venerdì 22 agosto 2014

LO SFERISTERIO DI MACERATA

Ci piacerebbe partire da questo splendido monumento, per fare un discorso un po' più ampio, che riguarda gli sferisteri in generali - ce ne sono ancora alcuni in giro - e l'evoluzione dei giochi di palla sino ai giorni nostri.
Sferisterio, in generale, è l'impianto sportivo dedicato ai giochi con il pallone. Ovvio che qui il calcio - gioco con il pallone per antonomasia, ma solo dagli anni '30 del XX secolo in poi - non c'entra niente.
Le dimensioni sono circa 18 metri per 90, e in queste misure ci fanno rientrare sia la palla al bracciale che il pallone elastico. Anche la Pelota Basca, gioco esotico di cui un po' tutti abbiamo sentito parlare, si gioca negli sferisteri.
Nel XIX secolo in Italia gli sferisteri erano molti: ne esiste ancora uno funzionante a Firenze, alle Cascine.

I Giocatori di palla al bracciale - che era il gioco più diffuso in Italia centro-settentrionale - erano dei veri divi, pagati come i più famosi giocatori di calcio del momento.
La palla al Bracciale era una specie di tennis ante-litteram, che però ricorda un po' anche il baseball, o meglio, il suo diretto antenato inglese, il gioco del cricket.
In sostanza, due squadre, in genere composte di tre giocatori , detti  battitore, spalla e terzino - e di un muro di appoggio - si lanciano una palla di peso variabile a seconda del luogo e delle usanze, che viene respinta con un bracciale in legno di noce, che ha all'esterno delle punte smussate che servono a dare l'angolazione. I punteggi si contano proprio come quelli del tennis : 15 - 30 - 40 - 50.
Questo è un riassunto stringatissimo, perchè le variabili sono infinite: con cordino (cioè con la rete) oppure senza, con muro di appoggio oppure senza, in tre oppure in quattro, con palla pesante o leggera.
Forse è stata proprio questa mancata unificazione delle regole che ha permesso che giochi di palla di stile anglosassone, come il tennis o il calcio, che invece avevano regole definite e unificate, abbiano finito per soppiantare completamente questo gioco che è stato giocato in tutta europa per centinaia di anni, e che ora - pur essendo ancora giocato - è relegato quasi a manifestazione folcloristica.
Siamo rimasti impressionati dalla passione e dalla competenza della guida di Macerata, che ci ha aperto un mondo che, in tutta onestà, non conoscevamo affatto, e dobbiamo a lui se abbiamo scoperto di avere vicinissimo un impianto ancora funzionante - quello delle Cascine, appunto.
A Firenze, la palla al bracciale era così popolare che esistevano addirittura due impianti, uno dei quali è stato abbattuto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Negli Sferisteri, venivano organizzate anche manifestazioni di Tauromachia - cioè la lotta tra un bovino, non necessariamente un toro, e un altro soggetto: altro bovino, cani, persone umane: quest'ultima ipotesi si chiama"corrida" - che, sembra impossibile, erano abbastanza comuni in Italia, specie nel periodo carnevalesco. Gli "Spettacoli Taurini" vengono definitivamente soppressi in  Italia con regio decreto, nel maggio del 1940.
Ma torniamo allo Sferisterio di Macerata, che ha una storia molto particolare.

La sua costruzione fu iniziata nel 1819 per iniziativa di 100 famiglie nobili del circondario, per motivi filantropici. Infatti in quel momento l'agricoltura stagnava e c'era molta disoccupazione e povertà. Allo scopo di impiegare delle maestranze, decisero di costruire questo impianto, che avrebbe poi ospitato gli incontri di palla al bracciale, che erano molto popolari, e come in quasi tutti i paesi d'Italia, venivano spesso giocati presso le antiche mura medioevali, che servivano da muro di appoggio.
Si tratta di un impianto monumentale, che al suo interno ha 100 palchi, per permettere alle famose 100 famiglie, di assistere con il massimo dell'agio allo spettacolo sportivo.

