lunedì 9 novembre 2020

L'ANTICA FORESTA DELL'ACQUERINO

La Foresta dell'Acquerino sembra già di per sè un luogo misterioso.
Come tutte le foreste, del resto.
Siamo tutti un po' legati alle immagini dell'allegra brigata di Robin Hood che viveva nella foresta e riusciva a sfuggire al perfido sceriffo di Nottingham, proprio grazie ai nascondigli ed alle grotte di quel grande e fitto bosco.

Tanto per cominciare, nell'alto Medioevo, proprio da questa foresta  passava un ramo della via Francesca, quella cioè che dalla Francia portava ai grandi pellegrinaggi - cioè gli unici luoghi dove allora valesse la pena andare - vale a dire Santiago di Compostela, Roma e Gerusalemme.
Si trattava di una delle infinite varianti di questa strada, e che quasi sicuramente ricalcava una antica strada romana, o addirittura etrusca. 
Per unire Bologna a Pistoia, percorreva la valle del Reno e la valle della Limentra di Sambuca, seguendo un itininerario che doveva coincidere con quello dell'attuale strada della faggeta all'interno della foresta dell'Acquerino,  e portava all'antica Badia di Taona.
 
 
Questa era una potente Abbazia, molto ricca e fornita di abbondanti beni, che forniva ospitalità ai pellegrini che transitavano sull'importante via di comunicazione della via Francigena.
Stiamo parlando ancora dell'Altro Medioevo, perchè il monaco Tao, che pare essere il fondatore dell'abbazia, la fondò tra la fine dell'VIII° e l'inizio del XI° secolo, dopo aver fondato Sant'Antimo nel Senese e San Tommaso a Pistoia.
Naturalmente i primi documenti che parlano di questa Abbazia risalgono all'anno 1004, e parlano di un monastero dedicato al Santissimo Salvatore,  già molto ricco e potente.
Era prassi comune che i Signori del luogo - o addirittura l'Imperatore -  dotassero di molti beni  i monasteri situati sulle grandi vie di comunicazione, che potevano esercitare un servizio di controllo sui pellegrini, per conto del loro benefattore.
Va detto che i monaci assistevano gratuitamente tutti i pellegrini che transitavano per la via francigena, e che sicuramente, specie in inverno - che qui arriva presto ed è lungo e severo - la loro opera era veramente una benedizione.

Poi avvenne che fu preferita la variante di fondovalle, certo più agevole e dove il maltempo aveva minor influenza: dal passo della Collina il tracciato scendeva verso la località detta Spedaletto, poi sempre più giù sino al Castello di Sambuca, dove si riuniva al tracciato originale.
Fu così che la Badia di Taona perse via via sempre più importanza, finchè nel XIV° secolo la comunità dei monaci, molto ridotta di numero, si trasferì nel monastero Vallombrosano di San Michele in Forcole.
Nel frattempo l'Abbazia si ridusse a un rudere, ormai in balìa delle guerre che si combattevano in zona, e che avevano scacciato anche i contadini che avevano coltivato gli ubertosi terreni che avevano reso ricco il monastero.
La Grande Abbazia, beneficata anche da Matilde di Canossa, nel XVI° secolo fu data in commenda (cioè i benefici della rendita delle terre furono ceduti a...) alla famiglia dei Pazzi di Firenze.
Scomparsi i frati, fuggiti i contadini, finito il viavai dei pellegrini, su queste montagne non sono rimasti che i faggi, e l'antica Abbazia è diventata un rudere.
Adesso è proprietà privata, e con le antiche pietre hanno ricostruito una casetta con lo stemma dei Pazzi.
 
Nella foresta esistono anche dei misteriosi sassi incisi, sui quali gli antichi abitanti usavano "prendere appunti" quando si ritrovavano tra di loro.
Cosa?
Non prendeteci proprio alla lettera, ma potrebbe essere una (libera) interpretazione. 
A parte gli scherzi, i Sassi Scritti delle Limentre (così si chiamano) sono stati studiati e catalogati da persone che certamente ne sanno molto più di noi.
Ce ne sono diversi: Il Sasso del Consiglio, il Sasso alla Pasqua e la Tana della Volpe (o Buca del Diavolo).
Noi abbiamo visto quello più facilmente raggiungibile, il Sasso del Consiglio che è vicinissimo alla strada asfaltata.
Sono tre grandi massi di arenaria tutti fittamente incisi, dove si presume che gli antichi abitanti, o forse i capi dei vari villaggi, si trovassero qui per prendere delle decisioni e poi incidessero nella pietra il risultato delle loro riunioni.
 
 
Anche e soprattutto per futura memoria, in modo che non ci fossero equivoci e ripensamenti, potremmo dire noi con la nostra mente di moderni.
 
 
Verderli da' una certa impressione, e sicuramente l'impressione sarebbe aumentata in inverno, perchè in questo luogo - presumibilmente da delle fratture nelle rocce - fuoriescono dei vapori tiepidi, che il freddo fa condensare rendendoli visibili.
Quindi immaginate la scena: lo scuro masso inciso di segni arcani e coperto di muschio, il suolo coperto di foglie morte dal quale escono magici vapori , gli alti faggi dalle nude braccia scheletriche protese verso il cielo plumbeo, magari al tramonto...
Se qualcuno vi battesse sulla spalla per chiedervi l'ora, l'extrasistole è garantita!

Fortunatamente è estate, il sole brilla e gli uccellini cinguettano.
Se avete anche solo una crossover, fate la strada della faggeta. E' una meraviglia.

