domenica 27 marzo 2016

FUCECCHIO. OLTRE IL PADULE

Se credevate - come noi lo credevamo - che Fucecchio fosse tutto in pianura, forse per via del Padule, di cui tante volte abbiamo parlato, beh, siamo abbastanza contenti di dirvi che eravate caduti in un clamoroso errore.
Infatti, Fucecchio ha un nucleo antico, per raggiungere il quale bisogna salire parecchio.
Si raggiunge la sommità della collinetta, sulla quale si estendeva sin dalla più remota antichità, e che si chiama Colle Salamartano (o Salamarzano), dove gli antichi signori della zona, i Conti Cadolingi, fecero costruire una fortezza.
Qui sorge il Parco Corsini, di proprietà dell'antica famiglia nobiliare dal 1643, e che è tornato di proprietà comunale solo nel 1981,  con le tre torrette medioevali in laterizio, unite da uno spazio comune, sostenuto dalle possenti mura della fortezza, ancora ben visibili.

Da questa sommità si può ammirare un amplissimo panorama, come del resto dal vicino - e più famoso - colle di San Miniato.
In epoca medioevale si doveva dominare da qui tutto il Padule, di cui adesso vediamo brillare solo qualche laghetto in lontananza, mentre il resto del territorio è costellato di abitazioni, insediamenti produttivi e strade. 
Il motivo, dunque, per cui l'insalubre padule fu bonificato, in epoca granducale!
Per una volta, un obiettivo, sia pure a lunghissimo termine, è stato raggiunto.
Da Fucecchio - a proposito, il nome deriva dalle piante di fico che in epoca antica ricoprivano letteralmente la zona - passava la via Francigena, strada alla quale il borgo deve il suo sviluppo, durante il Medioevo. Era una località importante, perchè Sigerico la citava come XXIII tappa nel suo famoso itinerario.
Poi, durante una delle tante epidemia di peste che hanno decimato la popolazione, Fucecchio cadde in una profonda crisi demografica. Complice la palude che da lei prende il nome, e l'insalubrità dell'aria, Fucecchio conobbe un periodo do grave decadenza.
Sol nel XVII secolo ci fu una ripresa, sia nella costruzione di nuovi edifici, che nell'aumento della popolazione. Già sotto i Medici cominciarono le prime bonifiche, ma fu in epoca Granducale che Fucecchio riacquistò il suo prestigio, iniziando lo sviluppo di quel particolare tipo di artigianato, che è la concia delle pelli.
A Fucecchio ci sono una gran quantità di Piazze Montanelli, Palazzi Montanelli, e vie Montanelli.

Certo, noi conosciamo il grande giornalista Indro Montanelli, che nacque qui nel 1909; ma si tratta del nome di una famiglia che ha antiche radici in questa zona.
Per esempio, il nonno di Indro è Giuseppe Montanelli, triumviro di Toscana insieme a  Guerrazzi e a Mazzoni, e che dopo l'unità d'Italia divenne membro del parlamento.
Giuseppe Montanelli, era a sua volto pronipote di Pietro Guiliccioni, detto il Montanello, rampollo a sua volta della famiglia nobiliare che prese il potere a Fucecchio dopo la caduta dei Cadolingi.
Siccome i Giuliccioni si erano fatti nemici di gran parte della popolazione, a causa della loro ricchezza, e del potere che esercitavano sugli altri nobili e sul popolino, Pietro pensò bene di sposare una nobildonna pisana, Anna di Francesco del Borgo, di cambiare il nome della casata in Montanelli, e vivere felice.

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domenica 20 marzo 2016

Il LAGO DI CROCIALONI

Se il nostro obiettivo è quello di segnalare luoghi poco conosciuti nelle vicinanze, pensiamo di aver raggiunto lo scopo con questo post.
Contrariamente al solito, in cui presentiamo un luogo partendo dalla sua storia, più o meno recente, qui c'è poco o niente da dire.
Si tratta sicuramente di un residuo del Padule di Fucecchio,anche se  siamo un po' più in alto rispetto al padule vero e proprio.

Abbiamo però notato che le acque si devono essere abbassate, perchè molti alberi, accanto ai quali abbiamo passeggiato, avevano le radici scoperte, ed il terreno sottostante era composto di argilla e sassolini, che a noi ha ricordato un po' il fondo di un lago.
Ecco: questo è tutto quello che sappiamo.
Sicuramente, dalle infrastrutture che abbiamo potuto vedere,  si doveva trattare di un lago di pesca sportiva. Ci sono tettoie per i pescatori, panchine in pietra - lungo tutto il percorso di un sentiero che gira intorno al lago - panche e tavoli per il pick-nic.
C'è un'entrata con il nome del luogo, 

ed una costruzione in ottimo stato, ben imbiancata all'esterno, ma all'interno completamente vuota.