Fu inaugurato nel 1829, ed è stato realizzato da un architetto allora solo ventottenne, Ireneo Aleardi. E poi dicono che ci siamo evoluti: ma quando mai, al giorno d'oggi, si affiderebbe un'opera pubblica di tanto prestigio ad un ragazzo così giovane?!
In questo impianto, che all'epoca poteva contenere al completo tutta la popolazione della città di Macerata, è venuto anche Giacomo Leopardi, che infatti ha persino dedicato un'ode "A un giocatore nel pallone" all'idolo della masse del tempo, Carlo Didimi che prendeva la bella cifra di  600 scudi a partita, quando un insegnante a quei tempi non guadagnava più di  60 scudi l'anno. La proporzione è proprio quella con i calciatori di adesso. Il mondo non cambia mai!!
Nel 1920 fu restaurato e adattato ad ospitare spettacoli di lirica, all'epoca altrettanto popolari, sempre per volontà della Società Cittadina, ente morale guidato dal conte Pieralberto Conti.
Come teatro lirico, fu inaugurato nel 1921 con una storica rappresentazione dell'Aida: andò tanto a buon fine che il conte si sposò la cantante protagonista, Francisca Solari. Poi il clima politico cambiò, ci fu una rappresentazione della "Gioconda" boicottata dai fascisti che la ritenevano sovversiva, e il celebre concerto di Beniamino Gigli - recanatese - nel 1927.

Dopo di allora, tra la guerra e le difficoltà della ricostruzione, l'impianto ha ricominciato a funzionare regolarmente come teatro lirico, nel 1967: da allora la rassegna lirica estiva è diventata un "festival" stabile. Storica la famosa "Traviata degli specchi", risalente al 1992,  dove Josef Svoboda - insigne scenografo - aveva creato delle scenografie sul pavimento del palco, che venivano fatte vedete al pubblico tramite uno specchio posto a 45° rispetto al pavimento stesso, per cui i cantanti, che sembravano muoversi nella scenografia, in realtà la calpestavano!

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mercoledì 20 agosto 2014

MUSEO STORICO AEREONAUTiCA MILITARE -parte 2° - LE IMPRESE (e un po' di storia)

Di solito prima si parla della storia di un museo, e poi di quello che ci ha visto dentro, e maggiormente colpito.
Qui abbiamo fatto alla rovescia, perchè avevamo l'urgenza di scrivere le nostre impressioni a caldo su quello che avevamo visto e particolarmente  ammirato.
Adesso però un po' di Storia ci vuole!
Il museo dell'Aereonautica, si trova sul lago di Bracciano, in località Vigna di Valle, dove sorge l'Idroscalo più  antico d'italia, fondato nel 1904 da quello che è considerato il padre dell'aviazione Italiana, il Maggiore del Genio,  Mario Maurizio Moris.
Questa struttura è l'unica rimasta attualmente in italia, perfettamente integra così come è nata e cresciuta sino agli anni '60. C'erano vari musei dell'Aereonautica, ma solo nel 1975 si pensò di usufruire di queste attrezzature già esistenti - e del panorama meraviglioso, un vero valore aggiunto, diciamo noi - per riunire tutti gli apparecchi e formare un tutt'uno organico. Il museo è stato inaugurato il 24 maggio 1977 dall'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone.

E adesso parliamo delle imprese.
Infatti un ampio spazio è dedicato a splendidi diorami, vere ricostruzioni storiche, di alcune grandi imprese della Aereonautica Italiana, completi di vetrine contenenti divise d'epoca, attrezzature originali e reperti storici.
Quella che ci è piaciuta di più è quella legata all'aereo più bello che possiamo dire di avere mai visto.
Si tratta ovviamente di un parere personale, ma il Macchi- Castoldi  MC 72 è capace di far battere il cuore anche a chi non è appassionato di aerei.
In realtà non è un aereo, ma un idrocorsa, cioè un idrovolante da corsa, ed è stato l'ultimo mai costruito.

