domenica 27 dicembre 2015

ANCORA UNA PERLA DEL PISANO: BUTI

Immaginiamo che il pisano sia una collana di perle: possiamo farlo perchè già abbiamo parlato di tante e tante di queste perle: Marina di Pisa (link); due borghi di Palaia (link); Tirrenia (link); la pineta del Tombolo (link); il trasmettire di Coltano (link).
E questi sono solo alcuni esempi!
aggiungiamone un'altra, piccola, deliziosa e carica di storia e fascino senza pari:
Buti, ai piedi del Monte Serra.
Il nome è una volgarizzazione del termine latino per "pascolo di buoi"; questo perchè  il luogo era particolarmente favorevole a questa attività, in una piccola, incantevole valle, circondata completamente dai Monti Pisani.
Con il tempo, l'economia della zona si è evoluta  basandosi in maggior parte sulla produzione di olio, un IGP rinomato  per la sua delicatezza e dolcezza.
Castel Tonini, nucleo originario del Borgo, risale al X secolo; prima di allora c'era solo la torre di avvistamento, e solo  in seguito furono edificate le prime case di abitazione a ridosso del Castello, che costituisce tutt'ora il nucleo più antico del paese.
A Buti c'è anche una villa Medicea - dopotutto i Lorena, che ereditarono lo sterminato patrimonio immobiliare dei Medici, non avevano torto a deplorare i costi che il mantenimento di tutte queste ville comportava - edificata nel XVI secolo, sulle fondazioni di una precedente fortezza. Sua caratteristica è il giardino terrazzato secondo i vari livelli dell'abitazione:  cantina, primo e secondo piano.

Una particolarità interessante:
In un paese così piccolo, ci sono ben due teatri.
Infatti, nel periodo Mediceo e Lorenese, con la raggiunta pace tra Pisani e Fiorentini, ci fu un vero e proprio fiorire di iniziative - adesso diremmo - culturali: un gruppo di famiglie benestanti si riunì nel gruppo "degli accademici" e fece costruire a proprie spese il Teatro "Francesco Di Bartolo", dove Francesco è il nome, Di Bartolo il patronimico, mentre il cognome sarebbe "Di Buti" perchè indica la provenienza della famiglia, originaria del borgo.
Infatti Francesco di Bartolo era nato a Pisa: è noto per essere stato il primo commentatore della Divina Commedia di Alighieri.

E' un tipico teatro ottocentesco, con la pianta a ferro di cavallo dei teatri all'italiana,  e si ispira al Teatro Alla Scala di Milano, sia pure in dimensioni assai ridotte.
I palchetti erano di proprietà privata, ognuno apparteneva ad una famiglia dell'aristocrazia locale, ed infatti l'ingresso a questo teatro era vietato al popolo!
Purtroppo, in epoca post-unitaria il teatro aveva perso gran parte dei suoi frequentatori, e quindi della sua importanza. 
Fu adattato a cinematografo, ma poi fu chiuso nel 1971.
Solo nel 1977 fu acquistato dal comune di Buti, che lo ha restaurato e restituito alla vita e all'arte. Adesso è un apprezzato teatro d'avanguardia.
Di fronte all'aristocratico teatro, gli abitanti di Cascine di Buti - quindi il popolo, escluso dagli spettacoli che vi si tenevano - pensò bene di costruire un teatro alternativo, il Cinema Teatro Vittoria.

Sembra una bella storia, ma la struttura è piuttosto recente, risale al secondo dopoguerra dall'associazione Combattenti e Reduci.
Comunque la contrapposizione tra teatro aristocratico e Teatro del popolo è piuttosto carina!
Anche per il Teatro Vittoria, però, inizia la decadenza, che si risolve solo nel 2004, quando il Comune di Buti lo acquista e lo restaura, rimettendolo in funzione.
Si tratta di una struttura piuttosto piccola anche perchè la galleria è stata eliminata, utilizzata per una sala polivalente, dove si possono tenere riunioni e piccoli meeting.
Comunque una realtà assolutamente dinamica, per un borgo di così ridotte dimensioni.
Molto bella è la Pieve di San Giovanni Battista,la principale delle chiede di Buti, esistente fin da X secolo. 
Le tracce dell'antica chiesa romanica sono quasi inesistenti, mentre l'attuale aspetto barocco si deve al restauro iniziato nel 1607. 
Nel 1910 la chiesa fu ampliata, senza tuttavia toccare la facciata.