Certo doveva trattarsi di un posto di ristoro, perchè all'interno sono visibili due banconi da bar. A parte un vetro incrinato, sembra tutto in buone condizioni.
Noi siamo stati qui in un tiepido giorno di fine inverno.
Il luogo era completamente deserto, si sentivano solo gli uccellini che cantavano e le foglie secche calpestate dai nostri piedi.
Un silenzio totale, irreale, pensando che siamo a pochi chilometri da Fucecchio e da Ponte Buggianese. Certo, non stiamo parlando di metropoli, ma così lontani da tutto non ci eravamo sentiti nemmeno sull'appennino.
Il luogo era idilliaco: quanti modesti ma pur incantevoli fiori sbocciano, senza avere la pretesa di essere vista da alcuno!

Certo, in estate sarà certamente più frequentato, se non altro dai pescatori, ma abbiamo ragione di credere che la tranquillità sia quasi la stessa; e la bellezza del luogo ancora maggiore.

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PESCIA LA CITTA' DEI FIORI

Va bene: la città dei fiori universalmente conosciuta è Sanremo, ma, anche Pescia, può fregiarsi di questo titolo.
La storia per cui si è arrivati alla coltivazione dei fiori è piuttosto particolare: certo non gode dell'esposizione e delle temperature miti di Sanremo e della riviera di Ponente, per cui - ci siamo detti - ci deve essere qualcosa sotto.
In effetti, abbiamo scoperto che la zona era famosa nel medioevo, per la coltivazione degli alberi di gelso, nutrimento del baco da seta.
Vuole la tradizione, che il baco da seta sia stato importato in Europa, proprio da un frate pesciatino, un missionario, nascondendolo nel suo bastone e togliendo così alla Cina il monopolio della produzione delle stoffe di seta.
Già dal 1399 la città era sotto il dominio della Repubblica di Firenze, e quando il Granduca elevò il borgo al rango di città, gli fu dedicata la "porta Fiorentina", una porto con arco trionfale di accesso alla città, e che, essendo stata costruita solo per celebrazione, ha la particolarità di non essere collegata a delle mura, come invece siamo abituati a vedere!

Da questa porta passò anche Napoleone Bonaparte, quando con le sue truppe passò trionfalmente da queste parti.
Napoleone, ordinò che, per approvigionare il suo esercito, fossero espiantati tutti gli alberi di gelso e che si provvedesse a coltivare la barbabietola da zucchero - forse per nutrire le cavalcature? i soldati mica si saranno mangiati le barbabietole da zucchero, bleah!- su tutto il territorio di Pescia.
Bella pensata!
L'economia della città ne ebbe un danno notevole, e ci sono voluti tempo ed inventiva per recuperare il danno fatto da Napoleone.
Fortunatamente i pesciatini sono gente tosta, e non si lasciarono abbattere dalle difficoltà; si riciclarono nell'agricoltura - oltre a continuare la produzione di carta, per cui era giustamente famosa - creando insieme a Pistoia il più grande comparto di coltivazione di piante ornamentali e fiori recisi di tutta Italia, superiore in produzione anche alla mitica Sanremo.
Una delle specializzazioni di Pescia è la coltivazione delle Gerbere, un fiore simile ad una grande margherita dai bellissimi colori, che ha cominciato a diffondersi in Italia solo nel periodo tra le due guerre.
Pescia ha un'altra caratteristica piuttosto particolare, cioè quello di avere due centri storici.
Infatti sulla riva destra dell'omonimo fiume,  c'è la parte pubblica e commerciale, circondata dai suoi vicoletti e strade,  

mentre sulla riva sinistra ci sono le chiese e i monasteri, anche questi circondati da vicoletti e strade.

I due centri storici erano anticamente uniti solo dal Ponte del Duomo.

Poi, si sono aggiunti altri ponti, ma in epoca moderna.
Famoso - nella sua parte commerciale, ovviamente,  - sono i Mercati dei Fiori (sono due anche questi); Il Vecchio Mercato dei Fiori,  in stile razionalistico,  è stato costruito negli anni '50 del XX secolo, e ben presto si è dimostrato insufficiente per la mole di lavoro che doveva ospitare.