Ha due motori da 12 cilindri per un totale di  3100 CV, per una cilindrata di oltre 50 litri!,  e tutte le parti che vedete in color rame non sono altro che radiatori di raffreddamento del motore. Il serbatoio era nei galleggianti, e un sistema faceva sì che il carburante venisse prelevato in maniera parallela dal motore, in modo da non creare problemi di stabilità. I motori funzionavano indipendentemente l'uno dall'altro, e le eliche coassiali, montate sullo stretto muso, ruotavano l'una in una direzione, e l'altra in quella opposta.
Con uno di questi aerei - ne sono stati costruiti solo cinque: questo è l'unico rimasto, ed è proprio quello che ha stabilito il record (matricola MM181) -  il maresciallo Francesco Agello, il 23 ottobre 1934 stabilì il primato di velocità con motore a pistoni, di  709,202 km/h, primato tutt'ora imbattuto!!! Il record, come assoluto, fu valido sino al 1939.
L'idrocorsa era stato costruito per partecipare alla Coppa Schenider, una corsa per idrovolanti, come era in voga sino alla Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo non fecero in tempo a farlo partecipare, perchè l'Inghilterra si aggiudicò definitivamente la coppa nel 1931, con tre vittorie consecutive.
l'MC 72 tuttavia deve qualcosa alla Coppa Schenider, perchè il suo record fu raggiunto grazie alle vittorie dell'Italia, tre in tutto ma non consecutive.
Nel 1926 il capitano Mario De Bernardi, per aumentare la velocità del proprio  Macchi M39, applicò una particolare virata, detta "virata Desenzano, (e poi detta  virata Schneider)", studiata dal Colonnello Bernasconi. Se ci capite qualcosa, lui la definisce così:
“ è quella evoluzione orizzontale compiuta a minima quota, più simile ad un ramo di parabola che ad un semicerchio, percorrendo il quale l’idrocorsa può invertire la sua direzione con il minimo consumo di spazio a minima riduzione di velocità”.
Non ci avete capito niente, vero?! Nemmeno noi.
Però, vedendo dei filmati abbiamo capito la differenza, detta in parole poverissime: nella virata normale l'aereo mantiene un angolo delle ali per cui l'aereo gira ma va più lento. Nella virata Desenzano, l'aereo gira sulla sua traiettoria mantenendosi a 90°, per cui è solo la forza centrifuga che lo mantiene in aria. E siccome per mantenere la forza centrifuga bisogna accellerare....bingo!

Altre imprese:
le trasvolate di Italo Balbo. La prima - e qui bisogna essere davvero sintetici, altrimenti se ne potrebbe parlare per pagine e pagine - è la "Crociera Aerea Transatlantica Italia-Brasile". Non era la prima organizzata da Balbo, ma le prime due erano state limitate al Mediterraneo. Si trattava di una trasvolata atlantica da farsi in formazione, che non si era mai tentata prima. La difficoltà stava proprio in quello, nel mantenere la formazione per un viaggio così lungo. Balbo ha avuto il merito di esserci riuscito, con un rigoroso addestramento dei componenti la squadriglia, e il supporto dei 12 Idrovolanti Savoia- Marchetti S55A, tanto che le formazioni composte di numerosi aerei , da allora, si sono chiamate proprio "Balbo".
Partirono da Orbetello (GR) - dove era in fase di creazione  la sede della N.A.D.AM (Scuola di navigazione Aerea di Alto Mare)  il 17 Dicembre 1930. Con una tappa di 1200 km si fermo' a Los Alcazares, in Spagn a, il 19 dicembre proseguì con un salto di 700 km a Port-Lauytey in Marocco, Altri 1.600 km per fermarsi a Dakla nel Sahara Occidentale il 25 dicembre, e da lì altri 1500 sino a Bolama, nell'attuale Guinea Bissau. Il 5 Gennaio il grande salto di 3.000 km a Porto Natal in Brasile. In questa tappa, al decollo,  il comandante Balbo perde due aerei in un incidente, dove muore un intero equipaggio, composto da primo pilota, secondo pilota, marconista e motorista,  e il motorista  dell'altro aereo. Durante la trasvolata, un'altro aereo è costretto ad ammarare, ed un'altro è stato disperso. l'11 gennaio, dopo altri 1.000 lm arrivano a Salvador de Bahia, e il 15 gennaio1931 , dopo gli ultimi 1.400 km arrivò finalmente a Rio de Janeiro, dove c'era un milione di persone ad aspettare l'arrivo dei trasvolatori, che entrarono in porto insieme alla divisione navale Italiana. la stampa mondiale esaltò l'impresa, che trovò maggior gloria proprio a causa delle ingenti perdite che avevano colpito lo stormo durante l'impresa.
La seconda crociera è la "Crociera aerea del Decennale" e venne organizzata, come il nome fa facilmente intuire, per festeggiare il decimo anniversario della fondazione dell' Regia  Aereonautica, oltre che per festeggiare il l'esposizione universale che si teneva a Chicago  in occasione del centenario della sua fondazione. 
Alla crociera presero parte 25 idrovolanti SIAI Marchetti S.55X e si tenne tra il 1° luglio e il 12 Agosto 1933. Sempre con partenza da Orbetello, la prima tappa approdò ad Amsterdam, poi Londonderry, Reykjavik, Cartwright nel Labrador, Shediac in Canada, poi Montreal, Chicago e da lì a New York.
Anche qui non mancarono gli incidenti. Nella prima tappa, all'ammaraggio ad Amsterdam morì il motorista di uno degli equipaggi, l'altro incidente accadde durante il viaggio di ritorno,  nell'area delle Azzorre. Già a Chicago i trasvolatori trovarono un'accoglienza strepitosa: una formazione aerea americana li accolse disposta in modo da formare la parola "Italy", il sindaco consegno' a Balbo la chiave d'oro della città, e una tribù di Sioux proclamò Balbo loro capo onorario, imponendogli il nome di Aquila Volante. A New York l'accoglienza fu addirittura da delirio: oltre alla sfilata trionfale di Broadway, ci furono un discorso tenuto da Balbo alla comunità italiana alla City Hall, e i grandi festeggiamenti della comunità stessa per la grande occasione. In seguito il presidente F.D.Roosvelt, invitò Balbo a colazione alla Casa Bianca - colazione intesa come pranzo di mezzogiorno, s'intende...

