Con chiunque abbiamo parlato, bambino negli anni '60 e adolescente negli anni '70, alla parola "orangina" si sono illuminati gli occhi, e il ricordo, netto e preciso, era della "bottiglietta rotonda, piccola, verde scura, con l'esterno a buccia di arancia".
Tutto vero.
Ma non si chiamava orangina, bensì aranciata Roveta. (ricordatevi di questo nome, perchè poi ne parliamo).
Pensiamo che l'equivoco sia nato perchè la bottiglia dell'Orangina, marchio francese nato nel 1935, era simile nelle dimensioni, nel colore e nel tipo di forma della bottiglia.
Il marchio Orangina è mancato dall'Italia per parecchi anni, e solo di recente è stato reimportato in Italia, da parte di un distributore dal nome che è tutto un programma (OnestiGroup).
Riteniamo quindi - ma si tratta di un 'interpretazione del tutto personale - che l'immagine della Aranciata Roveta e quella dell'Orangina si siano sovrapposte nell'immaginario collettivo, a causa delle similitudini esistenti tra i due marchi, e alimentata dal fatto che Orangina sia scomparsa dal mercato italiano per diversi anni.
Detto questo, ritorniamo alla bottiglietta verde da 0,20 lt, che si chiamava Aranciata Roveta.
Anzi, torniamo alla Sorgente Roveta.

Prendeva il nome dalla località dove sgorgava la sorgente, e che si trova nel comune di Sandicci.
Per dire la verità, l'acqua non sgorgava, come ci si immaginerebbe da una sorgente, ma trasudava dalle rocce.
Proprio questo fatto le dava delle caratteristiche chimico-fisiche di qualità e purezza uniche, oltre a darle un gusto particolare.
Questa strana fonte era nota da tempo, ma solo l'imprenditore Enrico Scotti ebbe l'intuizione di sfruttarla, nei primi anni del secolo scorso.
Tuttavia Enrico Scotti non andò oltre i canoni del suo tempo, quando lo sfruttamento di una fonte d'acqua era legato al turismo termale.
Fece costruire l'Albergo delle Fonti, dotandolo, già dal 1905. di comfort inauditi per l'epoca, il telefono, e campi da tennis.
La grossa spinta in avanti venne dal figlio di Enrico, Gino Scotti, che ereditò l'azienda dal padre nel 1929.
Gino Scotti era una persona veramente "avanti".
Potenziò la recezione alberghiera, facendone un luogo di villeggiatura di grande prestigio: nell'Albergo delle Fonti, hanno trascorso dei periodi di ritiro sia la Fiorentina, che la squadra nazionale di calcio, che vinse i mondiali nel 1934 e nel 1938.
Nel secondo dopoguerra - in un periodo quindi in cui era cosa non da poco avere l'acqua corrente in casa - intuì le potenzialità del mercato dell'acqua in bottiglia, ed in seguito anche quello delle bibite, derivate da un marchio di acque minerali.
Da vero precursore, aveva già una visione della ricerca della "naturalità", da parte del mercato, nei  prodotti industriali, e si inventò la famosa bottiglietta a forma di arancia; oltre al chinotto - che si chiamava Kinotto, con la "k" - la cedrata - un classico anni '50 - e, udite, udite, il pompelmo... che negli anni '50 era un frutto veramente esotico!
Il sig. Gino era un  vero esperto di marketing ante-litteram, ed a quei tempi la Sorgente Roveta era un'industria che dava lavoro a 80 famiglie della zona, che aveva i macchinari migliori e più all'avanguardia, con una speciale attenzione al mantenimento dei sapori naturali delle sue bibite.
Si era inventato persino un concorso a premi, legato al ritrovamento di un certo numero stampato nel tappo delle bottiglie.
Purtroppo, venne a mancare nel 1960.
Alla sua morte iniziarono le battaglie legali tra gli eredi, per il possesso dell'azienda.
Da lì iniziò il declino, perchè, priva di una guida forte che potesse continuare l'opera di aggiornamento continuo che Gino Scotti aveva intuito e realizzato, l'azienda perse il predominio sul mercato nazionale, riducendosi sempre più a realtà locale.
Nel 1966 ci fu il primo sciopero delle maestranze, che lavorava con lo stesso contratto dal 1925; poi cessò la produzione delle bibite; ed il 14 agosto 1975 gli ultimi 15 operai rimasti credevano di andare in ferie, ma lo stabilimento non fu mai più riaperto!
Anche l'Albergo delle Fonti fu chiuso; fu riaperto alcuni anni dopo con il nome Hotel Sorgente Roveta, ma è stato chiuso definitivamente nel 2008, dopo alcuni anni di gestioni a dir poco infelici.
Particolarmente spettrale è la visita al suo sito internet, tuttora esistente, ma fermo al 2004.

