domenica 29 dicembre 2019

IL PRESEPIUM DI CASOLE D'ELSA

Di Casole d'Elsa abbiamo già parlato in un altro post (link) ma ci eravamo stati in estate quando non sapevamo niente di questo fantastico presepe vivente che viene allestito ogni due anni dentro il paese. 
E' una delle più straordinarie rappresentazioni della Natività che si tiene in Italia, terra che - come certamente sapete - di rappresentazioni straordinarie della Natività ce ne sono tantissime.

Non sono poi tanti anni che questa rappresentazione viene effettuata, sono venti anni  - e sono pochi per questo tipo di spettacolo - ma in questi pochi anni ha raggiunto i vertici della sua categoria: tutto un paese coinvolto, chi nella rappresentazione, chi nella progettazione; 300 tra attori e comparse; 400 costumi realizzati con grande perizia e tutti a mano; circa cento animali che faranno parte dei quadri che si presentano (e che andremo a descrivere nei particolari); il tutto distribuito nell'ambito di gran parte del paese, circa 30.000 metri quadri di ambientazione 1:1 dove i figuranti si prestano a fare la parte degli attori.
Ma vogliamo darvi un quadro completo dell'ambientazione.
Ovviamente le auto vanno lasciate fuori dal centro abitato, che è completamente "passegiabile"
Dopo la cassa (ci vogliono una decina di euro per entrare) la prima cosa che si trova è
L'ARENA DEI GLADIATORI, molto ben ricostruita, con drappi rosso pompeiano, colonne doriche, bracieri ardenti, dove il coraggio si dimostra - più per quello che gli atleti fanno - per come lo fanno. A torso nudo e a gambe nude, agitando spade e grugnendo come si conviene a dei gladiatori.
(Noi ci siamo stati il 28 dicembre. Era una bella giornata, ma stava finendo, e Casole D'Elsa è su un poggiolo assai ventoso...).
Le battute in latino dei senatori sulle gradinate erano a dir poco esilaranti!
Il popolo, (cioè quelli che assistevano da fuori l'arena) allora come adesso, vuole sempre che il perdente muoia, e tutti con grande entusiasmo facevano vedere il pollice in giù!
Magari ci fosse questa possibilità anche su facebook!!
IL LUPANARE cioè il bordello: alcune signore vestite con colori sgargianti agitano lunghe piume colorate all'indirizzo dei giovanotti, per invitarli a fermarsi da loro.
Ma noi volevamo vedere Poppea!
Proseguendo troviamo la BOTTEGA DEL CASARO , dove alcune signore all'interno maneggiavano del latte e dei formaggi, mentre alcuni personaggi tenevano in mano caprette e agnellini. Davanti una capra dal lungo vello e un asinello brucavano della paglia. 
In un canto, alcuni personaggi preparavano del vin broulè, distribuendolo ai passanti infreddoliti, mentre nel vicoletto, dove ogni finestra o porta era coperta da stuoie o pezze di juta per eliminare ogni traccia di modernità (ma un cartello VENDESI se lo erano fatto scappare) una coppia di carabinieri in alta uniforme, con tanto di cappa foderata di rosso, cappello e spadino, passava di gran carriera, facendoci pensare di aver sbagliato favola... ma non era quella di Pinocchio?
La cosa bella di questo percorso è che fai la strada insieme alle stesse persone, per cui quando ci siamo trovati nella piazza del MERCATO DEGLI SCHIAVI non abbiamo potuto fare a meno di scambiarsi delle battute sullo schiavo che stavano battendo all'asta, e che a detta del dello schiavista era castrato. Lo schiavo lo ha rimbeccato "oh, castrato tu sarai te.." Ma lo schiavista ha agitato la frusta dicendo "zitto, fellone" e provocando risate da parte di tutto il pubblico, anche perchè a tutti il "fellone" è sembrato fuori luogo in quel contesto. 
Poi è arrivato un bieco acquirente con la benda sull'occhio, che ha comprato lo schiavo per 90 sesterzi, mentre un altro schiavo ha tentato la fuga...
Proseguendo, abbiamo trovato il venditore di spezie, il tintore, e il mercato, dove c'era la più indescrivibile confusione: galline che venivano vendute assicurando che facevano due uova al giorno, l'unico commerciante  che vendeva verdure veramente fresche - niente patate e pomodori sui banchi - tre ragazzine che facevano un baccano dell'inferno urlando che solo loro avevano il pane fresco, i pesci freschi e la stoffa pregiata: come pensassero di arrivare all'orario di chiusura con quel ritmo era un mistero per tutti quelli che passavano davanti a loro!
Un breve passaggio davanti ad un banco che distribuiva sale d'oriente per la buona fortuna, e si sale su un terrapieno dove gli spettatori  possono vedere con tutta comodità la scena che si svolge sotto i loro occhi, come se fossero nella galleria di un cinema:
IL LEBBROSARIO dove alcuni disgraziati (!) si aggiravano con le bende penzolanti lamentandosi, mentre alcune mummie giacevano in dei lettini.
Anche qui la ragazzina con il bastone, fuori dal lazzeretto, percuoteva il cancello di legno urlando "via lebbrosi, via".
Poi c'era la vita dell' ACCAMPAMENTO" dove si arrostivano polli, si andava su e già con il calesse, o con l'asino, si tingevano panni, si facevano divinazioni, si trattavano affari, si giocava a morra, i bambini si rincorrevano, oppure semplicemente ci si riscaldava davanti ad un braciere (attività molto di moda, vista la temperatura).
Insomma, tutte quelle attività che si facevano in Palestina durante l'anno zero, quando si intuiva che stava succedendo qualcosa che avrebbe fatto parlare i libri di storia per un bel po'...
Per ultimo, una capanna con l'asinello (il bue era in ferie) Giuseppe credibile, Maria un po' meno perchè era una signora sulla quarantina (mentre invece noi sapevamo che doveva avere circa 15 anni) con un involto in braccio che poteva benissimo essere un bambino - ma speriamo che non lo fosse perchè era un freddo cane, ed ai bracieri si stavano riscaldando i pastori - ed una musica celestiale in sottofondo.
Sappiamo che il 6 gennaio è previsto l'arrivo dei Magi con dei veri cammelli.
Siete ancora in tempo per andare a vederlo!