Altra impresa: 
la trasvolata in dirigibile sul Polo nord del comandante Umberto Nobile. La prima, quella del Norge nel 1926 andò bene: insieme all'esploratore norvegese Roald Amudsen organizzò una spedizione in tappe che si proponeva di sorvolare il Polo nord, impresa che fu realizzata il 12 maggio di quello stesso anno.
Quella del dirigibile Italia, nel 1928 invece andò malissimo. L'impresa fu tentata sia per dimostrare la bontà del dirigibile semirigido pensato e voluto da Nobile, sia per tracciare le mappe dello sconfinato continente Artico. I primi due voli partiti dalla Baia del Re andarono bene, il terzo fu quello che si concluse tragicamente il 23 maggio del 1928. 

A Bordo dell'Italia erano imbarcate 16 persone, più la mitica cagnetta Titina. Gli strumenti di bordo si appesantirono di ghiaccio e il dirigibile andò a sbattere contro la calotta polare. La gondola con l'equipaggio si sfasciò e 10 persone si ritrovarono sulla superficie ghiacciata. Uno di loro morì poco dopo. Gli altri sei rimasero intrappolati nell'involucro del dirigibile che, alleggerito in maniera significativa, riprese quota.  Coloro che erano a bordo, pur sapendo di essere condannati a morire, trovarono il coraggio di lanciare giù quanto ci poteva essere di utile, provviste, attrezzature e la famosa tenda rossa. Di loro non si è saputo mai più nulla.
I superstiti che si trovarono sul pack Artico furono a loro modo fortunati: riuscirono a sopravvivere, sia pure tra grandi difficoltà, per tutti i 49 giorni che furono necessari ai soccorsi per ritrovarli: i soccorsi a quei tempi non erano certo organizzati, e c'è da dire che Italo Balbo, capo della Regia Aereonautica, non era un grande fan di Nobile, per cui si sospetta che non si sia nemmeno dato tutto quel da fare per ritrovarli. Di sicuro ci fu proprio Balbo a attizzare il fuoco delle accuse di abbandono del proprio equipaggio nei confronti del capitano Nobile.
Nelle ricerche dei superstiti - che comunque riuscirono a inviare il segnale radio che li poteva localizzare, solo dopo 33 giorni dall'impatto - risultò disperso l'esploratore norvegese Roald Amudsen, che aveva sorvolato il polo insieme a Nobile solo due anni prima con il Norge.
Il capitano Nobile, al suo ritorno in patria, subì un vero e proprio linciaggio morale: fu accusato di viltà, per essere stato il primo a salire sull'aereo svedese dei soccorsi, nonchè  di incapacità nel governo dell'aereomobile e nella gestione del viaggio fatale.
In realtà Umberto Nobile era ferito, insieme ad un altro, ma l'altro ferito era di corporatura molto più pesante, per cui imbarcare lui avrebbe voluto dire far scendere il secondo pilota. Appena scaricato Nobile alla Baia del re, il pilota svedese riparte da solo per caricare l' altro ferito - un certo Cecioni - ma ha un incidente in fase di atterraggio  e rimane bloccato sulla banchisa insieme ai superstiti del Norge, in attesa che un altro aereo venisse a prelevarlo. Cosa che succede solo quindici giorni più tardi, quando - era il 6 luglio - il ghiaccio era ormai troppo sottile per permettere l'atterraggio di un aereo. Viene recuperato solo il pilota svedese, e solo il 12 luglio il rompighiaccio sovietico Krasin riesce a raccogliere i superstiti della tenda rossa - Titina compresa.

