mercoledì 28 novembre 2012

LA VILLA MEDICEA DI POGGIO A CAIANO

Girovagando in Toscana siamo fortunati: anche il solo descrivere una ad una le ville dei Medici, ci assicura 17 post per le principali e altri 12 per quelle considerate secondarie, che sono per lo più case di caccia o fattorie con villa.

Adesso però vogliamo parlare di quella di Poggio a Caiano, detta anche Ambra, che è una delle più famose.

Fu fatta costruire, dal 1480,  direttamente da Lorenzo il Magnifico che affidò il progetto a Giuliano da Sangallo. la villa sorge sul Poggio propriamente detto, che è poi l'ultima propaggine del Montalbano verso la pianura, in una posizione dalla quale essa viene dominata completamente.
Le due scalinate gemelle che conducono al terrazzo sono state erette ai primi dell'800, in sostituzione di quelle originali del Sangallo, che andavano su diritte e che erano fortemente danneggiate.


Il fregio sul primo ordine di archi che porta all'ingresso principale è una riproduzione realizzata da Richard-Ginori. L'originale è esposto all'interno.

La villa è visitabile a gruppi, ma ovviamente gli interni  non sono fotografabili.
Il giardino invece si può visitare liberamente, e la parte che è rimasta di diretta pertinenza della villa è già impressionante per vastità, ed è ricchissima di alberi monumentali.

Molti sono gli edifici annessi, quali l'imponente limonaia.

Un muro costeggia l'Ombrone, e rimangono le vestigia di uno dei ponti che attraversavano il fiume e portavano verso il parco delle Cascine di Tavola, nel territorio del comune di Prato. Questo era talmente grande che attualmente è diviso in tre settori: per un terzo è Parco pubblico, per un terzo è Club Ippico e per un terzo è Golf Club!
In fondo al parco annesso alla villa sorge questa statua che raffigura la ninfa Ambra - ed ecco il nome della villa -  ed il fiume Ombrone - che scorre dietro il muro.

La statua ci parla della leggenda della bellissima ninfa Ambra, che ballava la notte sotto la luna, vicino al fiume. Il fiume Ombrone la vide e se ne innamorò e comincio' a rincorrerla finchè lei, sfinita, chiese aiuto alla dea Diana, che la fece diventare un isolotto roccioso. Il fiume l'abbracciava con le sue acque, ma Ambra non tornò più alla forma umana.
C'è da chiedersi se ad Ambra non conveniva farsi ghermire da Ombrone, piuttosto che diventare un isolotto! Ma tant'è...in questo caso non ci sarebbe stata la leggenda!
Sul davanti della villa c'era la strada che porta a Firenze da un lato e a Pistoia dall'altro. Poggio a Caiano è esattamente a metà strada.
(ah, quella strada c'è ancora e porta negli stessi posti. Si chiama Strada Statale 66...).

Proprio questa strada, e poi  quella che porta a Prato, sul lato del bastione, dopo le scuderie, hanno sempre rappresentato un problema per il disegno e la sistemazione dei giardini.
Comunque, dall'altra parte della strada, tanto per gradire, c'era la parte in collina del parco della villa. Il comune di Poggio a Caiano ne ha fatto un altro parco, che si chiama Parco del Barco Mediceo di Bonistallo.
Questo tanto per rendere l'idea di quanto sterminato fosse in origine il parco della villa.
Alla morte dell'ultima Medici, Anna Maria Luisa, la villa e tutto il resto andò ai Lorena, che non avevano una grande simpatia per tutte quelle dispendiosissime ville sparse in tutta la Toscana.
In tutta sincerità non posso dar loro torto. Vagando nel  giardino ancora annesso, non si può fare a meno di pensare che mantenere anche solo una villa come quella deve costare quanto il pil di un piccolo stato: figuriamoci una trentina! Non parliamo poi  dello stato attuale di manutenzione: il comune fa quello che può, ma esternamente la villa è transennata per oltre metà, anche se il giardino è tenuto benissimo.
Comunque questa fu una delle ville che i Lorena non alienarono: la usavano come punto d'appoggio nei viaggi tra Firenze e Pistoia.
Quando Elisa Baciocchi divenne granduchessa di Toscana, questa diventò una delle sue abitazioni preferite, e le malelingue dicono che qui si consumò la relazione tra la sorella di Bonaparte ed il grande violinista Niccolò Paganini.
Comunque fu lei che volle il riordino ed il ridisegno del giardino
La villa fu abitata anche da Vittorio Emanuele II, nel periodo in cui Firenze era capitale d'Italia.
Qui il re teneva la "Bella Rosin" la popolana piemontese che era sua moglie morganatica (cioè sposata solo in Chiesa, senza effetti civili).
Nel 1919 i Savoia donarono la villa allo Stato Italiano, e la tenuta delle Cascine all'associazione combattenti e reduci.