Quindi tante cose carine, ma a nostro avviso  la strada principale del paese ha che ha un aspetto un po' triste, con muri sbrecciati e diverse case cadenti, mentre per il resto l'impegno si vede, ed è notevole.
C'è una graziosa piazza, il fiume - il Rio Magno - è ben tenuto, Castel Tonini è stato restaurato e valorizzato. La villa Medicea non è sempre visitabile, ma sappiamo che questa è una pecca di quasi tutte le ville Medicee, quindi...non conta.
Insomma, fateci una visitina e comprate una bottiglia d'olio, perchè merita.

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domenica 20 dicembre 2015

LA ROMANTICA TORRE DEL LAGO PUCCINI

Il lago è il luogo romantico per eccellenza.
Quanti romanzi abbiamo letto, in cui l'eroina veniva imprigionata nell'isola sul lago in tempesta, mentre il suo amato sfidava le onde sulla fragile barchetta per liberarla dal perfido signorotto, che voleva attentare alla sua virtù?!
(ok, nessuno... ma come esempio calzava a pennello)
Se poi al lago ci abbiniamo una giornata piovosa e il Re del melodramma romantico, Giacomo Puccini, allora - come si dice - siamo a dama.

Torre del Lago Puccini è una frazione del comune di Viareggio. 
Con una eccezionale lungimiranza, nel 2004 e quindi in tempi non sospetti, ha rifiutato l'opportunità di diventare comune autonomo, i suoi abitanti rispondendo no quasi al 60%,  al referendum popolare che si tenne quell'anno sull'argomento.
Eccezionale lungimiranza, dicevamo, perchè al momento attuale i comuni tendono ad unirsi - per aumentare le risorse in un momento di magra - piuttosto che a dividersi per mere questioni di campanile.
Per qualche strano gioco del destino, siamo venuti a Torre del Lago sempre in giornate piovose, o comunque senza sole. Spesso in autunno, quando le acque del lago sono color piombo, e solo le rade gocce di pioggia, cadendo, muovono l'immobile superficie. Gli uccelli palustri planano a stormi nel cielo grigio, disegnando strane figure geometriche.
Questo è il lago Massaciuccoli, per noi.
Una sola volta, al seguito di un raduno motociclistico, ci siamo venuti in piena estate, in una bella giornata di sole.
Niente foglie morte lungo il viale, ma tanto sole, ambulanti che vendevano retine che contenevano formine, un secchiello e una paletta; villeggianti sbracati e il lago di un glorioso azzurro, che rifletteva il blu del cielo.
No..proprio non c'eravamo....
Siete mai stati a vedere un'opera lirica nel teatro pucciniano all'aperto? 
E' un'esperienza indimenticabile. Quando ci si siede al nostro posto, nuvole di zanzare e moscerini volano impazziti intorno ai giganteschi fari che illuminano le gradinate,  e si teme seriamente  per l'estetica, il giorno dopo, delle proprie gambe, divorate dai milioni di pappataci svolazzanti.

Però, al momento in cui i fari in platea si spengono, e il direttore d'orchestra dà l'avvio all'overture, miracolo! I pappataci spariscono, e ci si gode la magia dello spettacolo - in uno scenario assolutamente incomparabile - in relativa sicurezza.
Poi, magari, i moscerini e le zanzare si spostano tutte sul palco, attirate irresistibilmente dai fari da 10.000 watt che lo illuminano.
E i cantanti rischiano ogni sera lo shock anafilattico...
Da pochi anni, grazie  alla grande dedizione della nipote del Maestro, la Villa Puccini è stata riaperta al pubblico.

Arredi originali, foto d'epoca, spartiti autografi, fanno parte delle memorabilia del Maestro. Ma tutto è stato ricreato con tanta grazia, da non far pensare troppo ad un museo, ma alla vera, romantica casa dove Puccini abitava e dove amava - ispirato dalla bellezza del luogo - comporre le sue pagine più belle. 
Si tratta di una villetta - non è troppo grande - con un piccolo giardino, probabilmente quello che rimane dopo la costruzione della strada.
Purtroppo sono aperte al pubblico solo le stanze al piano terra, dove si può ammirare anche la spettacolare cappella, fatta costruirre e decorare dal figlio, dove è sepolto il Maestro.
Purtroppo, all'interno della villa non è permesso scattare foto, altrimenti  avremmo voluto farvi ammirare la stanza che ci ha più emozionati.
Forse quella con il piano verticale, e il tavolo di quercia - fatto costruire su misura - dove scriveva gli spartiti? 
No... quella dove Puccini si vestiva per andare a caccia, e che presenta, in delle teche, i suoi fucili personali, gli abiti e gli stivaletti che indossava, e foto di come era il lago di Massaciuccoli e la sua palude ai primi del '900.
Era sicuramente un luogo molto diverso da quello che vediamo oggi, che la palude è stata quasi completamente prosciugata.
Il lago è molto diminuito in estensione, anche rispetto ai tempi in cui il maestro lo  viveva e lo ammirava; come in molti altri casi la civiltà e la cultura palustri, che hanno dato da vivere a generazioni e generazioni - vedi il link di Bosco Tanali - è non solo scomparso, ma se ne è perso completamente la memoria. Eppure sono passati si e no cento anni, da quando Puccini stesso cacciava le anatre selvatiche in questi luoghi.
Ma - ciliegina sulla torta - alla nostra rappresentazione romantica del luogo manca ancora una cosa: la Torre da cui la località prende il nome: eccola, proprio sulla riva del lago. Fa parte del complesso di villa Orlando - che noi si sappia non visitabile - ed è detta Torre di Giunigi.