Nobile fu accusato di avere abbandonato i suoi uomini e fu costretto a dimettersi da tutte le cariche pubbliche - e ne aveva parecchie - solo nel secondo dopoguerra fu riabilitato e gli fu restituito il grado di Generale, ma passò il resto della sua lunga vita a giustificarsi.







sabato 16 agosto 2014

MUSEO STORICO AEREONAUTICA MILITARE - parte 1° - GLI AEREI

Stupiti, eh?
Di solito quando scriviamo, è quello, e non ci sono appendici.
Tuttalpiù ci sono dei rimandi a post precedenti o all'intenzione di qualcosa di successivo.
Ma dopo averci pensato a lungo, abbiamo pensato che fare un post sul Museo Storico dell'Aereonautica Militare avrebbe comportato un post: 
A) troppo lungo - e quindi un po' palloso da leggere
B) con troppe foto - e quindi di difficile gestione in fase di caricamento.
Quindi abbiamo deciso di dividerlo in due.
In questo parliamo degli aerei.
Vabbè, in un museo dell'aereonautica che vuoi che altro ci sia?!
Grave errore... ci sono molte cose interessanti, oltre agli aerei, ma adesso parliamo di quelli.
Anzi, di quelli che sono piaciuti a noi!
In un vano tentativo di mantenere un andamento cronologico, ci piace partire con il Wright 4, detto "Flyer" - è una riproduzione - Nel 1909 fu il primo aereo che abbia mai volato in Italia, ed è anche  l'aereo su cui i fratelli Wright addestrarono il tenente Mario Calderara, brevetto di pilota n. 1 in Italia!
Il motore invece è originale dell'epoca.

Poi ci piace parlare dello SVA (è un acronimo e significa Savoia , Verduzio e Ansaldo:  i due ingegneri che lo hanno progettato, e per ultima la ditta che lo ha costruito). Su un aereo come questo, una pattuglia comandata da Gabriele D'Annunzio portò a termine lo storico volo su Vienna, il 9 agosto del 1918 - due parole, tanto per ricordarselo: partirono dal campo di Volo di Due Carrare a Padova, dove tra l'altro c'è un altro museo dell'aria che abbiamo visitato a questo link e lo stormo di 11  aerei sorvolò Vienna lanciando  50.000 copie di un volantino. Il volantino era scritto in italiano, e in che italiano! I viennesi non ci capirono un'acca, ma fortunatamente si era  pensato a questa eventualità e si erano premuniti anche con 350.000 volantini, scritti in  tedesco e assai più comprensibile - .
In questo caso, quello esposto è  un aereo originale, proprio uno di quegli 11 che fecero il volo su Vienna.
Con un aereo come questo, costruito in legno e tela, ci sono andati a Tokio (18.000 km) e la Medaglia d'Oro Antonio Locatelli attraversò le Ande in solitaria (forse la medaglia gliel'hanno data per questo...)

C'è poi il Fiat CR 42 Falco.
Anche qui CR è un acronimo: significa Caccia Rosatelli (Rosatelli era il nome dell'ingegnere progettista) e, anche se è stato un aereo assai diffuso durante la seconda guerra mondiale, era comunque un aereo con caratteristiche  inferiori ai modelli inglesi e tedeschi dello stesso periodo, in primo luogo per la costruzione a biplano, ormai sorpassata tecnicamente, e per le caratteristiche costruttive in legno, tela e metallo, che richiedevano lavorazioni assai complesse che ne allungavano di molto i tempi di produzione rispetto ai diretti concorrenti.
Ci ha colpito molto che, nonostante ne siano stati costruiti una gran quantità di esemplari, non ne è sopravvissuto intero nemmeno uno. Quello esposto nel museo è una ricostruzione, dovuta all'assemblaggio di vari esemplari semidistrutti, che ha solo il 60% di pezzi originali, mentre il resto è stato riprodotto...