domenica 3 novembre 2019

UN PEZZO DI AREZZO IN MEZZO A FIRENZE

Quello di avere un pezzo di territorio amministrativamente estraneo nel corpo di un altro stato o di un altro comune, e' cosa più frequente di quel che non si creda.
Un esempio che conosciamo tutti è Campione d'Italia, una città italiana completamente in territorio svizzero.
Questo concetto si chiama "exclave" se visto dal punto di vista di chi ha il territorio al di fuori dei suoi confini geografici (nel nostro esempio: per l'Italia è una exclave) oppure "enclave" se visto dal punto di vista di chi ha un territorio straniero all'interno del proprio (nel nostro esempio: per la Svizzera è una enclave).
In Italia abbiamo due enclave: la Repubblica di San Marino e lo Stato del Vaticano.
Più modestamente, come si era detto,  questo stesso concetto può accadere anche tra comuni e province.
In questo caso si chiamano Isole Amministrative.
Se per esempio avete visto la cartina amministrativa della Toscana, ricorderete che in alto a destra c'è una macchiolina.
Quella macchiolina è un'isola amministrativa composta dalle frazioni  di Santa Sofia Marecchia, Ca' Raffaello e Monterotondo. Sono exclave del comune di Rocca Tedalda (AR) in territorio Romagnolo.
Residuo - probabilmente - di quella Romagna Toscana  confluita nel 1923 nella provincia di Forlì, dopo essere stata fiorentina per secoli.
Ma la provincia di Arezzo ha un'altra isola amministrativa, proprio nel cuore di Firenze, in via di Ripoli al numero civico 51.
E che c'è a questo indirizzo così preciso?

Un triangolo di giardinetto, con una colonna spezzata, circondato da una cancellata anni '20; ed infatti proprio a quel periodo risale sia il monumento che la cancellata.
Il monumento è simbolico e si riferisce alle vite spezzate dei  soldati aretini, che vennero fatti prigionieri durante la sanguinosa battaglia di Campaldino, nel 1289.


Come sanno anche i bambini delle elementari, la battaglia fu vinta dai fiorentini, che all'epoca non erano certo teneri con i prigionieri di guerra. 
Del resto la Convezione di Ginevra non esisteva ancora (forse non esisteva nemmeno Ginevra...) per cui delle migliaia di prigionieri, chi non riuscì a scappare, o non aveva denaro per corrompere le guardie, morì di stenti nelle carceri fiorentine.
Furono tutti sepolti in un fossa comune proprio qui, in quella che poi è diventata via di Ripoli 51, e che proprio per le cure che gli aretini si prendevano di quella tomba, è diventata poi parte del comune di Arezzo.
Nel 1921 fu costruito il monumento, che presenta alla sua base una lirica del poeta aretino Isidoro Del Lungo (che vi risparmiamo: gronda retorica da ogni parola)

 e da allora ogni 11 giugno viene fatta una commemorazione della battaglia da parte dei comuni di Firenze e di Arezzo e posta una corona di fiori a ricordo di quei poveri morti.

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domenica 29 settembre 2019

LA CHIESA DI SAN GIUSEPPE IN VIALE MONTEGRAPPA A PRATO

Abbiamo colto l'occasione della riqualificazione del viale Montegrappa a Prato, per dire due parole su questa strada.
(anche se sappiamo che si tratta di un terreno minato...ma noi esprimiamo solo pareri personali: ci teniamo a dirlo fin da subito)
Per esempio:
sempre per la rubrica "forse non tutti sanno che..." 
Quella che a Prato è conosciuta come Viale Montegrappa, è anche il tratto urbano della Strada Statale SS 325, quella cioè che va da Ponte a Signa sino all'incrocio con la statale SS 64  Porrettana.
In pratica, la strada che per noi pratesi porta a Bologna.
(ricordiamoci che dalla parte opposta di Bologna, di là dagli Appennini non c'è Firenze... ma Prato e Pistoia! Controllate pure).
Parliamo - molto brevemente - della riqualificazione del viale.
Nell'ottocento tutte le strade nascevano alberate.
Vi siete mai chiesti perchè?
Perchè le strade servivano per passeggiare a piedi, o tutt'alpiù in carrozza, ed in estate l'ombra degli alberi era fondamentale per effettuare queste attività.
Adesso le strade servono per viaggiarci in macchina, e purtroppo, a causa dell'alta velocità che si raggiunge con questi mezzi, gli alberi servono principalmente  per sbatterci contro.
Intendiamoci: a noi i viali alberati piacciono parecchio, ma non si può negare che siano pericolosi, specie sulle strade extraurbane.
Sulle strade urbane il discorso è diverso, certamente.
Però gli alberi sono esseri viventi - e nessuno è più d'accordi di noi - e come tali nascono, vivono  e ... muoiono.
E quindi in una corretta impostazione della gestione del verde, dovrebbe essere pianificata una loro sostituzione a rotazione, in modo che possano vivere al meglio ed essere sostituiti al momento in cui cominciano a costituire una minaccia per la città in cui vivono: vuoi perchè sono troppo alti, o perchè le loro radici fuoriescono dalla sede stradale.
Questo è particolarmente vero per i pini, che sono stati piantati negli anni '50, senza nessun criterio.
Infatti i pini hanno una caratteristica: crescono molto in fretta ed in 20/25 anni diventano degli alberi immensi. 
Purtroppo, come sappiamo, hanno radici molto superficiali, che rovinano il manto stradale in maniera irreversibile, e sono soggetti a cadere con molta facilità al momento in cui il vento soffia impetuoso, proprio a causa della loro altezza e del loro largo "cappello".
E di questo, purtroppo, molti di noi hanno  una cattiva esperienza.
Comunque: a noi viale Montegrappa riqualificato piace, anche perchè ci ha permesso di "vedere" per la prima volta un'autentica chicca, una rarità di cui non ci eravamo mai resi conto di avere a Prato.
Una chiesa in puro stile razionalista.
La domanda sorge spontanea: " e che è lo stile razionalista?"
Lo stile razionalista è uno stile architettonico, fondato in Italia dal cosiddetto "gruppo sette" nel 1926, e che perseguiva uno stile architettonico liscio, lineare, funzionale, in accordo con i dettami del Bauhaus tedesco, da cui ha preso spunto, come del resto tutti gli stili modernisti europei.
Un edificio razionalista molto vicino a noi e che conosciamo molto bene è la stazione centrale di Firenze "Santa Maria Novella " di Giovanni Michelucci.
Purtroppo siamo portati a pensare che lo stile razionalista sia collegabile al fascismo: niente di più sbagliato.
Si è semplicemente sviluppato nel solito periodo, anzi -  lo stile razionalista è andato avanti sino agli anni '70 del secolo scorso - nel 1932 il segretario del Gruppo Sette fu costretto a scioglierlo perchè le loro idee non si adattavano a quelle del regime dove operavano.
Addirittura in Germania gli architetti del Bauhaus, Gropius in testa, furono perseguitati e costretti ad emigrare, perchè il loro stile era considerato "degenerato".
Da noi è andata diversamente: il regime fascista si è appropriato di quello stile, sovraccaricandolo poi di tutti i suoi stilemi ed orpelli, ed incaricando vari architetti di quel periodo di costruire vari edifici di tipo istituzionale, quali case del fascio, o sedi di ministeri, o di istituzioni periferiche ma non per questo meno rappresentative del regime stesso.
Esteticamente si caratterizza per l'ampio uso di marmi, specie i travertino, vetro, metallo, superfici chiare e lisce una classicità in senso moderno, non sovrabbondante.
Di questi edifici, le chiese costruite in questo stile si contano sulle dita di una sola mano.
Ecco, non ci crederete., ma una di queste è proprio San Giuseppe in Viale Montegrappa, ed il taglio degli alberi ne ha reso di nuovo ben visibile la facciata.