 
























domenica 20 settembre 2020

SULLA MONTAGNA PISTOIESE

La Montagna Pistoiese è sempre un gran bel posto da visitare, in tutte le stagioni dell'anno.
In primavera è una vera sinfonia di sfumature di verde, ci si meraviglia che ce ne possano essere così tante. 
In estate è un fresco rifugio dalla calura della città di pianura.
In autunno la sinfonia delle sfumature vira sull'oro, sul rosso e sul bruno. 
In inverno è il posto più bello dove andare per chi ama la neve (quando c'è) o il freddo (e quello di sicuro non manca).
Ok, adesso che l'introduzione poetica è stata fatta, possiamo senz'altro procedere con quello che volevamo dire.
Abbiamo fatto una bella passeggiata per segnalarvi alcune curiosità (mica potevamo cominciare così, vi pare?)

A Prunetta, intanto, potrete trovare una Colonia Marina situata a 1.000 metri sul livello del mare. 
Questo esemplare unico - e quando diciamo unico parliamo sicuramente della sua bruttezza -  si trova sopra il grazioso paesino, nota località climatica e di villeggiatura, frazione di San Marcello e Piteglio.
Il progetto, infatti,  era nato come una colonia marina per i figli dei lavoratori delle Poste.  Ma si era già alla fine degli anni '60 del secolo scorso, e già ci si rendeva conto che l'istituzione delle Colonie stava perdendo colpi: infatti tutte quelle che c'erano sulla riviera Romagnola oppure sulla costa del Calambrone tra Pisa e Livorno o erano già chiuse o stavano chiudendo.
Allora i nostri fenomeni (chiunque fossero, ma di sicuro c'erano) che hanno fatto? Invece di perdere tutti i soldi che potevano guadagnare dalla realizzazione di una colonia marina che tutti avrebbero guardato con sommo sospetto, pensarono di realizzarla in montagna, dove avrebbero avuto meno occhi addosso.
Detto fatto, trovarono un grazioso paesino sulla montagna Pistoiese - Prunetta, appunto - e decisero di stravolgerla per l'eternità costruendo sui suoi bei boschi questo orrendo ecomostro.

Per dire la verità, l'ecomostro ha anche funzionato dal 1975, anno della sua inaugurazione, sino al 1997 quando fu decisa la sua definitiva chiusura.
E per dirla tutta, ha anche dato lavoro ad un sacco di persone in zona,  nei 22 anni dei sua attività.

Ma passandoci davanti adesso, e vedendo lo sfacelo che è adesso questo posto, dubitiamo di trovare qualcuno che possa affermare che ne è valsa la pena.

Già che siamo nel comune di Piteglio (e San Marcello) ci fermiamo nel capoluogo, che vale la pena di visitare perchè si tratta di un borgo davvero molto caratteristico, con le sue piazze che si chiamano Aie, e la sua Pieve di Santa Maria Assunta, famosa per il campanile che ha gli angoli orientati verso i quattro punti cardinali, 

ma soprattutto per la Cappella della Madonna del Latte.
In questa Cappella  viene costodita un'ampolla che la tradizione vuole contenga alcune gocce del latte della Madonna. 
Questa reliquia, riconducibile al  viaggio di un messo dei Conti Guidi nel  XIII° e che esiste anche a Montevarchi - ed essendo Piteglio e Montevarchi nel XIII° secolo, entrambi sotto la signoria dei conti Guidi, ciò rende la storia estremamente credibile - è stata venerata per secoli nella zona e non solo.
Purtroppo dal 1984 è stata sottratta al culto, per decisione dell'allora vescovo di Pistoia. Pare infatti che il materiale di cui è composta (materiale di origine minerale e vegetale) non sia compatibile con il culto di cui è stata oggetto per secoli.
Infatti, prima di venire custodita presso questa chiesa in Piteglio, la Sacra Reliquia era visibile in quella che adesso viene chiamata Pieve Vecchia,

 anch'essa dedicata all'Assunta, e che è poco fuori dall'abitato, una piccola chiesa dall'aspetto dimesso a cui il piccolo pulpito in pietra al quale si sale da pochi gradini, e che è stato aggiunto in epoca assai più recente, non aggiunge niente alla semplicità della costruzione.
Sul lato esterno una pietra incisa con strani segni: ma il rebus è presto risolto: 


si tratta dell'anno in cui le filatrici di Piteglio si privarono di una parte dei loro guadagni per poter adornare la piccola chiesa di un minuscolo campanile a vela.

Proseguendo per pochi chilometri, in Val di Lima, troviamo l'indicazione per le torri di Popiglio.
Per vederle è necessario fare poche centinaia di metri a piedi in un piacevole bosco: ci si trova davanti quasi all'improvviso una torre di avvistamento, circondata dall'ampio basamento di quella che doveva essere una fortezza. 
Scopriamo poi il suo nome: Rocca Securana. 
Forse proprio da questa antica Rocca, che sorge sulle vestiglia di un accampamento romano del II° secolo dopo Cristo,  è poi derivato l'abitato di Popiglio. Sicuramente la rocca e le Torri erano un baluardo, essendo proprio al confine con lo stato lucchese, e lo sono state per molto tempo, prima per Pistoia, e poi per Firenze.
La prima Torre - dicevamo - è ancora imponente, seppure debba essere almeno la metà di quello che era all'origine, e  circondata dalle fondazioni dell'antica Rocca.

L'altra è più in basso e  bisogna fare una bella "scivolata" per andare a verderla, e, anche se è pur essa molto diroccata, è pur sempre più alta della sua compagna. 

Quest'ultima sorge però solitaria, e probabilmente serviva da collegamento con il paese, che è poco sotto.

Se poi siete appassionati di Astronomia, in località Pian de' Termini, sempre nel comune di San Marcello Piteglio, c'è un bellissimo osservatorio che si chiama "Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese" con due cupole e due telescopi.

E' situato in un posto dove l'inquinamento luminoso notturno non disturba l'osservazione, tanto che in questo luogo si sono fatte diverse importanti scoperte.
Davanti all'osservatorio c'è il "Parco delle stelle" un prato dove gli appassionati possono osservare il cielo, e dove sono collocate alcune opere artistiche a tema stelle e pianeti dell'artista Silvio Viola.

