Tutti sanno che i Medici sono originari della zona del Mugello.
Pochi invece sanno che a San Piero a Sieve esiste una fortezza Medicea.
Noi, per esempio, non lo sapevamo.
Ed invece è abbastanza vicina al piccolo e grazioso centro storico della cittadina, da poco unita nello stesso comune con la vicina Scarperia.
E' situata su una piccola altura, anzi, vorremmo dire che "è" la piccola altura, perchè si tratta probabilmente della più grande fortezza medicea che sia mai stata costruita, e l'esterno è quello che conosciamo bene, e che abbiamo visto in tante altre fortezze medicee della zona, tutte opera del Buontalenti, del resto: terrapieni coperti di laterizio rosso, i baluardi (noi ne abbiamo contati nove) ancora assai imponenti, due grandi portoni uno che guarda verso Firenze ed uno che guarda verso Bologna.
All'interno non è attualmente visitabile, perchè secoli di incuria sono difficili da recuperare in pochi anni di restauri; inoltre c'è una vera e propria cittadella, con caserme, depositi per le armi, mulini a vento, officine per la riparazione dei carri e per la costruzione dei costruzione dei cannoni, oltre naturalmente alle stalle, alle prigioni, ed a una cappella, per la cura delle anime dei soldati, quindi tanta roba da restaurare.
E' possibile fare una bella passeggiata tutta intorno, ed ammirare i rampicanti che, purtroppo, hanno quasi sgretolato le antiche mura. Ma che dire? ormai fanno parte di esse.
La Fortezza, dedicata a san Martino, fu fatta costruire da Cosimo I°, nel 1569 e fu dismessa da Leopoldo I° di Lorena nel 1784, giudicandola inutile (ed a quel tempo era vero), perchè erano cessati i pericoli di invasione dal nord.
La fortezza fu destinata ad uso agricolo, e molti contadini della zona si trasferirono lì per abitarci e ricoverarci gli attrezzi agricoli.
Forse è stato proprio grazie a questo utilizzo, che non è una diventata una cava a cielo aperto, e che si è abbastanza ben conservata, nonostante l'incuria di secoli.
Ci si arriva dal centro del borgo, tramite un facile sentiero sterrato.
Ci si sposta di poco, e si va a Vicchio per trovare quello che adesso si chiama il ponte della Ragnaia, ma è conosciuto da tutti come il Ponte di Cimabue.
Si tratta di un ponte rinascimentale, costruito sui resti di un ponte medioevale, sperso nella campagna mugellana: per vederlo bisogna uscire dalla SS67 tosco romagnola e fare piccola deviazione.
Ci si trova in aperta campagna ed il piccolo ponte è quello dove, secondo la leggenda, il pittore Cimabue, incontrò il giovane Giotto, nativo di quelle parti.
La storia è arcinota: Cimabue se ne andava per i fatti suoi, quando notò un pastorello, che con arte sopraffina, ritraeva una delle sue pecore su una lastra di ardesia. Lo volle a tutti i costi nella sua bottega, e aveva le sue buone ragioni: quel pastorello era Giotto di Bondone.
La leggenda è questa, e essendo tale non è mai stata provata.
Il ponte potrebbe essere questo come altri cento nella zona - anche se c'è tanto di targa scolpita nella pietra - ma il luogo vale la visita.
E' uno di quegli scorci che il Mugello è ancora capace di regalare: una campagna soave, toccata dall'uomo quel tanto da disegnarla a sua immagine, ma non da deturparla.
Non si fa fatica nè ad immaginarsi il fiero artista, che cavalcava verso l'appennino, nè il piccolo pastorello che ritraeva la sua pecorella con mezzi di fortuna, perchè certamente qui il paesaggio è cambiato di poco: certo, la strada non era asfaltata, ma il ruscello che passa sotto il ponte cantava nello stesso modo, ed era limpido e brillante cinquecento anni fa come adesso.
La casa colonica non era vistosamente imbiancata di giallo, ma scommetteremmo che era già lì, e il filare di pioppi c'era già. Sicuramente non erano gli stessi alberi che ondeggiavano argentei al vento, ma nello stesso luogo sicuramente sì.
Ed i cavalli che pascolavano nel recinto, erano certamente dei parenti alla lontana di quelli che, cinquecento anni fa, pascolavano nello stesso recinto.
Si ha una leggera vertigine; e solamente il telecomando della macchina, facendo accendere le quattro frecce, ci riporta alla realtà.
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