A proposito di diretti concorrenti del CR 42, nel museo è esposto un Supermarine Spitfire MK-IXe, un aereo, famosissimo nell'immaginario della II guerra mondiale, e che tra i vecchi ragazzi della nostra generazione era famoso - anche - perchè era il nome di una marca di jeans., e che ci ha colpito  per le sue dimensioni ridottissime. 
Era, di conseguenza, un aereo di grande maneggevolezza, ed in più era convenientemente armato, per cui divenne uno dei caccia più diffusi, oltre ad essere uno dei primi aerei di produzione alleata ad far parte delle forze co-belligeranti, dal 1944 in poi.

Lasciamo perdere adesso gli aerei militari, e occupiamoci di un aereo che, oltre ad essere un pezzo di storia dell'aereonautica civile,che è il precursore di tutti gli aerei di linea attuali. 
Il Douglax C47- DC3 "Dakota".
Progettato del 1935 dall'Ing. Donald W.Douglas aveva ben 28 posti per i passeggeri, e 2.400 km di autonomia. Ne furono costruiti una grande quantità, anche su licenza in Giappone (si chiamava "Showa") o in Unione Sovietica, e molti furono trasformati in aerei militari durante la Seconda Guerra Mondiale. Quasi tutti erano destinati al trasporto di truppe, compreso quello esposto al museo, di proprietà dell'Aereonautica Militare.
Il soprannome "Dakota" fu dato dai piloti inglesi della RAF agli esemplari in loro possesso, e con questo nome sono ancora conosciuti in tutto il mondo.

E per ultimo ci lasciamo il Fiat G.91 PAN, ovverosia quello che siamo abituati - sempre noi vecchi ragazzi, dico - a veder sfrecciare formando le scie colorate delle frecce tricolori. Infatti abbiamo potuto ammirarlo nella sua livrea blu con i tre aerei a formare la bandiera italiana.
Nascono da una modifica dei G.91 ai quali furono tolti tutti gli armamenti, e al loro posto furono montati gli impianti fumogeni.
Sono stati operativi dal 1963, quando hanno sostituito i Canadair CL13 "Sabre" ed hanno fatto egregiamente il proprio lavoro sino al 1981, quando sono stati a loro volta sostituiti dai  Macchi MB339 PAN.

Tuttavia questo non ha posto fine alla loro vita operativa, perchè sono stati ceduti al 2° stormo , di stanza a  Treviso, a cui apparteneva l'esemplare esposto.

















giovedì 14 agosto 2014

LA MADONNA VESTITA DEL TREPPIO

Treppio è una frazione del comune di Sambuca Pistoiese.
Non è certo un luogo turistico; a parte una grande tranquillità e uno splendido panorama, non c'è molto altro.
Ha una particolarità, tuttavia. In questo luogo, sino a non molti anni fa, si parlava un dialetto molto simile a quello che si parla tutt'ora in Garfagnana. Ora, la Garfagnana è molto, molto distante da qui, per cui si pensa che sia stata ripopolata - in tempi però imprecisati - da una colonia di persone provenienti dalla Garfagnana.
Dalla piazza della Chiesa si può vedere una antica villa, dall'architettura molto diversa dalle case della zona, e purtroppo semidiroccata. Si tratta della villa Gargallo, il cui giardino è diventato parco pubblico. Come se ne avessero bisogno; da queste parti la natura non manca!

Dall'altra parte c'è la Chiesa di San Michele Arcangelo, dove invece abbiamo trovato una vera gemma.

Infatti, in una moderna teca in legno e vetro, abbiamo trovato un raro - per questa zona - esemplare di Madonna Vestita.
Avevamo sentito parlare di questo particolare tipo di statue devozionali. Sono diffuse in Italia meridionale, ma anche in America Latina , in Spagna e in Francia, specialmente in Camargue, dove erano molto venerate dalla popolazione gitana.
In Italia se ne trovano anche in Valtellina, ma comunque nelle Alpi.
Non ne avevamo mai viste - nè ne avevamo sentito parlare - in Toscana.