Lo potete vedere a questo indirizzo http://www.sorgenteroveta.it/home.htm



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domenica 4 giugno 2017

L'UTOPIA DI TERRA DEL SOLE

Contrariamente a tutte le nostre abitudini di turismo a km zero, per fare questo giretto un po' di chilometri si devono fare.
Ma certamente vi suggeriamo un itinerario alternativo.
Quindi non percorrete l'autostrada " A1 direttissima" e nemmeno la
 "A1 panoramica".
No, qui si tratta di andare dalle parti di Forlì, per cui cosa meglio del passo del Muraglione?
Se ci potete andare in moto, avete raggiunto l'apice della perfezione.
Ma anche andare in auto va bene...
Sul versante toscano le curve sono impegnative, ma gradevoli.
Sul versante romagnolo, dopo pochi tornanti effettivamente ripidi, ci si trova presto a Portico di Romagna: da lì è tutta diritta.
Ecco, quando la SS67 Toscoromagnola (sempre di lei si tratta) è bella grande, e corre veloce in una bellissima campagna, girate per Castrocaro Terme, località famosa per le terme, per Miss Italia e per il concorso delle voci nuove.
Tutta roba anni '60, è vero, ma tutt'ora conosciuta.
Vedrete che i cartelli stradali - non tutti - riportano l'indicazione per "Castrocaro Terme- Terra del Sole", infatti adesso è una solo comune, e tra i due abitati c'è solo un chilometro di distanza.
Concentriamoci su Terra Del Sole, un bellissimo nome per una "città ideale" così come amavano immaginare i mecenati del rinascimento.
Come tutte le città di Fondazione, Terra del Sole ha una data di nascita: l'8 dicembre 1564, data in cui fu posata la prima pietra per la costruzione della città fortezza, voluta dal Granduca Cosimo I° de' Medici.
Se ci seguite - e se conoscete la storia, soprattutto - sapete che a quei tempi questa era terra toscana, quella Romagna Toscana di cui abbiamo già parlato (link) e che tale è rimasta fino al 1923, quando fu aggregata alla provincia di Forlì.
A quei tempi la città ideale era un'utopia che i grandi personaggi potevano togliersi lo sfizio di provare a costruire. 
Cosimo I° voleva accentrare in un unico luogo, una fortezza certamente, ma "a misura d'uomo", tutte le varie amministrazioni medicee, che a quei tempi erano divise tra le varie città romagnole.
E non dimentichiamo che le terre di Romagna erano considerate il granaio della Toscana medicea, e per tenere al sicuro il grano - che aveva un grande valore anche "monetario", cosa di meglio di una bella fortezza, che lo avrebbe custodito e difeso?
Terra del Sole non era ancora terminata, quando nel giugno del 1579, vi furono trasferiti tutti gli uffizi medicei, specialmente dalla vicina Castrocaro.
La città era completamente cinta da mura in laterizio, molto simili a quelle che ancora adesso si possono ammirare a Lucca; 

al suo interno ci sono  due borghi, costruiti secondo delle regole e delle proporzioni molto precise, che si chiamavano "borgo Fiorentino" quello verso l'appennino, e "borgo Romano" quello verso la pianura.
Ai quattro, lati, erano collocati degli imponenti bastioni, dei quali solo uno è ancora in piedi, ed ospita un bellissimo giardino pubblico.
Attorno alla Piazza d'arme, dove si svolgeva anche un affollato e frequentatissimo mercato, sono la chiesa dedicata a Santa Reparata 

e, proprio di fronte, il Palazzo dei Commissari - tanto per non perdere di vista la doppia anima del potere (del tempo?), religioso e civile.

Rimarrà capoluogo della Romagna Toscana sino al 1784, anno in cui la provincia fu abolita.
Da lì, la storia di Terra del Sole cambiò radicalmente.
La fortezza era stata disarmata qualche anno prima, e quando fu deciso che la famigerata SS67 Toscoromagnola dovesse passarle proprio nel mezzo... beh fu l'inizio della fine per le imponenti mura, che furono in parte smantellate, in parte utilizzate come cava per altre costruzioni, come del resto è successo quasi ovunque.
Terra del Sole perse nel tempo la sua importanza, a vantaggio di Castrocaro, di cui è stata considerata una frazione, sino ai tempi recenti in cui le due metà di questo comune,si sono definitivamente unite.


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