Il luogo è anche punto di partenza per escursioni di tekking e di mountan-bike.

Visto che siamo comunque sempre nella zona di San Marcello Piteglio, lungo la strada che porta a Spignana, in località Macereti, c'è un altro luogo interessante da visitare. 
Una grotta non naturale dove è vissuta l'eroina di un romanzo.

Dunque: Macereti vuol dire: luogo dove si depositano le macerie.
Questo perchè lì vicino c'erano delle cave di pietra serena.
La grotta che vi segnaliamo è proprio lungo la strada, basta scendere dalla macchina, prendere una stradellino che scende sottostrada per tipo... dieci metri, e la troviamo subito (quindi adatta anche a chi ci va con l'infradito).
Ora, è palese che non è una grotta naturale, è tutta squadrata, anche se ci sarebbe piaciuto vedere chi ce l'ha portata!
Comunque dentro c'è una stanza di circa 20 mq con tutto il suo pavimento. Pare che fino a un po' di tempo fa ci fosse anche una porta di legno.
Massimo D'azeglio - ecco il motivo per cui c'è tutto questo interesse intorno a questo mini-appartamento - ci ha fatto vivere e morire Lisa de' Lapi, la figlia di  Niccolò de' Lapi, il protagonista dell'omonimo romanzo ambientato nella Firenze dei Medici. 

Non abbiamo letto il romanzo - dove fra l'altro c'era anche uno che si chiamava Fanfulla Da Lodi.. che di faceva a Firenze? - ma per riferirsi solo alla vicenda di Lisa, sappiamo solo  c'erano contrapposte due fazioni (come sempre a Firenze in quel periodo) e Lisa era promessa ad uno del suo partito.
Ma, di lei si invaghisce uno della fazione opposta, Troilo Ardighelli, che la sposa, ma solo per finta. Quando lei lo scopre è pure incinta - ma dico io, come si fa a fidarsi di uno che si chiama Troilo? Benedetta ragazza - ed il padre la scaccia di casa. Lei allora vaga per le montagne e va a rifugiarsi (esatto...) nella grotta di Spignana.
Cinquanta anni dopo, alcuni cacciatori trovano l'eremita in odore di santità, con lunghi capelli bianchi e vestita di sacco, sì, ma in punto di morte piange ancora per l'amato Troilo.
Una domanda sorge spontanea: ma non era incinta? e il figlio dell'amato che fine ha fatto? Non se ne parla.

Ecco le nostre curiosità.
Vi risparmiamo la chiusura poetica.










lunedì 24 agosto 2020

I CANTIERI NAVALI DI LIMITE SULL'ARNO

Ad oggi pensare a Limite sull'Arno come un luogo di cantieri navali lascia un po' perplessi. Eppure non si deve tornare indietro di moltissimi anni, perchè gli ultimi cantieri si sono trasferiti sulla costa in alcuni casi solo una ventina di anni fa.
Ma cominciamo dall'inizio.
Limite sull'Arno, insieme a Capraia Fiorentina, costituisce il comune di Capraia e Limite. Non si tratta di un'unione di comodo realizzata di recente; i due borghi, ben distinti e con propria personalità, formano un comune di cui Limite è capoluogo, da molti, molti anni. 
Capraia (storica) sorge su uno sperone roccioso, sul lato destro del fiume Arno, ben visibile dalla sponda opposta che è comune di Montelupo Fiorentino, da cui il famoso detto: " da Montelupo vedea Capraia" e poi noi abbiamo sempre sentito dire anche, a completamento della frase "Cristo li fa e poi li appaia".
(Non sappiamo se la frase fosse tutta propriamente di Dante, ma ci pareva doveroso citarla).
Torniamo a Limite sull'Arno.
Il nome è legato al fatto che sorge(va) sul "limite" di tre importanti giurisdizioni civili ed ecclesiastiche, Pistoia, Firenze e Lucca.
Abbiamo saputo  questa cosa dal sito del comune di Limite, e ci è sembrata una cosa importante da conoscere, perchè spiega il motivo di un nome piuttosto particolare.
Quella dei cantieri navali, per Limite è una tradizione antichissima, che risale al 1575, quando iniziò l'attività di una famiglia, che proprio per il loro lavoro che consisteva nel battere continuamente dei martelli su dei ferri, e provocare un conseguente rumore, fu chiamata Picchiotti.
Ma come mai questi cantieri navali nascono in una località a 80 chilometri dal mare?
Prima di tutto, a quei tempi il fiume Arno era navigabile, e costituiva un'importante - ed economica - via di comunicazione per il trasporto delle merci, oltre tutto molto più sicura delle strade, specie quelle di pianura, infestate dai briganti.
Inoltre Limite aveva alle spalle il Montalbano, il che significava grandi estensioni di boschi, che hanno permesso l'approvvigionamento del legname, indispensabile per qualità e quantità, ai vari tipi di lavorazione.
Perchè naturalmente non tutti gli alberi andavano bene per la costruzione dei vari navigli, che potevano essere traghetti, barchini da rena, barchini da caccia, navicelli, barche da pesca o da diporto.
Il legno doveva essere di buona qualità, che non marcisce, e quindi di piante particolari, che a volte dovevano essere "importate" da altre zone perchè non presenti sul posto; se poi si trattava di imbarcazioni particolarmente grandi, si dovevano interpellare squadre di boscaioli, che dovevano cercare piante già curvate secondo il progetto di costruzione, in modo che la curvatura a caldo del legno non fosse troppo gravosa per il materiale.
Gli addetti ai lavori erano pochi, e scelti. Chi aveva costruito l'imbarcazione poi doveva provvedere anche alla sua manutenzione quando, dopo due, tre anni, si richiedevano i primi interventi.
Non siamo in grado di scendere troppo nel dettaglio tecnico delle varie lavorazioni. sappiate però che una barca in legno viene costruita adesso proprio come cento anni fa, la lavorazione è proprio la stessa.
Ritorniamo al cantiere più famoso, il cantiere Picchiotti, che ha continuato il suo lavoro in riva all'Arno sino al 1944, quando ha trovato più conveniente trasferirsi a Viareggio. Dai suoi cantieri sono uscite imbarcazioni di ogni tipo, sia fluviali che marittime, perchè ha fornito la Marina Italiana,  costruendo tra l'altro anche i MAS per la I° e la II° Guerra Mondiale, e anche splendide imbarcazioni da diporto!
Poi negli anni '90 è entrato a far parte del gruppo Perini Navi.