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domenica 18 novembre 2012

SIGNA E LASTRA A SIGNA

SIGNA E LASTRA A SIGNA


Piccole storie e piccoli tesori nascosti in territori solo apparentemente conosciuti. Questo il senso del nostro blog...
Ecco quindi un'esplorazione che facciamo anche noi per la prima volta, in una zona talmente vicina a casa da non essere mai stata considerata interessante.
E invece...
Signa, sulla riva destra del fiume Arno, come molte città della zona,  ha una parte più antica in collina ed una più recente in pianura. Le sue origini sono probabilmente romane. Il nome - ma sono ipotesi - è ricollegabile ad una storpiatura del nome del probabile fondatore, Lucio Cornelio Silla. Comunque sia, l'insediamento acquistò importanza perchè era vicino all'Arno, e lungo l'asse viario tra Fiesole e Pisa. Non si hanno grandi notizie del castello di Signa, nel medioevo, a parte quelle legate alla Beata Giovanna, una pastorella nata nel 1266 che all'età di dodici anni, cosa non rara all'epoca, decise di dedicarsi ad una vita eremitica di preghiera e  penitenza. Si ritirò in un romitorio dove  fece murare la porta e dove visse sino al 1307, divenendo poi  la Santa  protettrice della città.
Proprio dove il fiume Bisenzio si getta nell'Arno, c'è il ponte sul fiume che ha rappresentato per tanti secoli il motivo della prosperità del luogo.

Infatti, anticamente questo era l'unico - e ultimo - ponte che, dopo la città di  Firenze, permetteva di passare all'altra riva, e quindi di collegarsi alla strada che portava a Pisa.
Per la cronaca, la strada che porta a Pisa è la SS 67 Tosco Romagnola, e il ponte rappresenta l'innesto con la SS 325 che porta a Prato e poi a Bologna.
Percorrendo questo primo tratto di strada statale, non si ha una grande impressione della cittadina. Ma basta salire una delle tante scalette, o stradine anche solo pedonali,

che portano su verso il Castello, per scoprire un'altro mondo, fatto di antiche stradine, bastioni del vecchio castello inglobate nelle case attuali, antiche porte e bar dai nomi piuttosto "vintage"
Abbiamo scoperto anche che le sorelle Irma e Emma Gramatica hanno vissuto  per qualche anno, insieme ai genitori, in questo villino da cui si gode un panorama veramente grandioso.
Nel territorio di Signa fa parte anche il parco dei Renai, un lodevole recupero delle casse di espansione dell'Arno, che fu deviato in periodo Mediceo allo scopo di farne una cava di sabbia. Trascurati e impaludati per molti secoli,  sono stati recuperati in tempi recenti con la creazione di un bellissimo parco fluviale, ricco di laghi e  vegetazione. Magari ne parliamo meglio in un altro post....
Lastra a Signa,sulla parte sinistra del fiume, deve il suo nome ad una cava di arenaria da cui si ricavavano le lastre, ed alla sua vicinanza a Signa. Sino a XIII secolo era conosciuta come Lastra a Gangalandi, dal nome della famiglia feudale della zona, legata ai Cadolingi di Fucecchio.
Lastra a Signa custodisce l'unico museo italiano dedicato ad Enrico Caruso. E' situato in una villa sulla collina, villa Caruso di Bellosguardo, che era di proprietà del tenore napoletano che visse qui per alcuni anni. 
Da Lastra a Signa, nel 1529 Francesco Ferrucci si oppose all'avanzata delle truppe imperiali verso Firenze. (ma la famosa frase "vile, tu uccidi un uomo morto" fu pronunciata durante la battaglia di Gavinana, dove morì il 3 agosto 1530).
Lastra a Signa era dotata di belle mura fortificate, che sono state ricostruite numerose volte. La costruzione avvenuta verso il 1370 viene attribuita al Brunelleschi.