La chiesa è stato costruita nel 1938 come cappella dell'istituto di suore carmelitane annesso, dall'architetto Rolando Martini.
Fu quasi completamente distrutta del 1944, e ricostruita - dov'era e com'era - qualche anno dopo.
Dal 1976 è diventate chiesa parrocchiale.
Queste le scarne notizie che abbiamo trovato.
Dentro non c'è un granch'è, infatti.



Il bello  secondo noi è fuori : Il  travertino biondo, le linee pulite ed essenziali della facciata e del campanile, ne fanno un esempio classico di romanico razionalista , che applicato ad una chiesa lascia veramente senza fiato.
La scritta con la "v" al posto della "u" vi fa venire dei brividini?

Vi capiamo, ma è solo uno degli stilemi romani di cui l'ideologia fascista di era appropriata.
Esisteva prima di loro, ed ha continuato ad esistere anche dopo!

Un altro gioiello che avevamo a Prato e che era misconosciuto.


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domenica 15 settembre 2019

RICORDI DI BAMBINI: FISCHIETTI DI TERRACOTTA

Nella nostra famiglie esiste una specie di leggenda ad uso e consumo dei bambini.
Le nonne (non le mamme,  bensì le nonne) ci dicevano: "sei sei bravo quando vado al mercato ti riporto un ciuchino con il fischio nel culo".
(lo sappiamo, non si potrebbe dire, ma è indispensabile per lo svolgersi della storia).
Evidentemente non eravamo mai bravi, perchè noi questo ciuchino non lo abbiamo mai visto, e con il passare degli anni questo giocattolo è diventato un mito, un animale metafisico di cui ci eravamo rassegnati a non vedere mai le sembianze.
Quando eravamo ragazzini ci eravamo addirittura convinti che fosse uno di quei giocattoli in gomma, che se li premevi forte facevano un fischio un po' sfiatato tipo :"ftssssss".
Siamo rimasti delusi.
Ma ormai eravamo grandicelli, ed abbiamo liquidato il tutto con uno sprezzante :"roba da bambini".

Ma nella vita non bisogna mai perdere la voglia di cercare di realizzare i propri sogni.
Pianificando le nostre vacanze nelle Marche, abbiamo scoperto che, con una piccola deviazione, potevamo passare da Ficulle.
Ficulle, in provincia di Terni è il paese dei vasai, perchè già il nome deriva dal latino figulus, figulo, cioè vasaio.
C'erano delle cave nei pressi, ma sono state chiuse alla fine degli anni'50, quando una persona è morta estraendo l'argilla, e la allora si rifornivano di materia prima andando a prendere gli scarti dei laterizi non infornati da Bettolle, dove ci sono delle grandi fabbriche di mattoni e tegole.
Indagando ulteriormente, abbiamo scoperto che oltre ai cocci di uso comune che potevano servire quotidianamente, come piatti, brocche, vasi, qui erano di costruzione comune i fischietti, che venivano poi  venduti al mercato, quasi sempre come giochi per i bambini, ma anche come richiami per i cacciatori.
Allora abbiamo deciso senz'altro di passare di lì, approfittando per dare un'occhiata anche al paese.
E' un bel paese di origine medioevale, tutto ancora raccolto nella cerchia delle sue mura, con due Rocche, una posta a sud a difesa della Porta del Sole e l'altra, a pianta semicircolare, che vigila verso nord.


Tra le due Rocche, la via delle mura, un balcone naturale da cui si può spaziare sino a vedere il Monte Amiata ed il Monte Cetona.


Il Borgo era  feudo dei Filippeschi prima e dei Monaldeschi poi, ma nel 1464 le truppe pontificie ne presero possesso, ed entrò a far parte del suo territorio.
Come anticipato dal nome, questo era un paese di vasai, anzi di "cocciai", tra cui non era secondaria la produzione di fischietti, che - guarda guarda! - erano smerciati poi nei mercati settimanali o venduti a grossisti che poi li vendevano fuori zona.
Come tutte le antiche tradizioni  adesso si è un po' perduta e nel XXI° secolo, non sono molti i cocciai rimasti a far concorrenza alle industrie che producono piatti, vasi e brocche in serie.
Ancora più difficile è trovare chi produce ancora fischietti.
Infatti i fischietti si possono fare solo a mano, ed è una lavorazione molto delicata: se fischiano subito è fatta, altrimenti ci si perde tantissimo tempo ed è molto difficile far capire a chi viene nella tua bottega perchè un pezzo di creta -  che secondo la tradizione di Ficulle non è nemmeno verniciato -  costa dei bei soldi.
Se si conosce la tradizione e si capisce la lavorazione, allora non ci sono problemi, altrimenti erano discussioni con i clienti,ed ecco perchè hanno tutti abbandonato.
Solo una persona, tra le poche che continuano a portare avanti l'antica arte, è ancora capace di costruire fischietti.
Si tratta della signora Paola Biancalana (www.paolabiancalana.it), ultima erede di questa antica tradizione.
Questa simpatica signora, una vera artista,  produce pezzi artigianali di grande effetto, sia tradizionali che di ricerca contemporanea.
Quando le abbiamo raccontato la nostra storia ci ha detto che in effetti quella del cavallo era uno dei soggetti che venivano maggiormente prodotti come fischietti da gioco, sia come soggetto singolo, sia con il carabiniere che montava al contrario (con evidente intento di bonaria presa in giro).
Le abbiamo commissionato un certo numero di questi fischietti a forma di  somarello, da regalare a tutti gli ex-bambini della nostra famiglia, cresciuti con questo mito infantile.
Naturalmente il fischio doveva essere nella parte posteriore dell'animale, altrimenti la mitologia non poteva dirsi realizzata!
Lei si è divertita molto a questa storia e ci ha assicurato la sua collaborazione, inviando  le foto dei soggetti via via che venivano lavorati.