Naturalmente Picchiotti non era l'unico cantiere navale di Limite. Nel 1830 nacque il cantiere Serafini, che però non riuscì a superare la distruzione operata dalla II° Guerra Mondiale, o il Cantiere Arno, nato nel 1907 e trasferitosi a Pisa nel 2000, la Cooperativa Artieri, nata nel Secondo dopoguerra, e operante nel settore navale sino al 1956, quando si è riconvertita nel settore costruzione mobili, i Cantieri Salani, nati nel 1949 e ancora operanti, specializzati nel settore delle barche da canottaggio.
Ecco, chiudiamo questo elenco di aziende nautiche, ben consapevoli di tralasciarne molte, sia di ormai chiuse da anni, che ancora attive, per parlarvi del  canottaggio. 
Perchè qui esiste la più antica società di canottieri d'Italia, la "Società Canottieri Limite 1861" che ha nel suo nome, l'anno di costituzione, appunto il 1861.
Si tratta di una società gloriosissima per storia e risultati sportivi, collegata ad un notevole "Centro Espositivo della Cantieristica Navale e del Canottaggio"  che è visitabile su prenotazione, presso la sede storica della Società, in Piazza C. Battisti.


Noi abbiamo avuto la fortuna di poter fare una visita "sui generis" mentre il centro era in ristrutturazione, guidati da Tito, un signore gentilissimo e di grande competenza.
Lui ci ha illustrato i vari metodi di lavorazione, fatto vedere i vari attrezzi e minuterie, che ancora  - appunto - sarebbero necessari ai maestri d'ascia per costruire una nave in legno anche ai giorni nostri.


Ci ha poi parlato della vita durissima degli alzaioli, coloro che trascinavano a spalla, dalla riva, le imbarcazioni che risalivano il fiume.
Confessiamo che questa cosa ci ha sorpreso, ma il nostro Mentore ci ha chiarito con un sorrisetto che le barche andavano verso il mare con la corrente, ma con che cosa tornavano verso le città? 
Certo, quelle piccole avevano i remi o le vele, ma le grandi navi merci?
Le navi merci si fermavano presso i porti fluviali che allora erano presso ogni paese che si affacciava sull'Arno. Dopo essere partita da Firenze, si fermava a Signa per i cappelli di paglia, poi a Montelupo per la ceramica, poi a Santa Croce per il cuoio... in ogni porto prendeva la merce per portarla fino al mare e spedirla in tutto il mondo.
Ma poi come tornava a Firenze? Con gli alzaioli, che la trascinavano tramite le funi lungo gli appositi camminamenti tracciati sulle rive dell'Arno.
Era un lavoro al limite del disumano, tanto che gli uomini - e le donne - chiamati a praticarlo,perdevano la loro dignità, diventando delle bestie da soma.
Lo ritrae mirabilmente Telemaco Signorini in un suo celebre quadro, chiamato proprio "gli alzaioli".

Fonte www.cultora.it


Abbiamo poi potuto ammirare la straordinaria vasca da allenamento - come chiamarla altrimenti? - dove chi si avvicina allo sport del canottaggio può allenarsi a remare insieme, magari ad altre sette persone in modo da trovare la giusta sincronizzazione.


Infatti, in barca senza la dovuta esperienza, quello di trovarsi in acqua a gambe in sù, è più di un rischio!

Inoltre bellissimi modellini raffiguranti imbarcazioni costruite dai vari cantieri navali limitesi.


Ci Ha colpito molto questa splendida riproduzione del brigantino Florette, costruito nel 1920 a Limite dai cantieri Picchiotti, armato poi a Viareggio e costruito per il trasporto del marmo dalle cave di Carrara, verso i porti del Mediterraneo.


E' stato uno degli ultimi velieri del mediterraneo progettato e costruito senza motore, e pensate! è ancora in esercizio! E' stato acquistato da un armatore che lo ha trasformato in nave da diporto, pur mantenendo le sue caratteristiche originarie. Adesso effettua crociere turistiche nel mediterraneo.

Se volete visitare il centro, dovete prima chiamare l'ufficio cultura del comune di Limite 0571/978135/6

Se invece vi domandate perchè l'Arno non sia più navigabile, la maggior parte della colpa è dell'Autostrada del Sole, per costruire la quale si sono avvalsi dei materiali tratti dal fiume, la cui linea di navigabilità si è abbassata in quegli anni di molti metri.