Ne rimangono alcuni frammenti fra cui il portone  di Baccio, ingresso al centro storico dalla SS 67.

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venerdì 2 novembre 2012

BADIA A SETTIMO



Per chi abita nella piana di Firenze, il nome Badia a Settimo evoca solo una zona industriale vicino Scandicci. Ed in effetti, limitandosi a passare dalla Tosco-romagnola non si vedono nient'altro che insediamenti produttivi, nemmeno particolarmente belli.
Se però ci fermiamo ad analizzare il nome, vediamo subito che ci deve essere una Badia in una zona chiamata Settimo...
Quest'ultimo è un toponimo comune in zona, e designa la distanza delle miglia dal centro della città, secondo il metodo romano che tanto è evidente in altra zona (dove abbiamo Quinto, Sesto e Settimello).
Vediamo quindi di scoprire qualcosa circa la Badia!
Come sempre accade in queste storie, bisogna risalire a qualche anno prima dell'anno mille, quando una piccola comunità religiosa, si riunì presso un tempietto pagano, adattato all'uso Cristiano. Fu protetto e sovvenzionato dalla famiglia dei Cadolingi, signori di Borgonuovo (l'odierna Fucecchio)  che introdussero la regola benedettina cluniacense. Ci fu un avvicendarsi di ordini monastici perchè l'abbazia passò ai Vallobrosani e poi nel 1236 ai Cistercensi.

Durante il periodo Vallombrosano - dove l'abate era proprio San Giovanni Gualberto, fondatore dell'ordine -  ci fu la famosa "prova del fuoco" di Pietro Igneo, (il soprannome venne dopo...)  dove il frate passò attraverso un'ordalia - che sarebbe poi una prova del fuoco dove chi si brucia viene considerato colpevole - per accusare un vescovo simoniaco - che vorrebbe dire che vendeva le indulgenze per soldi - e che poi fu effettivamente cacciato con disonore dalla carica che ricopriva!
I  Cistercensi  diventarono molto potenti,  e sbrigarono incarichi di  fiducia per conto della Repubblica Fiorentina. Il monastero rimase così legato a questa istituzione, che la salita al potere della famiglia dei Medici rappresentò l'inizio del suo declino, che culmino' nel 1783 con l'abolizione dell'ordine cistercense da parte del granduca Pietro Leopoldo, e il conseguente allontanamento dei monaci.
Da allora il degrado del complesso  fu tale che fino all'inizio del XX secolo era usato come fattoria da parte di privati.

L'edificio è stato restaurato completamente solo nel 1998, ed è molto suggestivo, con la sua torre campanaria esagonale di origine longobarda,   costruita metà in pietra e metà in mattoni, ed inserita in un ambiente molto suggestivo, tra canali con il ponte levatoio

e celle sotterranee, dove probabilmente viveva qualche eremita.

Un modellino realizzato in metallo ed esposto vicino al campanile, ci dà un'idea di quel che doveva essere il complesso monastico ai tempi del suo massimo splendore.

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