Ma la cosa più straordinaria è stata la faccia dei destinatari di questo gioco, sognato per chissà quanto tempo.
E' valsa la pena di aspettare tutti questi anni solamente per vedere la sorpresa dipinta sui solo volti.
Non ve li facciamo vedere, ma potete immaginarveli.

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domenica 8 settembre 2019

SANT'AGATA NEL MUGELLO

Del Mugello abbiamo parlato già in molte altre occasioni. 
E come si fa a non parlarne? E' proprio uno di quei posti a chilometri zero che ci piacciono tanto.
E' bellissimo (ancora, e nonostante lo scempio che si è trovato a dover affrontare negli ultimi anni tra alta velocità', variante di valico e stravolgimenti vari) dovunque ti fermi per mangiare caschi bene....
Il Mugello - lo abbiamo detto tante volte - è una terra antica.
Antica ma non remota, è una zona di passaggio e questo fatto di essere di passaggio lo ha pagato molto, molto caro.
Intendiamoci, ci sono stati degli interventi che lo hanno persino migliorato.
Il lago di Bilancino, che è stato fatto in una maniera che ha massacrato le falde acquifere della zona, e che è costato dieci volte (non saremmo troppo ottimisti?) tanto quello che era stato preventivato, adesso è lì, bello, splendido, da non più di 20 anni, eppure sembra un lago "vero".
Si è inserito nel paesaggio in un modo tale, che neppure i suoi detrattori più sfrenati si sarebbero mai immaginati.
Eppure una zona quasi incontaminata del Mugello esiste ancora: è quella di Sant'Agata, una frazione del comune di Scarperia e San Piero a Sieve.
Qui il paesaggio non ha niente da invidiare a quello di zone più famose della Toscana: la Valdorcia, il Casentino o il Chianti.
E' meno turistica - più vera, aggiungeremmo - qui non troverete mai macchine con targa olandese ferme lungo il ciglio della strada a fare foto, perchè questo è un luogo fuori dalle rotte turistiche.
Altrimenti non si spiegherebbe questo simpatico cartello:
qui i bambini possono scorrazzare in perfetta sicurezza; in questa piazza nessuno li disturberà!

Ma oltre il paesaggio ci sono tante belle cose da vedere in questo minuscolo paese.
Sulla Pieve romanica, risalente al XII secolo, si può vedere dall'esterno una bizzarria: una scacchiera  in alberese e serpentino verde, sulla quale sono state fatte le ipotesi più stravaganti: un simbolo esoterico, un richiamo a qualche antico ordine monastico o dei cavalieri di chissà quale ordine misterioso, un passaggio di arabi che conoscevano il gioco degli scacchi già da molto tempo prima dell'anno 1000...

A noi è piaciuta l'ipotesi che si trattasse semplicemente di un marchio di fabbrica!
Infatti, abbiamo trovato la stessa scacchiera, in alberese e serpentino - ma solo metà, forse avevano meno soldi da spendere, chi può dirlo - anche su questa chiesa a Cornacchiaia, frazione di Firenzuola, non lontanissima da qui.
L'ipotesi è che si trattasse della stessa "impresa edile" e che questo non sia altro che la loro originalissima firma.


Inoltre, la chiesa, esageratamente grande per un paesino così piccolo, era stata 
ingrandita appositamente rispetto alla chiesa paleocristiana esistente
perchè, essendo ai piedi dell'appennino, da qui transitava sicuramente il tracciato dell'antico passo dell'Osteria Bruciata, che portava i pellegrini da e per Bologna.
La Pieve quindi forniva assistenza e ricovero per viaggiatori, pellegrini o mercanti che fossero, che viaggiavano tra Bologna e Firenze.
Nel punto di confluenza di due torrenti, il Cornocchio ed il Romiccioli, appena fuori il paese, c'è invece l'antico mulino del Parrini, un mulino molto antico, dove la famiglia Parrini era quella che gestiva le attività molitorie, dal '600 sino alla morte dell'ultimo componente della famiglia nel 2003!
La proprietà invece è stata della famiglia Salviati, imparentata con i Medici (era una Salviati la moglie di Giovanni dalle Bande Nere, nonchè madre di Cosimo,  il primo a fregiarsi con il titolo di Granduca), e poi dei Ricasoli.
Nomi conosciuti, diremmo...

Il mulino è chiuso, ma è visitabile su appuntamento.
Poco prima del Mulino, troviamo su un trivio (che sarebbe un incrocio di tre strade, una delle quali porta proprio al nostro mulino) troviamo un originale tabernacolo, che nelle notizie che abbiamo trovato figura come "barocco rustico"
per quanto possa essere assurdo accostare questi due aggettivi.
Ed in effetti si ha l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di molto originale:
Il tabernacolo è in mattoni non intonacati, ma ha una forma molto elegante, aperto al fondo, senza altare nè scalini.