domenica 16 agosto 2020

ANCORA SULLA FERROVIA PORRETTANA, DUE CAPOLAVORI DI INGEGNERIA

Rieccoci sulla Ferrovia Porrettana.
Sappiamo che penserete che ci siamo un po' fissati, ma su questa ferrovia ci sarebbe da scrivere un'enciclopedia in 12 tomi da 500 pagine ciascuno. 
Ogni singola traversina ci racconta una storia.
Mettetevi a vostro agio: ne avremo ancora per un po'.
Vorremmo parlarvi della Galleria di Piteccio, un autentico capolavoro - sia pure un po' pasticciato - dell'ingegneria ferroviaria dell'epoca.
Vorremmo ricordarvi infatti che la ferrovia Porrettana è stata inaugurata nel 1864 e che ha costituito l'unico collegamento tra i due versanti dell'Appennino finchè nel 1934 non entrò in funzione la Direttissima.
Riassumiamo in due parole: quando fu progettata la Porrettana, l'Austria impose al Granduca (che era pur sempre un Asburgo-Lorena) di far transitare la ferrovia da Pistoia, che Vienna considerava strategica per il suo esercito.
Purtroppo le pendenze erano proibitive per le ferrovie, specie per quelle di allora, arrivando ad essere circa il doppio di quelle previste per altre soluzioni, che poi furono comunque adottate.
Comunque sia, progettazione e parte dei lavori furono realizzate in ambito granducale e ormai i lavori erano troppo avanzati per fermarli.
Il Re Vittorio Emanuele II inaugurò la ferrovia, orgoglio della Nazione, il 2 Novembre 1864.
Ma se tanti problemi si erano presentati in fase di progettazione e realizzazione, altrettanti se ne presentarono all'utilizzo.
Torniamo alla nostra galleria di Piteccio.
Essendo la parte in maggior pendenza di tutto il tracciato - stiamo parlando del 23 per mille - si sviluppa per tutta la sua lunghezza di 1750 metri in forma elicoidale; una soluzione che decenni dopo è stata ripresa per la ben più lunga galleria del San Gottardo.
Il problema più grande di questa galleria è che il foro di entrata e quello di uscita erano orientati all'incirca dal solito lato. Questo non sarebbe un problema adesso, ma lo era a quei tempi con le locomotive a vapore: infatti quando soffiava il vento il fumo veniva respinto all'interno del tunnel da entrambe i lati, anzichè fuoriuscirne.
La situazione era talmente disastrosa che alla fine della galleria, sostavano due macchinisti, diciamo così "di riserva" pronti a saltare sul treno al posto dei due che invece saltavano giù, intossicati dal fumo.
Il problema vero era per i passeggeri, che non potevano effettuare questo cambio e che rischiavano di morire asfissiati. E infatti la linea non portò affatto l'incremento sperato in zona dal turismo, proprio a causa di questo motivo, e fin dall'inizio fu più che altro una ferrovia destinata al trasporto merci.
Nel 1881 fu creata l'opera di cui intendevamo parlarvi. Magari a chi ci transita adesso in treno sembra semplicemente di passare da tre gallerie molto ravvicinate, ma non è così: è la stessa galleria che è stata "scoperchiata", nel vero senso della parola, per permettere al fumo di fuoriuscire.
Sembra incredibile vero?
Vi domanderete: e che differenza c'è tra tre gallerie molto ravvicinate e una sola galleria alla quale sono stato tolti due "tappi"?
Pensateci... una galleria dentro una montagna è un tutto unico, semplicemente gli togliamo il coperchio, come ad una pentola, ma i lati rimangono. 
Mentre tre gallerie molto ravvicinate sono tre piccole montagnole dove, passando, io non troverò niente sopra di me, ma nemmeno a destra e a sinistra.
Non è una cosa banale come potrebbe sembrare!
Comunque sia, anche questa soluzione non fu sufficiente.
Nel 1899 allora costruirono un ventilatore (Il Ventilatore Saccardo) installato all'imbocco sud che spingeva aria fresca nella galleria.
Ma indovinate? l'aria fresca ed i fumo arrivati alla prima apertura salivano in alto, lasciando gli altri due tronconi a soffocarsi.
Allora furono messe delle lamiere tra i tronconi del tunnel per ricrearne la continuità.
(non potevano pensare prima al ventilatore?!)
Poi vabbè, nel 1927 la linea venne elettrificata e il problema si risolse da solo.
A quel punto tolsero le lamiere, almeno si potevano vedere le due opere d'arte ingegneristica che sono le due trincee. (così si chiamano)

La trincea di Vignacci ha anche la particolarità che al suo interno ha la minuscola casetta del  sorvegliante.

Questa casetta è costruita all'altezza del piano binari, dove il sole non arriva praticamente mai - ed infatti è completamente coperta di muschio - e per arrivarci c'erano degli scalini di sasso infissi lungo le pareti che scendevano dalla montagna! Ci sarebbe davvero piaciuto conoscere il tizio che abitava in questa casetta e dirgli: "il guardiano del faro in confronto a te è un quaquaraquà".
Inoltre per scavare questa trincea è stato necessario deviare il corso del torrente Castagno, 



con tutta una serie di opere idrauliche non indifferenti per l'epoca.



Sempre a proposito di Piteccio, il viadotto a tre arcate originario era veramente un'opera straordinaria ed era esteticamente bellissimo;  purtroppo è stato distrutto dai  tedeschi durante la loro ritirata nel 1944. 
Sono rimasti un paio di basamenti di piloni del vecchio ponte, 


che esprimono ancora una notevole potenza,
ma anche quello che c'è adesso, vi possiamo assicurare che non è niente male!



















domenica 2 agosto 2020

LA STAZIONE PIU' BELLA DEL MONDO

Si tratta dell'importantissimo nodo ferroviario di Chicago (Illinois)?
O della Banhof di Frankfurt am Main?
Che sia la Stazione di Firenze Santa Maria Novella, progettata dal famoso gruppo dei cinque nel più puro stile razionalista?
Oppure una delle innumerevoli stazioni di Londra, come la King's Cross a Camden, per esempio.
No, siete fuori strada. E' questa: Castagno di Piteccio.


 
E credeteci, negli ultimi tempi di stazioni ne abbiamo viste parecchie.
Ma questa ci ha veramente stregati.
Per arrivarci si percorre questo straordinario vialetto di tigli, 


ancora profumati in luglio, perchè si sa, Castagno è una stazione climatica, 500 mt sul livello del mare!