Si può ammirare in tutto agio da una terrazza "al lago" - per la verità piuttosto bruttina - ed il suo aspetto medioevale è talmente marcato, da far pensare ad uno di questi finti ruderi medioevali, che i ricchi signori usavano farsi costruire nei giardini nell'800 romantico.
Invece risale al XV secolo.
Il nome di Puccini fu aggiunto al toponimo della località il 21 dicembre 1938.
Sempre a proposito di romanticismo, niente è più adatto di questa statua, dedicata ad un cane randagio che ha abitato da queste parti per parecchi anni, e che, pur non avendo un padrone, è stato nutrito e alloggiato un po' da tutti gli abitanti della zona, che sono stati ricompensati del loro buon cuore dall'affetto di questo cane. 


Quando poi è morto, rimpianto da tutti, è stato deciso di dedicargli questa statua in bronzo, che ci ha fatto luccicare una lacrimuccia negli occhi.


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domenica 13 dicembre 2015

LA MISTERIOSA TORRE DI GRIGNANO

A volte i tanto bistrattati siti istituzionali, sono la migliore - anzi, l'unica - fonte che noi, curiosi delle nostre zone, delle nostre tradizioni e memorie, possiamo consultare.
A Grignano esiste una "via delle Badie", che si conclude con una imponente doppia torre merlata, in pietra e muratura -  adesso abitazione privata - con accanto una bassa costruzione, sempre nella tipica pietra bianco-grigia della zona.

Anziani della zona, interpellati al proposito, ci hanno riferito che la costruzione bassa era semplicemente "la casa del fattore", ma non hanno saputo darci notizie circa la destinazione d'uso della doppia torre.

Da queste parti ci si riferisce a questa costruzione, appunto come "la torre", che sino a una cinquantina di anni fa, costituiva una specie di baluardo verso una zona considerata desolata e selvaggia, conosciuta in zona come "il Lonco".
Sia pure attraversato, verso la metà degli anni '60, dal nuovo tracciato della A11 (vedi link della declassata), questo luogo non era una campagna propriamente detta, nel senso che non era intensamente coltivata.
Nella nostra memoria, ricordiamo interi campi di camomilla, che coglievamo e facevamo seccare,  per poi bersela nell'inverno
Certo, c'erano campi e poderi, ma nel linguaggio locale "Lonco" designava un luogo disabitato, quasi abbandonato e anche vagamente e misteriosamente pericoloso. 
Era assai sconsigliabile avventurarsi nel Lonco durante una notte di nebbia, per esempio (anche perchè le gore a quei tempi erano ancora scoperte, e qui ne passava una tra le più importanti, ed il rischio di caderci dentro non era da sottovalutare).
Infatti, avevamo pensato che potesse essere stata una torre di avvistamento - e certamente lo è stata, nei suoi tanti cambi d'uso.
Adesso il luogo non è molto cambiato: è sempre un luogo desolato, perchè è una zona industriale/artigianale, con scarse abitazioni, ed in più attraversata dall'ingombrante mole dell'autostrada A11.
Dopo una lunga e infruttuosa ricerca, che ci aveva scoraggiato un po', ci siamo imbattuti quasi per caso nel sito del comune di Prato, dove abbiamo finalmente trovato quello che cercavamo:
La Torre è una Badia, anzi: visto che le torri sono due, Le Badie, da cui il nome della strada, e anche della zona che si chiama tutt'ora così.
E le badie non erano altro che eremi, fondate dai monaci che nel XI° secolo, sull'esempio del fondatore della abbazia (quindi della badia)  vallombrosana Giovanni Gualberto, venivano fondate un po' dappertutto, e quindi anche nella zona di Prato, dove venne dedicata a Santa Maria di Grignano.
Le torri hanno subito innumerevoli restauri e cambi d'uso.
L'edificio basso - la casa del fattore nella memoria degli anziani della zona - era molto probabilmente il convento.
Nei pressi delle torri e del presunto convento, c'è una strada che si chiama "via del Lazzeretto". Tutto farebbe pensare ad un ricovero per malati di peste, tradizionalmente situato agli estremi confini cittadini, dove meno esteso potesse essere il pericolo del contagio. 
La sua vicinanza al convento potrebbe essere plausibile, visto che di solito i frati,  (perchè i conventi delle monache di solito sorgevano all'interno della cinta muraria, o comunque nelle loro immediate vicinanze) erano proprio coloro che assistevano i malati, cercando di alleviare le loro sofferenze, sia fisiche che spirituali.
Un'altra chiesa dedicata a Santa Maria a Grignano, sorgeva dove adesso c'è il collegio Cicognini. 
Sappiamo che era una chiesa di una certa importanza, con opere d'arte e sovvenzioni ragguardevoli - niente a che vedere con la povera badia spersa nella campagna - ma questo non bastò a salvaguardarla: quando fu deciso di costruire il Collegio, fu abbattuta senza pietà, e di lei adesso rimane solo questa lapide, affissa al muro esterno del Collegio Cicognini.