C'è solo una piccola immagine della Madonna dei Sette Dolori, sempre con qualche semplice fiore fresco, dentro piccoli barattoli o lattine.
Il luogo ideale per una preghiera sincera.
C'è poi, piuttosto famoso, il museo della civiltà artigiana e contadina, con personaggi in movimento.
Si tratta della ricostruzione del paese negli anni tra le due guerre, tutto fatto in scala da Faliero Lepri ( e per questo detto "del Leprino").
Ma vi pare che noi avevamo la pazienza di aspettare che aprisse?
Noooo.....
Anche perchè come faremmo a tornarci per parlarvene nel dettaglio?!




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domenica 1 settembre 2019

OPPORTUNITA' DOVE GLI ALTRI VEDONO SOLO PROBLEMI: PECCIOLI

Nei nostri Post parliamo spesso di "Contado Pisano".
Ci piacerebbe chiarire di che cosa si tratta.
Grossolanamente, la potremmo definire come quella zona che da San Miniato va sino alla costa - città di Pisa esclusa, s'intende - composta da tutti quei paesi/borghi/piccole città che sono disseminate in una delle più belle campagne che ancora si trovano.
Sono luoghi molto belli, di una bellezza assai diversa da quella aristocratica del senese o di quella sanguigna dell'aretino.
Qui l'innegabile bellezza del paesaggio è familiare, diremmo "ruspante" - ma senza nessuna connotazione negativa - solo nel senso di naturale, genuina, non contraffatta.
La campagna è dolce, senza essere stucchevole, e i borghi sono perle di una immaginaria collana.
Tra queste perle ci ha colpito per la sua storia particolare Péccioli, proprio così, con la "e" aperta.
E' uno dei tanti piccoli comuni di queste parti, meno di 5.000 persone, ma sicuramente uno dei più ricchi, perchè il Comune è azionista di maggioranza della società che gestice la discarica situata nella frazione di Legoli.

Si tratta della più grande discarica della Toscana, capace di di ingoiare 300.000 tonnellate di rifiuti l'anno.
Rifiuti che, ricordiamo, provengono dalle province di Firenze, Prato, Pisa, e Massa Carrara.
Quando 20 anni fa il Comune ha accettato di inserire la discarica nel suo territorio comunale, i cittadini non erano molto d'accordo.
E immaginiamo che ce ne siano ancora parecchi che non lo sono nemmeno adesso.
Però c'è da dire che davvero qui gli amministratori comunali - complice anche un territorio che permetteva la creazione di una discarica fatta secondo tutti i sacri crismi, con il recupero dei liquami, la creazione di energia elettrica dal biogas, il teleriscaldamento per le abitazioni della frazione di Legoli, impianti eolici e solari, la creazione di anfiteatro all'interno della discarica stessa, dove si tengono eventi teatrali e shooting di moda - 


hanno visto un'opportunità dove gli altri vedevano solo problemi (come da titolo).

Come sempre succede in Italia, quando si deve prendere una decisione importante, si ha tutti contro.
Quando la si realizza... allora sì che c'è la sollevazione popolare.
Anche perchè - diciamocelo - qualche cosa di sbagliato anche l'amministrazione più onesta la fa. 
E sorvoliamo su quante cose sbagliate sono state fatte in passato per le grandi opere.
Sorvoleremo anche sulla buona o cattiva fede.
Ma quando l'opera è fatta, beh, si godono senz'altro i frutti.
E qui i frutti ci sono: L'anno scorso la società Triangolo, che gestisce la discarica, e che è composta nella sua maggioranza da partecipazione comunale e per il resto da circa 900 azionisti privati (la cui maggioranza sono residenti nel territorio comunale), ha diviso la bellezza di 30.000.000 di euro utili.
Si, trenta milioni di euro di utili.
Mica male per occuparsi di spazzatura.
Ce ne dovremmo ricordare quando diciamo "no" a tutto quello che viene proposto.
Come diceva Albert Einstein "Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose".
Qui qualcuno ha avuto il coraggio, se non altro, di fare qualcosa di diverso.
E i risultati si vedono.
Il paese è stato migliorato ed abbellito da opere d'arte distribuite dovunque.

E' stato costruito un grande parcheggio con un ascensore panoramico che porta direttamente in paese.
I residenti godono di alcune agevolazioni fiscali: per esempio nella ristrutturazione di case del centro storico i cittadini vengono rimborsati quasi integralmente, oppure per l'istallazione di impianti fotovoltaici.
Peccioli inoltre è integralmente coperta dalla sorveglianza di videocamere per la sicurezza dei residenti.
La costruzione dell'Incubatore di impresa", che poi sarebbe un villaggio di ricerca, dove domina questo gigante che dovrebbe essere Prometeo (il titano che ruba il fuoco e ne fa dono agli umani...) è stata un'altra conseguenza del "modello Peccioli" e dove dovevano svilupparsi start-ups tecnologiche nel cuore della Valdera.

Ma a quel che sappiamo, questa opportunità non si è sviluppata così bene come le altre: non è stato sufficente costruire l'infrastruttura, anche se era pur sempre un inizio.
Come del resto è strenuamente avversata la costruzione del ponte metallico che unirà la parte bassa del paese al suo centro storico.
Una struttura avvenieristica che ai paesani non piace.
Ma secondo noi vale tutto quello che abbiamo detto finora: le innovazioni sono sempre avversate, poi quando ci sono, si accettano.
Anzi, ci piacciono pure.
Questa è l'Italia.

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domenica 25 agosto 2019

IL PONTE LEOPOLDO II E ALESSANDRO MANETTI

Questa bella scritta, proprio sopra le centraline elettriche non c'è sembrata un granchè come biglietto da visita.

Ma ancora l'inaugurazione ufficiale non c'è stata magari si accorgono che è parecchio migliorabile  e la spostano sui pannelli vicini, che sotto sono tutti liberi.
Di che cosa si tratta esattamente?
Del Ponte Leopolo II°, che attraversando il fiume Ombrone, unisce il parco delle Cascine di Tavola (Prato) con il Parco del Barco Reale (Poggio a Caiano), riunendo i due parchi, che in un tempo molto lontano facevano parte di un'unica tenuta medicea, che andava dalla villa Ambra del Poggio a Caiano sino alla villa Ferdinanda di Artimino - ed oltre - comprendendo gran parte del territorio del Montalbano.