Già nei primi anni '70 si pensò di costruirne un'altro, più grande e meglio disposto strategicamente (con poca fantasia si chiama Nuovo Mercato dei Fiori) ma per arrivare all'inaugurazione si dovette aspettare un bel po': infatti è entrato in funzione solo nel 1988.

Si tratta di un edificio realizzato in vetrocemento e acciaio, molto particolare, che a suo tempo ha suscitato qualche polemica, ma che ora rappresenta al meglio la città.

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domenica 13 marzo 2016

IL CICLO DELLA LANA RIGENERATA VISTO DAL MuMaT


Ci capita spesso di pensare che la Prato che conoscevamo è ormai morta e sepolta.
Basta guardare un film come "Madonna che silenzio c'è stasera", con il grande Francesco Nuti, che è del 1982, mica di cento anni fa... per vedere una Prato che davvero non c'è più.
Le balle degli stracci fuori dagli stanzoni, che avevano le porte in ferro con i vetri opachi, i telai a navetta che facevano un rumore intollerabile, gli operai con la canottiera blu.
Un mondo finito.
Un mondo che i ragazzi nati negli anni '80 non conoscono già più.
Ma abbiamo avuto modo di recuperarlo, visitando un interessante museo a Mercatale di Vernio, il MUseo MAcchine Tessili (MuMaT, appunto).
Siamo stati tanto fortunati da aver partecipato ad una visita guidata, condotta da due simpatiche e competenti ragazze, che ci hanno mostrato alcune macchine tessili, scampate alla distruzione conseguente al radicale ridimensionamento dell'industria tessile a Prato ed in Val di Bisenzio.
Il museo si trova nei locali dell'ex carbonizzo Meucci.
Come è sempre successo in queste antiche costruzioni, sedi da secoli di opifici, il primo utilizzo è stato quello di mulino. 
Ma per conoscere le vicende dello storico edificio, vi rimandiamo al sito del MuMaT.
Ispirati da questa visita, abbiamo pensato di "lasciare ai posteri" una descrizione del ciclo della lana rigenerata: una cosa che a noi, nati negli anni '60, insegnavano a scuola, oltre a conoscerla per l'esperienza diretta dei nostri genitori, che lavoravano nel settore.
Naturalmente si tratta di una descrizione generica, perchè ogni lavorazione aveva le sue specificità e entrare nel particolare sarebbe stato impossibile!
Questa sequenza del ciclo della lana rigenerata ci è stata trasmessa da una persona che ha vissuto tutta la lavorazione, essendo stato Provveditore in un lanificio di Prato da 1965 al 1982.
La procedura, raccolta dalla sua viva voce, era questa:
la partenza è la BALLA DI STRACCI
da questa si passa alla CERNITA, fatta da personale altamente specializzato: Anche se sembrava un mestiere sporco, richiedeva un grado di specializzazione altissimo.  Un buon cernitore sapeva dire la composizione di un capo solo toccandolo - e vi assicuriamo che sbagliava di poco, rispetto all'etichetta - dopodichè il tessuto, separato dalle fodere e privato dei bottoni, veniva diviso secondo la composizione.
Da qui i tessuti passavano al CARBONIZZO, dove i fumi di acido muriatico distruggevano tutto quello che non era lana, anche se in realtà le fibre artificiali rimanevano.

Ecco perchè il lavoro del cernitore era così importante: maggiore era la quantità di lana nel tessuto che veniva maneggiato, maggiore era la qualità di quello che poi sarebbe diventato il prodotto finito.
si passa quindi alla STRACCIATURA che richiedeva un bagno preventivo dei capi carbonizzati - si andava dalle 12 alle 24 ore di ammollo in acqua - dopodichè si passavano al cilindro, che sfibra il tessuto e lo riduce a quella che veniva definita "lana meccanica", che veniva ancora una volta lavata.
Quando era asciutta, si preparava un MESCOLO con altre fibre nuove, per aumentarne qualità e durabilità.
Ecco, la vera arte di Prato era proprio il "mescolo", cioè la dosatura secondo il prodotto che si desidera ottenere.
Il mescolo veniva poi unto con olii speciali, che rendevano le fibre lavorabili, e veniva introdotto nella BATTITORA, che eliminava i residui carbonizzati.
Da lì va alla famigerata LUPA, che con i suoi denti acuminati, apre le fibre (e qualche volta  anche le dita delle mani del malcapitato che spinge le fibre nella macchina) ed è detto "allupino".
(quello con la canottiera blu...)
La fibra che esce va alla CARDATURA che è composta di tre macchine diverse
la prima è detta "ad aprire" e quindi apre le fibre.