La stazioncina è un oasi di frescura in un abbagliante mattina di luglio, linda e fresca come un lenzuolo di lino, stirato sino a togliergli ogni piegolina.
La stazioncina è composta di una sola stanza, ma è perfettamente pulita, i cartelli intorno sono stati amorevolmente lavati, i muri recentemente imbiancati di rosa geranio, nelle aiuole ci sono fiori che qualcuno innaffia con costanza e tiene puliti dalle erbacce.


Non c'è un sasso fuori posto.
Persino i servizi igienici, che sono a parte, lontano dalla costruzione principale, sono strati rimbiancati di fresco in un bel giallo carico.
E - meraviglia delle meraviglie - la porticina in legno dell'edificio principale si apre alla leggera pressione delle nostre mani, rivelandoci un minuscola ma linda sala d'aspetto con due panche di legno, l'orario del treno alla parete e un cestino per la carta. Nient'altro.


 Ah, sì... in un angolo, pudicamente nascosti, ci sono gli attrezzi per mantenere pulita questa piccola "chiesa".
Non osiamo violare la sacralità di questo luogo entrandoci: ci limitiamo a fare due foto dalla soglia e richiudiamo, rispettosamente.
La Ferrovia risale al 1864, ma la stazioncina è stata inaugurata solo il 20 agosto del 1960, anche se il treno ha iniziato a fermarsi qui dal 1958...ma era solo una fermata. Giustamente gli abitanti di Castagno hanno sentito il bisogno di una loro stazione, per incentivare il turismo, che allora era una fonte importante del reddito della zona, mentre le fonti ci dicono che a Castagno, nel 2010, transitavano 9 persone. Non abbiamo notizie più recenti. (fonte wikipedia)
Decidiamo di tentare l'avventura, e rassicurati dal fatto che il prossimo passaggio di treno è previsto tra circa un'ora, ci avventuriamo oltre la fine del marciapiede della stazione, attirati dall'ipnotico occhio di questa lugubre luce nella galleria!

Mappa

domenica 26 luglio 2020

CURIOSITA' DI FIRENZE

A parlare di Firenze non basterebbe un'enciclopedia in 75 volumi e poi correremo seriamente i rischio di ripetere per l'ennesima volta cosa risapute.
Inoltre non sarebbe nello spirito del nostro blog quello di parlare delle cose più conosciute ed universalmente note: mica avete bisogno di noi per sapere notizie di Santa Maria del Fiore, no?
(Anche se non è detto, magari qualcosa di meno conosciuto riusciamo a scovarlo lo stesso...)
Quindi, abbiamo trovato quattro curiosità che riguardano Firenze, e delle quali vogliamo brevemente parlarvi.

Per esempio, la Chiesa di San Pier Scheraggio.
Vi abbiamo colti in fallo, eh?
E' inutile che la cerchiate, questa antichissima chiesa, che pare fosse stata fondata dal vescovo Pietro Mezzabarba ne 1068, non esiste più.
Eppure era una chiesa grande, seconda per dimensioni solo a Santa Reparata che - come saprete - era la cattedrale di Firenze finchè non fu costruita Santa Maria del Fiore. 
Siccome era grande, era spesso utilizzata per le riunioni del Consiglio del Popolo, prima della costruzione di Palazzo Vecchio. Al suo interno era collocato un pulpito, che oggi è stato sistemato a San Leonardo in Arcetri, e da dove parlarono anche Dante e Boccaccio.
Il nome deriva dal vicino torrente Scheraggio, che faceva da fosso di difesa alle antiche mura, e la sua posizione era tra Palazzo Vecchio e gli Uffizi, dove adesso c'è via della Ninna (c'era anche allora, ma era un vicoletto).
In origine la Chiesa era a tre navate. Una venne integrata nella nuova fabbrica degli Uffizi nella metà del '500, e un'altra abbattuta per allargare via della Ninna. 
La chiesa venne soppressa nel 1743 e i locali utilizzati come archivio del tribunale. 

Le colonne della navata  e gli archi sono ancora visibili su via della Ninna dove si trova una epigrafe che recita:
"Avanzi e vestigia della chiesa di San Pier Scheraggio che dava nome a uno dei sesti della città e tra le cui mura nei consigli del popolo sonò la voce di Dante" 

Se poi volete sapere perchè via della Ninna si chiama così, ve lo diciamo noi: prende il nome dalla Madonna con il Bambino di Cimabue, detta Madonna della Ninna Nanna.

Già che siamo in zona, basta che vi giriate, perchè sulla facciata di Palazzo Vecchio, proprio ad altezza d'occhio di un adulto, potrete vedere con tutto agio, sulla destra dell'entrata, praticamente dietro la statua del Biancone, un piccolo profilo, diremmo di un uomo.

Se pensate ad un atto di vandalismo, siete completamente fuori tema, perchè questo ritrattrino appena abbozzato viene attribuito con ottime probabilità nientemeno che a Michelangelo Buonarroti.
Ci sono varie ipotesi, però, su chi possa essere la persona ritratta.
Alcuni pensano che si tratti dell'autoritratto di Michelangelo stesso.
(Mah... che motivo avrebbe avuto di farlo su un mattone di Palazzo Vecchio?) 
Altri ritengono che l'artista abbia abbozzato il riratto di un condannato a morte, che aveva visto passare sulla carretta che lo portava al luogo dell'esecuzione. 
Colpito da questo spettacolo, decise sul momento di scolpire il suo ritratto su quello che aveva sottomano.
(Ci potrebbe anche stare, come ipotesi)
Ma a noi piace decisamente questa versione: pare che ci fosse un tizio che continuamente importunava l'artista con le richieste più assurde e noiose. Un giorno in cui  Michelangelo era particolarmente annoiato dal suo interlocutore, fingendo di ascoltarlo,  scolpì il suo ritratto con le mani dietro lo schiena.
Tant'è vero che il ritratto è conosciuto come "L'importuno di Michelangelo"
Questo sì che ci piace!