Ovviamente non si possono più ottenere le estensioni territoriali di un tempo, per ovvii motivi, ma già riunire i due parchi, che adesso possono essere fruiti come se fossero uno solo è davvere un bel risultato.
Il Ponte leopoldo II°, era conosciuto sino a poco tempo fa come Ponte Manetti, dal nome del suo costruttore, Alessandro Manetti.
Fu un ingegnere ed architetto molto importante nella storia del Granducato di Toscana, che si occupò, sino alla definitiva cacciata dei Lorena nel 1859, di molte delle opere più importanti del piccolo Stato.
Costruendo questo ponte nel 1833, come si evince dalle splendide scritte in bronzo recuperate, realizzò il secondo ponte sospeso - in ordine di tempo - costruito in Italia, il primo costruito con la tecnologia dei cavi di ferro avvolti su se stessi.

Tecnologia che risulterà poi vincente negli anni a venire, mentre quella delle catene, come quella del primo ponte sopeso costruito in Italia - quello del Ponte Ferdinando costruito sul Garigliano dall' Ing. Luigi Giura - verrà poi abbandonata pochi anni dopo.
Il ponte fu distrutto dai tedeschi nel 1944, al momento della loro ritirata.
Non era un ponte di grande importanza strategica, ma era pur sempre un ponte, e distruggendolo creavano dei problemi di viabilità che si sarebbero risolti con grande fatica.
Che non fosse un ponte importante lo si è visto con il tempo che ci è voluto per ricostruirlo: 75 anni!!
Ad Alessandro Manetti si deve il tracciato della strada che dal Granducato conduceva in Romagna (si, la S.S.67 tosco-romagnola) ed è sempre sua l'idea del "Muraglione"  costruito sul passo appenninico - e da cui ha poi preso il nome, universalmente noto tra i motociclisti di entrambe i versanti - che a quei tempi era necessario, specie in inverno, per far si che le carrozze potessero scegliere il lato della strada giusto per evitare  di essere ribaltate dalle fortissime folate dell'impetuoso vento che soffia sul crinale.
Sempre suo è il tracciato della attuale S.S. 63 del Passo del Cerreto, che unisce Sarzana a Reggio Emilia (e anche questa parecchio famosa tra i motociclisti)
Ed ancora, ad Alessandro Manetti di devono le colonnine di pietra con la caratteristica sfera in ghisa chiodata in cima, che ogni toscano ha in qualche angolo della sua memoria.

Erano poste all'inizio ed alla fine delle principali strade del Granducato, e ce ne sono ancora molte in giro.
si occupo', in collaborazione con altri ingegneri dell'epoca, della bonifica del lago di Bientina, e della costruzione della famosa "Botte" (link) cioè l'attraversamento sotterraneo del fiume Arno, da cui defluiva l'acqua della palude.
Un'opera colossale, e non solo per quei tempi, che riutilizzando buona parte del canale Imperiale costruito da Ximenex anni prima, sottopassa l'Arno per ben 255 metri e va a sfociare direttamente in mare, tra Calambrone e Livorno.

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lunedì 19 agosto 2019

CAMUGLIANO DI PONSACCO

Nel nostro girovagare capitiamo spesso in quello che a noi piace chiamare - in maniera apprezzativa e affettuosa - "il contado pisano", luoghi di incompabile bellezza, secondo il nostro parere.
E proprio qui, in un fazzoletto di terra, alla confluenza dei fiumi Cascina ed Era, nel comune di Ponsacco, abbiamo trovato questi due gioelli.
Una è la villa medicea, conosciuta proprio con il nome di Villa di Camugliano, fatta costruire dal Duca Alessandro de' Medici (quello detto "il Moro", ultimo del ramo principale, assassinato dal cugino Lorenzino e a cui succedette il molto più famoso Giovanni dalle Bande Nere...) e poi, dopo una serie di alterne vicende, venduta al senatore Filippo Niccolini nel 1637, creato poi Marchese di Camugliano e Ponsacco qualche mese dopo.
Pensate, dal 1637 la villa è tutt'ora nelle sue mani. 
Ed infatti è proprietà provata, e non è visitabile.

Però la possiamo ammirare dall'esterno con molto agio, perchè sorge su un'altura che domina tutta la valle circostante.
La sua architettura ricorda molto la villa Ambrogiana di Montelupo Fiorentino, che è comunque posteriore di almeno un cinquantina d'anni.

Prendendo uno stradello sterrato sulla destra della villa, si arriva ad una fattoria ancora in parte abitata.
Doveva essere un fabbricato di una certa importanza, forse una fattoria fortificata.

Da lì una stradina tra campi interi di fiori blu.
Per gli appassionati di Fiori di Bach: una distesa di Cicory, dei più grandi e alti che abbiamo mai visto
Per tutti gli altri: Cicoria andata in fiore...

Però vi assicuriamo che questi prati blu-violetto (nessuna macchina fotografica può rendere quel colore incredibile che i nostri occhi hanno visto) erano meravigliosi.
E portavano ad una piccola altura dove c'era una piccolissima chiesa, poco più di una cappella, circondata da quattro cipressi altissimi: la chiesa di San Pierino a Camugliano.

La sintesi della toscanità!
Quello che gli stranieri si immaginano venendo in Toscana.

(si, vabbè, era un concentrato di luoghi comuni, d'accordo. La chiesetta sulla collina, i quattro cipressi a farle da sentinelle, il prato blu violetto... mancava Heidi con le caprette che facevano ciao, ed eravamo a posto!)

Comunque sia, era un luogo da sindrome di Stendhal, e capivamo gli stranieri con targa tedesca e olandese, fermi sul ciglio della strada, che riempivano una scheda SD dopo l'altra, nell'inutile tentativo di rendere il colore del prato.
Molto più fortunati eravamo noi, con il nostro turismo a km (quasi) zero, che possiamo tornarci tutte le volte che vogliamo!

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domenica 28 luglio 2019

L'OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI MONTELUPO FIORENTINO

Quale occasione migliore poteva esserci, per visitare un gruppo di Astrofili, del 50° anniversario della discesa sulla Luna da parte del primo essere umano?
Una ricorrenza certo importante, che meritava di essere adeguatamente riconosciuta.
Come diceva la famosa rubrica di un altrettanto famoso giornale di enigmistica "forse non tutti sanno che..." sulle colline sopra Montelupo Fiorentino, anzi, più precisamente prendendo una splendida e silente strada che parte dalla frazione di Camaioni, è possibile arrivare all'osservatorio Astronomico Beppe Forti.