la seconda è detta "ad ovattare", da cui esce una specie di tovaglia di ovatta.
la terza è detta "a dividere",dove la tovaglia di cui sopra, viene divisa in una specie di stoppino, privo di resistenza.
Lo stoppino va alla FILANDA che può essere di due tipi:
la più antica è la SELFACTING, o filatoio intermittente, dove lo stoppino va sul fuso, ed è  il movimento della macchina stessa, che si muove orizzontalmente,  a dare al filo la torsione desiderata.

la tecnologia più recente è invece quella a RING o filatoio continuo ad anelli, dove invece il movimento che dà la torsione al filo è verticale.
Da lì il filo passa all'ORDITURA. Il nome è auto esplicativo: con questa macchina si prepara il futuro tessuto partendo, appunto, dall'ordito. A seconda della lavorazione che si vuole ottenere, si abbinano fili di colori diversi - a seconda di come si vuole che venga il tessuto - raggiungendo la larghezza desiderata.
L'ordito si carica su SUBBIO, che è un cilindro di legno con dei larghi dischi di metallo ai lati, che viene caricato sul telaio per la tessitura.
Per far passare i fili dell'ordito sul telaio è necessaria l'ANNODATURA, una fase che fino a pochi anni fa veniva fata a mano da abilissime operaie - in maggioranza erano donne - con la quale si annodava filo per filo tutto l'ordito presente su un subbio, ad una licciata già rincorsata (cioè con i fili già passati attraverso il liccio).
I tessitori avevano l'abitudine di tenere i licci già rincorsati, pronti per le varie lavorazioni, ammucchiati negli stanzoni dove alloggiavano i telai.
Adesso viene il bello, perchè si passa alla tessitura, che è la lavorazione per cui Prato è diventata famosa nel mondo - come se il resto non bastasse!
Sul telaio viene montato l'ordito, caricandolo dal subbio.
In fondo - ed in cima -  al subbio c'è una "croce" che garantisce che tutti i fili siano diritti e paralleli; per passare da un subbio all'altro i fili si annodano alla "croce" successiva in modo che la tela continui.
Secondo la disposizione dei fili sul liccio, l'armatura del tessuto sarà diversa.
L'armatura viene data da una scheda perforata, che determina il movimento del liccio stesso.
Adesso bisogna passare alla trama, che nei telai moderni - la gran parte dei telai pratesi funziona così - è trasportata da un nastro e da una pinza.

La pinza femmina porta il filo , tagliato all'inizio da una falsa cimosa, sino a metà tela, dove viene affidato ad una pinza maschio che lo porta dall'altra parte del tessuto, dove un'altra falsa cimosa permette di tagliare il filo dall'altra parte.
Il pettine, a quel punto, batte il filo della trama sull'ordito, e crea il tessuto.
Prima della nascita di questo tipo di telaio, il filo veniva trasportato dalle classiche NAVETTE in legno, che avevano il pregio di essere posizionate all'interno del tessuto stesso, per cui, senza bisogno di tagliare il filo all'inizio ed alla fine, tramite una complicata serie di anellini che permettevano al filo di andare avanti e indietro, si otteneva lo stesso risultato.

I telai a navetta vengono ancora utilizzati per i tessuti più pregiati, che hanno bisogno di una cimosa perfetta ai lati.
Finita la tela si faceva lo STACCO dal telaio, ed il tessuto passava alle operazioni di rifinitura.
Il cardato andava in follatura.
Il pettinato - che era il filato più pregiato - andava alle macchine di rifinitura.
la FOLLATURA si faceva attraverso delle macchine chiamate appunto fole, il cui compito era di comprimere il tessuto in modo che venisse più fitto e compatto, ben lavato e spurgato da ogni impurità.
Da qui veniva passato alla tintoria, ovviamente se veniva tinto in pezza.
Se il tessuto  invece era pettinato (o disegnato jaquard, lavorazione ques'ultima che richiedeva dei telai particolari) andava al lavaggio e alla RAMOSA, una macchina che stira ed asciuga in modo da rendere il tessuto uniforme.
Anche il cardato passava alla ramosa (ma dopo la follatura, quindi un passaggio in più).
Queste le principali fasi di rifinitura:
a seconda del tipo di tessuto che si voleva ottenere, il tessuto poteva passare anche alla GARZATURA, che tira fuori una peluria più o meno consistente.
la CIMATURA che pareggia l'altezza del pelo tirato fuori dal garzo, oppure si limitava a tagliare i peli esterni della pezza.
La CALANDRATURA che è una stiratura molto forte, oppure
il DECATIZZO, che è un tipo di finissaggio più leggero,  fissa le fibre perchè il tessuto non si deformi,
oppure, sempre secondo il tipo di tessuto che si voleva ottenere,
il KD che è un trattamento anti-restringimento, e comunque un finissaggio più forte.
dopodichè si passava all'arrotolatura della pezza (oppure alla piegatura) e al confezionamento ed etichettatura.

