A Prato abbiamo un tipo di marmo particolare, il verde di Prato, altrimenti detto anche "Serpentino".
E' quello con i quale sono state decorate gran parte delle basiliche e cattedrali costruite in "romanico toscano", e che si può vedere un po' dappertutto in zona.
L'ispirazione era troppo bella per lasciarsela sfuggire, anche se confessiamo che quando si parla di geologia, la nostra mente si obnubila, la testa si riempie di bollicine rosa e cadiamo in un sonno profondo, dal quale usciamo solamente dopo ripetute gomitate nelle costole...
Ma una Mission è una Mission, e poi per Prato si può fare anche uno sforzo.
Ordunque.
Il Verde di Prato viene così chiamato per il suo bel colore, che ricorda la malachite, e viene detto Serpentino perchè appartiene alla famiglia geologica delle serpentiniti, formazioni rocciose tipiche degli Appennini, delle quali la definizione esatta è "roccia ultrafemica metarmofizzata".
E'detto anche "marmo di Figline", perchè le cave si trovavano in maggior parte sul Monteferrato, situati proprio in prossimità della (attuale) frazione di Figline di Prato.
Ecco, diciamo due parole anche sul Monteferrato, che molti vecchi pratesi tramandano essere stato un vulcano spento.
Per quel che ne sappiamo potrebbe essere anche vero.
Per dire la verità non si tratta di un monte, ma di una piccola catena montuosa: sono tre colli disposti in ordine decrescente di altezza, dove il piu' alto - il Poggio Ferrato - domina la città di Prato, con i suoi 420 metri.
Poi, in direzione della dorsale appenninica, troviamo il Monte Mezzano (398 metri) ed il più settentrionale è il Monte Piccioli (362 metri)
Sicuramente sono composti da rocce ferrose, inadatte allo sviluppo della vegetazione.
Nella parte bassa, poi, è ricco di argille che hanno alimentato l'industria tessile della zona, fornendo - prima dell'invenzione delle sostanze chimiche - le terre adatte alla follatura dei panni di lana.
Nei primi anni dell'ottocento fu rimboschito con pini marittimi, con l'intenzione di utilizzarli per estrarne la ragia.
Fu un intento lodevole dal punto di vista paesaggistico, ma una pessima scelta per l'ambiente in cui questi poveri alberi sono stati inseriti.
Non sappiamo se l'impresa di estrazione di ragia sia andata a buon fine - ne dubitiamo - ma il terreno su cui questi alberi sono stati piantati, era quanto di meno adatto si potesse pensare per questa specie vegetale.
Se ci si prende la briga di una passeggiata, si vede che gran parte degli alberi sono in sofferenza: sono cresciuti in maniera stentata, sono contorti e radi, ed è una pena vederli tra queste rocce verdastre, o luccicanti di pirite.
Ma torniamo al nostro marmo.
Presenta varie tonalità di verde, che vanno da quelle più pallide, quasi grigie - o addirittura giallastre, tanto da farli prendere il nome di "pietra ranocchiaia" - al verde scurissimo che tende al blu.
Siccome è una pietra che può essere facilmente lucidata, veniva utilizzata specialmente per intarsi e decorazioni, insieme al marmo bianco di Carrara o alla pietra Alberese, con effetti veramente notevoli.
Nell'ispirazione del Romanico Toscano per le antiche costruzioni di Roma, si era sostituito, con la bella pietra delle nostre montagne, il porfido verde di Grecia che le decorava con i suoi intarsi, e al quale tanto somigliava.
Ebbe poi un lungo periodo di oblio, venendo recuperato solo nell'ottocento, con le sue costruzioni romantiche, ispirate al medioevo italiano.
In tempi più recenti, prima che la sua estrazione cessasse quasi completamente, veniva prosaicamente utilizzato per le massicciate delle strade, come pientra da riempimento. Che fine ingloriosa!
Il suo utilizzo è sempre stato puramente decorativo e molto difficilmente veniva utilizzata per la costruzione di interi edifici: noi siamo riusciti a trovare solo le tre absidi della Pieve di Sant'Ippolito in Piazzanese, nella frazione - appunto - di Sant'Ippolito di Galciana.
A quanto sappiamo si tratta di una costruzione unica nel suo genere.