Questo signore è stato un astronomo italiano, che è venuto a mancare nel 2007 e al quale è stato intitolato uno dei primi asteroidi scoperto in Italia, proprio dal gruppo Astrofili di Montelupo Fiorentino di cui faceva parte in qualità di specialista di meccaniche celesti, e che in suo onore si chiama "6876 beppeforti".
Insieme al suo gruppo ha scoperto la bellezza di 48 asteroidi tra il 1977 ed il 2001.
Del suo gruppo di lavoro faceva parte già da allora, Maura Tombelli, una straordinaria donna,  che che dedicato la sua vita allo studio delle stelle, e ha collaborato con l'Osservatorio di Arcetri già dal 1987.
Nella sua carriera di osservatrice del cielo, ha scoperto ben 198 asteroidi, tra cui il primo in Italia ad esser considerato pericoloso, il 15817 "lucianotesi" e comunque a suo nome è stato battezzato un altro asteroide, il 9904 "mauratombelli".
Negli ultimi  15 anni ha dedicato la propria vita alla fondazione e costruzione di questo osservatorio, una costruzione che è finalmente in dirittura d'arrivo.
Infatti da poco hanno posato la splendida cupola che permette l'osservazione del cielo, ed è in attesa dell'arrivo del telescopio principale, che verrà collegato ad una serie di computer nella sala operative centrale, e che permetterà un continuo monitoraggio dei cosiddetti "corpi celesti minori" - cioè  gli asteroidi - che possono essere potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta.
Come ci hanno informato, non è possibile evitare l'impatto con uno di questi corpi celesti, ma maggiore è l'anticipo con il quale riusciamo ad avere informazioni sull'eventuale collisione, maggiore sarà la possibilità di uscirne con i minori danni possibili.
Ecco perchè il loro certosino lavoro di sorveglianza del cielo è così importante,  ed ecco perchè il nostro Osservatorio K83 ( il codice assegnato loro dalla Nasa) andrebbe conosciuto e valorizzato al meglio.


Vogliamo darvi anche qualche nostra impressione sulle piccole osservazioni che i gentilissimi ed entusiasti volontari ci hanno permesso di fare in questa particolare serata, con i loro sofisticati strumenti.


Vedere Giove con i suoi satelliti e le screziature rosse sulle sua superfice è stato veramente emozionante.
Una vera vertigine ce l'ha data il poter vedere un ammasso globulare di stelle, la cui luce ci arriva dallo spazio profondo, oltre il nostro sistema solare e che ci arriva da 25.000 anni luce fa.
Il che vuol dire che guardare quell'ammasso indistinto di stelle, significa vedere il passato, 25.000 anni fa.
Vi ha profondamente deluso Saturno: sembrava finto... abbiamo dovuto chiedere che cosa stavamo guardando perchè non capivamo; sembrava il simbolo della Nissan!
Straordinaria la tracciatura degli asteroidi: dando le coordinate di un certo asteroide, il telescopio lo identifica in una miriade di corpi celesti, che noi potevamo vedere dallo schermo di un computer... il confronto tra il blu del cielo e l'incredibile affollamento di puntini gialli che vedevamo in corrispondenza sullo schermo del PC ci ha inquietato non poco!!
Sovrapponendo via via le foto digitali che l'apparecchio scattava, di poteva tracciare il percorso dell'asteroide, mentre invece le stelle rimanevano ferme rispetto a quest'ultimo.

http://gruppoastrofilimontelupo.com/ 

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domenica 21 luglio 2019

LA MACCHIA ANTONINI

In estate le nostre città - nella pianura alluvionale lasciata dall'antico mare in chissà quale noiosissima epoca geologica (bleak!) - diventano dei veri forni a cielo aperto.
Anzi, a seconda dei luoghi, delle pentole a pressione.
Fortunatamente la piana è circondata da amene colline, dove non per niente gli antichi abitanti avevano fondato le antiche città (tipo Firenze, che gli antichi Romani avevano pensato bene di costruire sulle salubri colline di Fiesole, anzichè nella melmosa e malarica palude sottostante).
Ma non vogliamo parlare di Fiesole o di Firenze, anche perchè non basterebbe un'enciclopedia...
Le nostre aspettative sono più modeste.
Riprendiamo il discorso iniziale.
Ci siamo fatti un giretto sulla montagna pistoiese e siamo andati alla Macchia Antonini, quando il grosso della popolazione era in coda sull'A11 o sulla FI-PI-LI per andare al mare.
E' un luogo di straordinaria e quieta bellezza, caratterizzato dalla splendida foresta di cerri, alcuni dei quali centerari, faggi, abeti, aceri e bellissimi prati verdi.

C' anche un piccolo laghetto artificiale, tutto recintato ed ovviamente non balneabile.

Questo luogo, situato nel comune di Piteglio-San Marcello Pistoiese, vicino all'antichissimo borgo di Calamecca, da cui dista non più di 4 km, è il lascito che l'Ing. Pellegrino Antonini - più che facoltoso cittadino pistoiese, morto nel 1827 senza eredi diretti - ha lasciato alla comunità.
Pellegrino non nasce a Pistoia, ma Orbetello, figlio di Felice Antonini,  un "Impresario dei Boschi" del Granduca Pietro Leopoldo.
Proprio dal Granduca, il padre di Pellegrino acquista i 200 ettari di Calamecca, detti "Macchia Grande", nell'ambito di una politica - diremmo adesso - di privatizzazione.
Felice Antonini muore  nel 1780, quando Pellegrino ha solo 15 anni ed è il suo unico erede.
L'eredità viene gestita dalla madre e dal socio del padre, certo Carlo Niccolò Biagini, del quale Pellegrino si libera appena raggiunge la maggiore età.
Nel 1793 inizia a costruire la casa colonica dove adesso si trova il centro ippico ed inizia ad allevare bestiame.
Nel frattempo studia Belle Lettere (a quei tempi si chiamavano così) e nel 1792 ottiene persino la dispensa papale per poter leggere i libri messi all'indice!!
Si laurea in Ingegneria (che c'entra l'ingegneria con le belle lettere? mah, ce lo siamo chiesti anche noi...)
e inizia a lavorare per il comune di Pistoia come Ingegnere Comunale.
Le maiuscole non sono messe a caso.
A quei tempi era un incarico importante e di grande prestigio, riservato ai cittadini di ceto sociale elevato e maggiormente abbienti.
Nel frattempo sposa Francesca Vignali, la figlia del notaio che aveva redatto il rogito con cui suo padre aveva acquistato i terreni della Macchia Grande dal Granduca.
Continua ad arricchirsi sempre si più fino a quando nel 1821 si ammala.
Di che cosa non lo sappiamo, però decide di lasciare un Legato, vale a dire di una disposizione testamentaria in cui c'è un dispositore  (nel suo caso la moglie) alla cui morte i beni passeranno nelle casse del legato stesso.
Quindi una specie di fondazione, dove si specifica in tutte le salse che la tenuta e  la proprietà deve rimanere integra.
Grande idea, che di ha permesso di usufruire di questo bene prezioso a tutt'oggi integro e intatto.
Due parole sulla cappella che ha fatto costruire appositamente per far custudire la sua sepoltura, e che è dedicata a San Pellegrino ai Monti.