Dedicato alla memoria di Kurt Guarnieri

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domenica 6 marzo 2016

PERCY BYSSE SHELLEY A VIAREGGIO - UNA STORIA ROMANTICA

Siccome stiamo parlando di storie romantiche - nel senso ottocentesco del termine - allora cominciamo dalla fine.
Nel luglio del 1822, la goletta "Ariel", partita da San Terenzio, nella baia di Lerici, affondò nel mare davanti a Viareggio.
Si trattava di una nave costruita in un cantiere di Genova, ma il progetto presentava non poche criticità,tanto è vero che la barca affondò senza nemmeno rovesciarsi.
L'equipaggio, composto da tre persone, morì nel naufragio.
Uno di questi era il poeta inglese Percy Bysse Shelley, al quale mancava poco meno di un mese al suo trentesimo compleanno.
I loro corpi furono trovati solo dopo una diecina di giorni, sulla costa di Viareggio.
La moglie Mary, che nel frattempo era partita per venirlo a cercare, lo fece seppellire provvisoriamente nella sabbia della spiaggia, e qualche settimana dopo fu cremato, sul luogo stesso della sepoltura, versando olii aromatici sulla pira, e sottraendo al fuoco il cuore del poeta, che non bruciò nelle fiamme.
Tutto questo era molto romantico, ma ai viareggini non piacque molto: a quei tempi la cremazione era proibita ai cattolici, e tutte queste manovre dovettero sembrare ai superstiziosi marinai del popolo, niente di più che un rito pagano!
Per quanto possa sembrare strano, il luogo dove avvenne tutta questa storia, adesso è una piazza di Viareggio, nemmeno troppo sul lungomare, diciamo alla terza traversa andando verso l'interno.
Eppure il luogo è proprio quello: colpa dell'avanzare della costa, di cui abbiamo già parlato nel nostro post riguardante Viareggio Liberty (link).
La piazza è - attualmente - dedicata a Percy Bysse Shelley, ed al suo centro ospita un monumento dedicato al poeta.

Il busto fu salvato da una probabile distruzione, durante il secondo conflitto mondiale - una rappresaglia dei tedeschi era doppiamente giustificata - da un partigiano amante della poesia, che nascose la scultura in attesa di tempi migliori.
Due paroline sul morto le vogliamo dire?!
Era un bel tipino davvero: nato assai bene, nel senso che era un nobile inglese di antichissima discendenza, studiò nei migliori collegi, ed era uno studente assai promettente, ma insofferente alla disciplina ed all'etichetta -  che a quei tempi imperava in queste istituzioni scolastiche -  e collezionando una serie di espulsioni, (cosa questa che lo mise in fiero contrasto con il padre).
Uno dei motivi di maggior disaccordo era il suo dichiarato ateismo; quando poi fuggì in Scozia, con quella che poi diventerà la sua prima moglie, i rapporti con il padre cessano del tutto.
Ben presto cesseranno anche i rapporti con la moglie - ma nel frattempo fanno insieme un paio di figli - forse a causa delle sue convinzioni sul libero amore: decisamente troppo avanti per l'epoca.
Nel frattempo pubblica poesie, romanzi, saggi, propaganda politica, poemi filosofici... e faceva debiti enormi.
Conobbe la sua seconda moglie in Scozia. Anche lei un tipino niente male, figlia di una proto-femminista e di anarchico; quest'ultimo ebbe una profonda influenza sull'animo eccentrico del giovane poeta.
La ragazza si chiamava Mary, e siccome a quei tempi le donne sostituivano il proprio cognome con quello del marito, abbiamo Mary Shelley.
Non lambiccatevi il cervello, ve lo diciamo noi: è quella di Frankestein.
Poi...
sarebbe troppo lungo e complicato parlare di tutto quello che successe:
vi basti sapere che tra suicidi, avvelenamenti, e fughe dai creditori, - ah, erano anche vegetariani, in un periodo storico dove i nobili spesso si ammalavano di gotta - passò tutta la vita del poeta (che comunque fu piuttosto breve, come abbiamo visto).
Una vita che possiamo veramente definire il prototipo della vita "romantica" così come la intendiamo in questo secolo privo di poesia.


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