Visto lo stimolo a riflettere ,che le pur scarne informazioni del sito del comune di Prato ci hanno fornito, il post potrebbe  intitolarsi anche "mai perdersi d'animo" oppure "diamo fiducia alle istituzioni".

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domenica 6 dicembre 2015

IL PONTE DI ANNIBALE

Se il povero Annibale fosse passato da tutti i posti che riportano il suo nome, avrebbe passato la vita a viaggiare.
E se la sua vita fosse durata per tutto il tempo in cui hanno trovato il modo di dare a dei manufatti il suo nome, sarebbe morto all'età di Matusalemme!
Per esempio, questo Ponte di Annibale, che attraversa l'Arno a Bruscheto - e quindi si trova tra Reggello ed Incisa Valdarno - è sicuramente databile al XII secolo. Se si pensa che Annibale è morto più o meno verso il 183 avanti Cristo, si capisce subito che qui non è passato nemmeno in fotografia (per il semplice motivo che la fotografia non era stata ancora inventata...).
E allora lui che c'entra?
Mah, niente. C'è chi dice che il ponte risale ad epoca romana, e che lui ci sia passato sopra nel 217 A.C., ma la maggior parte delle fonti sembra accreditarlo come un ponte medioevale.

Ed in effetti tutto sembra confermarlo.
E' costruito in uno dei punti di attraversamento più favorevoli in assoluto. Qui il fiume è relativamente stretto, e in questo punto ci sono delle formazioni rocciose - sorta di piccole isole - da dove è stato facile "appoggiare" sopra delle piccole passerelle, facili da realizzare anche senza troppe cognizioni di ingegneria.

Inoltre è poco sopra il pelo dell'acqua, per cui ha resistito indenne a tutte le piene del fiume, opponendo una resistenza all'aqua pari a zero, perchè anzichè contrastarne la forza, se la faceva passare sopra.
Infatti, durante le piene il ponte rimane sotto l'acqua, e non subisce danni.
Inoltre, seguendo il principio che "quello che non c'è non si rompe", non avendo spallette, non c'era pericolo che il fiume se le portasse via...
Ha resistito indenne a tutte le piene, dicevamo, tranne quella del 1966.
Infatti una grossa cisterna trasportata dall'acqua del fiume, si portò via l'arcata principale, e da allora il ponte non è mai stato restaurato.
Anche perchè. diciamocelo chiaramente, non porta da nessuna parte.
Chi mai poteva avere interessa a restaurarlo?
Anticamente portava al mulino di Bruscheto, i cui ruderi sorgono ancora sulla riva destra dell'Arno, e che conserva ancora l'intelaiatura della macina, dove l'acqua scorre velocissima portata lì dall'ancora esistente margone.

Certo, un mulino a quei tempi era un luogo importante, e meritava sicuramente la costruzione di un ponte. Infatti non c'è strada, sulla riva opposta, che giustifichi in altro modo la costruzione di questo ponte; anche se è ragionevole pensare che in tempi passati, l'attuale SS69, che è piuttosto vicina, avesse un altro tracciato, e che magari passasse di qui, oppure un'altra strada tanto importante da giustificare un ponte.
Il tratto iniziale, vicino al mulino, è ancora perfettamente conservato, e calpestare queste pietre ci ha emozionato; sono un po' arrotondate dal passaggio dei carriaggi, dei cavalli, e dell'acqua che ci è passata sopra nei periodi di piena.
E ci ha fatto un po' ridere pensare che questo è uno dei (pensiamo pochi) ponti di cui si possa dire, per giustificare il passaggio del tempo, che l'acqua, anzichè passare sotto i ponti, in questo caso ci è passata sopra.

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