La costruzione è stata iniziata nel 1820 (come i Faraoni, cominciava a pensare alla morte quando era ancora in vita) e l'architettura della Cappella, sembra già strana quando la si vede, inserita in quell'idilliaco ambiente montano.
La cupola semisferica che poggia sulla struttura ottagonale si spiega solo quando si viene a sapere che gli Antonini avevano dei legami con i cavalieri Templari, e che fossero di lontane origini scandinave.
Altra cosa molto particolare è il testamento, che sarebbe da leggere in originale: è tutto un "ordino e voglio" ripetuto sino allo sfinimento, anche per stabilire il diametro delle candele che dovranno essere accese ogni anno per il suo "decente anniversario".
Comunque ha istituito la cattedra di veterinaria al liceo Forteguerri di Pistoia, ogni anno costituiva la dote per tre fanciulle che ne erano prive. 
Si, lo sappiamo, adesso pare una czzt, ma a quei tempi era una cosa molto importante...
E soprattutto lasciava i soldi per fare una grande festa annuale la domenica più vicina al 20 agosto.
Festa che puntualmente si svolge dal 1827 ogni anno con grande partecipazione di persone provenienti da tutta la Toscana e che è comunque una delle più antiche della regione.

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domenica 30 giugno 2019

LA ZONA INDUSTRIALE DEL TERRAFINO A EMPOLI

Ve l'abbiamo promesso da talmente tanto tempo, che ormai era una minaccia.
Dopo tanti paesini incantati, dopo tanti luoghi bucolici, eccolo qua:
Il post sulla zona industriale.
E perchè non su uno dei macrolotti industriali di Prato allora?
Troppo facile...
E poi con il Terrafino abbiamo un certo rapporto.

Anche perchè il Terrafino un po' di storia ce l'ha.
Tanto per cominciare: il nome.
No, la qualità del terreno non c'entra niente.
Questa era una terra di confine, di qui si vede benissimo il colle di San Miniato, baluardo di Pisa; il fiume Elsa - anche adesso confine naturale tra le province di Firenze e di Pisa - è qui.
Se uno cammina distrattamente ci va a finire dentro.
Quindi Terrafino deriva da finis terrae, fine del territorio.
Quale territorio? Quello di Firenze? Molto probabile. 
Oppure quello di chissà quale signorotto locale.
Come in molte altre zone,  i nomi delle strade parlano, e con un minimo di gusto della scoperta sono capaci di dirci molte cose.
Per esempio, via del Castelluccio - che adesso passa sopra la superstrada Firenze-Pisa-Livorno - prima che la superstrada venisse costruita, e prima che la Zignago Vetro venisse costruita, attraversava i campi,  e portava a quella che allora era solo una grande casa colonica.
Ma in realtà era quello il Castelluccio.
Già, quel misero rudere che possiamo vedere adesso circondato dalla recinzione di plastica arancione, e di cui si possono ancora vedere i resti di una torre e la grandiosità del casone sottostante.

Nel Medioevo queste torri di avvistamento erano comuni, ed in queste pianure ce n'erano parecchie. Questo era di proprietà dell'istituto degli Innocenti di Firenze, che qui possedeva parecchi terreni,  da cui il nome "Castelluccio dei Nocenti".
Sicuramente, intorno alla torre medioevale, lo Spedale fece costruire degli ampliamenti che a poco a poco hanno dato vita ad una grande casa fortificata, dove le popolazioni della zona si rifugiavano in caso di attacchi nemici.
Quando i Medici, creando il granducato fecero cessare le lotte tra pisani, lucchesi e fiorentini, il castelluccio perse la sua funzione difensiva e diventò semplicemente una fattoria
E questo è rimasto sino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando era abitata da una settantina di persone, e costituiva il fulcro dell'azienda agricola della potente famiglia empolese dei Del Vivo; una azienda agricola di tutto rispetto: 120 ettari.
E deve essere tutt'ora suo, perchè sappiamo che è di proprietà privata.
Chissà quali poblemi di successione devono esserci per far andare in rovina un pezzo di storia così importante per Empoli!
Altra costruzione di grande interesse è la Villa del Terrafino, proprio sulla Tosco-romagnola (che in quel punto si chiama via Livornese) e che è stata costruita nel XVIII° secolo dalla famiglia fiorentina dei Riccardi, che lì possedeva dei terreni agricoli. 

La villa aveva un magnifico giardino all'italiana, che purtroppo è stato quasi cancellato dal passaggio della linea ferroviaria Siena-Empoli che in pratica lo attraversa.
Come molte ville dell'epoca, negli anni è stata completata da vari annessi: limonaia, tinaia, stalle, locali per la lavorazione della seta, oltre agli alloggi del fattore.
La villa aveva anche un teatro privato, ed ovviamente una cappella privata, e nei rifacimenti ottocenteschi ha aggiunto anche la bellissima torretta-belvedere (decorata da ceramiche invetriate) che rende caratteristica tutta  la zona.
Nel 1938 l'intero complesso fu donato alle suore della Divina Provvidena del Cottolongo, che si occupano dell'assistenza alle madri in difficoltà ed ai bambini abbandonati o a rischio.
Il complesso è tutt'ora nelle loro capaci e pietose mani.

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