Adesso ci dobbiamo spostare alla Loggia del Porcellino, dove abbiamo potuto vedere questa particolare curiosità solo grazie al lockdown, che se ci aveva permesso di tornare a Firenze, non aveva ancora permesso al mercato che di solito si tiene sotto queste logge, di posizionare i banchi ed esporre la merce.
La loggia del Mercato Nuovo (questo è il suo nome) vuota,  è cosa che non capita spesso,  per cui abbiamo potuto vedere la "Ruota dell'Acculata".
Da questa ruota originano due detti tipicamente fiorentini: "essere con il culo per terra" e "essere sculati", perchè su questa ruota veniva comminata una punizione ai debitori nella Firenze medioevale.

La condanna veniva eseguita proprio qui, nella loggia del Mercato Nuovo, alla presenza, del popolo. Una specie di gogna, perchè al condannato veniva scoperto il fondoschiena, sollevato per le braccia e le gambe con una corda legata la soffitto della loggia, e calato violentemente per diverse volte, in modo che il sedere potesse sbattere sull'immagine della ruota del carroccio, disegnata sul pavimento.
Era un modo per lasciare al condannato un segno indelebile - c'era da farsi veramente male! - un monito per chi aveva intenzione di fare debiti, e un gran divertimento per il pubblico, che come si sa, si diverte sempre un mondo alle disgrazie altrui.

Spostiamoci ancora un po' e andiamo in Piazza Santissima Annunziata, dove nel centro c'è il monumento equestre di Ferdinando I° de' Medici.

Su retro del monumento c'è una cosa curiosa. Sotto il motto latino 
"Maiestate Tantum" (noi il latino non l'abbiamo studiato, e viviamo felici) c'è uno sciame di api con l'ape regina (rappresentata dal Granduca Ferdinando, e da chi altrimenti...) circondato dalle api operaie che rappresenterebbero il laborioso popolo fiorentino.
Evvabbè.

La particolarità è che le api operaie sono disposte in cerchi sfalsati, per cui è  davvero un'impresa contarle.
Già pochi anni dopo la costruzione del monumento, i genitori più accorti, avevano trovato in questa sorta di arnia di bronzo, un modo per liberarsi dei capricci dei loro bambini viziati: quando c'era qualche giocattolo o dolce o chissà che altro che i loro figli volevano ad ogni costo, li portavano dietro al monumento di Ferdinando I°, promettendo che avrebbero soddisfatto i loro desideri purchè... avessero contato esattamente il numero delle api che c'erano lì sopra.
Siccome senza prendere un riferimento contarle è quasi impossibile, i ragazzini pestiferi rimanevano con un palmo di naso e venivano portati via piangenti e singhiozzanti. Ma i genitori sapevano che le api erano 91!


Fonte "1216 Firenze al tempo dei Guelfi e Ghibellini " di Andrea e Fabrizio Petrioli



























domenica 19 luglio 2020

PRATO LA CITTA' DEI MIRACOLI MARIANI

Che la nostra città sia sotto la particolare protezione di Maria Santissima, lo sappiamo perchè la cattedrale di Santo Stefano custodisce una delle Reliquie più venerate della Cristianità che riguardano la Vergine Maria: la cintura della veste della madonna, o la Sacra Cintola, come la chiamiamo noi a Prato.
Inoltre, essendo il Santo patrono della nostra città Santo Stefano 
(26 Dicembre...) cioè un giorno in cui è comunque festa, per consolarsi di tanta sfortuna i pratesi si sono dati un'altra occasione di festeggiare, ed hanno scelto  proprio il giorno l'8 settembre giorno della Natività di Maria. 
In questa occasione si celebra la "Madonna della Fiera", giornata centrale di una serie di intrattenimenti, che culmina con il Corteggio Storico, una sfilata di personaggi un costume.
Questi, al termine della sfilata si radunano davanti al Duomo, dove viene effettuata l'ostensione pubblica della sacra reliquia dal pulpito del Donatello, appositamente realizzato nel 1438, e da dove viene mostrata al popolo tutto per cinque volte nel corso dell'anno,  di cui questa è la più solenne.
E questa è la storia che ogni pratese sa fin dalle elementari.
Quello che forse si sa di meno, è che a Prato ci sono altri cinque Santuari Mariani, tutti legati a miracoli che si sono verificati proprio nel nostro territorio e che hanno richiesto per questo l'edificazione di una chiesa o di un santuario.

Cominciamo con quella che magari può sorprendervi di più.Il Santuario di S. Maria del Soccorso nell'omonimo quartiere.


Dove adesso sorge la chiesa, fuori dalla porta Santa Trinita e sulla strada che porta al Poggio a Caiano (l'attuale via Roma) sorgeva un piccolo tabernacolo con un'immagine sacra, una Madonna che allatta il piccolo Gesù. dipinta intorno al 1400 da uno dei fratelli Miniati. 
Il 6 Novembre del 1570, una pastorella stava pascolando il suo gregge nei pressi del tabernacolo; improvvisamente si scatena un temporale torrenziale; il cielo si oscura, tuoni, lampi pioggia scrosciante che in breve tempo fa straripare un paio di torrentelli che a quei tempi scorrevano in zona. 
La bambina, terrorizzata, si rifugia con le sue pecore vicino al tabernacolo, che si trovava in un luogo rialzato. Alla Vergine rivolge la sua ingenua e fiduciosa preghiera, e le acque non riescono a raggiungere nè lei nè le sue pecore che si salvano inseme alla bambina.
Dopo questo prodigio, inizia il flusso dei pellegrini, che tributarono all'immagine il titolo di "Madonna del Soccorso". Fu restaurata in primo luogo la strada che dalla porta Santa Trinita arrivava sino al Tabernacolo, poi nel 1574 fu costruito un piccolo oratorio, ma contemporaneamente il vescovo di Pistoia (già, eravamo sotto la diocesi di Pistoia) ordinava la costruzione del Santuario che terminò nel 1585.