Le Madonne vestite, sono statue devozionali con i tratti di donne del popolo, e sono i tutto e per tutto delle "bambole" con arti snodati,in legno o cartapesta, ed un corpo centrale appena abbozzato, con
capelli finti che possono essere acconciati secondo le mode del momento e che hanno un completo guardaroba di abiti, anche molto preziosi, che vengono cuciti appositamente,  o vengono donati dalle ragazze del luogo. Spesso a queste statue venivano donati gli abiti da sposa delle famiglie più facoltose. Particolare molto interessante è che  l'abbigliamento è completato da calze, scarpe e biancheria intima.
Addette alla vestizione della statua della Madonna erano solo alcune donne, scelte per merito o perchè appartenenti a ricche famiglie, centri della comunità. Queste erano le uniche persone che potevano toccare la statua ed i suoi vestiti.
Questo culto delle Madonne vestite è stato molto ostacolato dalla Chiesa Cattolica, tanto che negli anni '50 il culto, considerato arcaico e con una forte componente di superstizione, è quasi cessato.
Le statue erano state abbandonate o distrutte, stessa sorte era toccata al loro ricco guardaroba.
E' stata quindi con profonda meraviglia che abbiamo visto questa statua, con il suo bravo tappeto persiano davanti, e la semplice, commovente devozione del vaso con le ortensie fresche posto davanti.
Si tratta infatti di una statua che è stata recuperata, e di cui si è potuto ricostruire un abbigliamento completo, così come si può vedere in questa foto.


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martedì 5 agosto 2014

IL PASSO DELLA CONSUMA

Siamo abituati a passarci per andare in Casentino, o al massimo, a fermarsi al bar per mangiare le famose schiacciate ripiene. Guardando l'insegna del bar vediamo il nome del proprietario "Consumi" e ci domandiamo che strana coincidenza possa essere quella, tra il nome di chi evidentemente risiede da tanto tempo da avere insediato un'attività commerciale che ha tutta l'aria di essere lì da un bel po', ed il nome della località.
Allora decidiamo di studiarci un po' e scopriamo che il nesso c'è.
Pare - badate, pare - che i Consumi siano una famiglia che è stata mandata da queste parti in esilio, per ragioni politiche, alla fine del XIX secolo. Una storia simile alle famiglie che hanno fatto la storia di  Marradi (se non ve la ricordate rileggetevela a questo link).
I Consumi, che in un primo momento si erano insediati vicino a Firenze, si trasferirono vicino al valico dell'antico mulattiera con congiungeva il Valdarno Superiore al Casentino, evidentemente per sfruttare le ampie distese boscose della zona - faggi. querce e castagni - che poi con l'opera dell'uomo si sono trasformate in castagneti da frutto e da palina, e in qualche prato, sulle zone meno ripide, adatte al pascolo degli animali: pochi i campi adatti alle coltivazioni. Tra il 1787 e il 1789 fu costruita la rotabile per il Casentino, ed il minuscolo borgo della Consuma conobbe l'inizio di un periodo più prospero, prima con il transito di merci e persone tra Firenze ed il Casentino, che all'inizio del XIX secolo era diventato un importante polo industriale, specialmente tessile. Risale ad allora la creazione di locande destinate al sollievo del viandante su quella che poi diventerà la Statale 70, bellissima e panoramica fin che si vuole, ma in questo tratto particolarmente ripida.

Di fronte alla storica locanda, si trova la chiesetta dedicata a San Domenico di Guzman, nella tipica pietra grigia della zona, che dà un aspetto particolarmente severo alle costruzioni, dando la sensazione di trovarsi in altra montagna (ma il valico si trova a soli 1050 msl).

All'inizio del XX secolo, la Consuma ebbe un felice periodo in cui era conosciuta come luogo di villeggiatura: infatti sii trova in una zona assai pittoresca, fresca e salubre in estate, oltre che vicina a Firenze e ben raggiungibile da essa.
La Consuma è frazione del comune di Pelago, in provincia di Firenze.
Tuttavia il Passo della Consuma propriamente detto, che è poche centinaia di metri fuori dall'abitato, fa parte del comune di Montemignaio, ed è quindi in provincia di Arezzo.
Dal piazzale situato sul passo, terreno comune sia per famiglie in fuga dalla calura della piana, che dei motociclisti attirati dalla splendida strada panoramica, si gode una vista mozzafiato sul sottostante Casentino.




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