Nel frattempo il tabernacolo era stato trasportato all'interno della chiesa, con grande cautela. Il ricordo liturgico  si celebra il 6 novembre, mentre il 30 aprile si celebra la traslazione della venerata immagine.

Continuiamo con il Santuario di Santa Maria del Giglio, che per chi non lo sapesse è la chiesa che si trova in in via San Silvestro, tra Piazza Mercatale e Piazza San Marco. 


In questo luogo esisteva già dal 1200 una chiesa dedicata a San Silvestro, collegata ad uno Spedale, fondato da Dolce de Mazzamuti, che accoglieva pellegrini, ma specialmente bambini abbandonati.
Davanti a questa chiesa c'era un pozzo dove era collocata l'immagine della Madonna. La devozione popolare aveva fatto sì che non mancassero mai i fiori davanti a questa immagine sacra, ma in quel momento il giglio che era stato collocato in un vaso, era ormai secco.
Forse perchè era il 26 agosto! 
Del 1644 (contestualizziamo!)
Improvvisamente, il giglio secco nel vaso davanti all'immagine della Madonna, rifiorì, tornando bello come appena colto.
Il prodigio richiamò molti fedeli, e siccome i miracoli si susseguivano, si pensò subito a costruire un santuario, che fu dedicato a Santa Maria del Giglio l'8 marzo 1680.
All'interno del Santuario si trovano sia l'immagine miracolosa sia il fiore oggetto del miracolo.


Lo Spedale, del Sig. dolce de' Mazzamuti, che subì un grave tracollo economico a causa del sacco di Prato del 1512, fu unificato con quello della Misericordia nel 1537 su decreto del Granduca Cosimo I° deì Medici.
Se il nome "Misericordia e Dolce" dice qualcosa ai pratesi ne hanno tutte le ragioni, perchè è stato il nome del loro ospedale sino all'ottobre del 2013.
Il ricordo liturgico si celebra il 26 agosto, mentre il giorno 8 marzo, quello della dedicazione della basilica.
Dopo la messa, vengono distribuiti ai presenti i "gigliucci d'oro" dei biscotti fatti a forma di giglio, che vengono fatti appositamente per queste ricorrenze.

La Chiesa più bella è però la Basilica di Santa Maria delle Carceri, vero capolavoro del rinascimento, unica chiesa voluta espressamente da Lorenzo il Magnifico, che ne curò personalmente il progetto di tempio a pianta centrale a croce greca. 


La realizzazione fu affidata nientemeno che a Giuliano da Sangallo.
Il Miracolo  si è verificato il 6 luglio 1484, quando un bambino, Jacopino Belcari (nome e cognome,  poi vi diciamo perchè) che giocava nei pressi del muro del vecchio carcere pubblico ormai abbandonato, che si chiamava Le Stinche, come quello di Firenze -  dove era dipinta una immagine sacra di Madonna col bambino - vide la Madonna stessa staccarsi dal muro, e posare in terra il Bambino Gesù.  

Ma non è tutto: davanti al bambino atterrito, sul volto della madonna apparvero lacrime e sudore.
Anche qui fu il primo di una serie di eventi che attrassero fedeli da tutta la Toscana, tanto che fu deciso la costruzione della basilica, anche qui traslando l'immagine miracolosa all'interno della chiesa, che fu terminata nel 1495.


I lavori per la copertura in marmo all'esterno si interruppero per carenza di fondi nel 1506. Nel 1512 ci fu il famigerato sacco di Prato e i fondi per terminare la copertura in marmo della basilica non sono mai stati più trovati da allora.
Torniamo a Jacopino Belcari, che dopo la visione del miracolo entrò in seminario e diventò sacerdote, e fu parroco in Santa Maria delle Carceri dal 1512 al 1522.
Volevamo parlare prevalentemente dei miracoli, ma qui è doveroso parlare della chiesa, perchè è stata costruita in modo da evidenziare in modo particolare due eventi astronomici: A mezzogiorno del giorno del solstizio d'estate, i raggi del sole illuminano il dipinto della Vergine Maria penetrando dalla cupola.
Invece il 15 luglio alle ore 15.18, i raggi solari che penetrano dalla cupola, vanno a illuminare il disco collocato sopra l'altare maggiore della basilica, in ricordo dell'apparizione miracolosa che si era verificata il 6 luglio 1484 (calendario Giuliano!!!)

Continuiamo con il Santuario di Santa Maria della Pietà che si trova nell'omonima piazza e nell'omonimo quartiere. 
Dobbiamo essere siceri, qui si trovano un sacco di notizie sulla chiesa ma poche sul miracolo in sè stesso. Sappiamo che anche qui c'era un'immagine sacra, un piccolo tabernacolo detto "del Pesce" ma non abbiamo trovato a quando risaliva, e nemmeno perchè si chiamasse così.
Sappiamo che improvvisamente. la notte nel 26 aprile 1616,  su questo tabernacolo   una luce a forma di piramide illuminò a giorno la Madonna in esso raffigurata, che iniziò a piangere di dolore.


A questo prodigio assistè di persona anche il Granduca Cosimo II con corte al seguito, e fu per questo che fece subito erigere dal suo architetto Gherardo Mechini il Santuario - aperto al culto nel 1619 -  nel quale è custodita l'immagine sacra, che tramite le due finestre (rimaste chiuse forse da sempre, e aperte solo da pochi anni) sulla facciata, può essere vista giorno e notte.
Una particolarità di questo santuario è che è circondato da un giardino, a differenza di tutti gli altri.


Ma chi, come noi, è abbastanza vecchio da ricordarlo con la propria memoria, sa che il giardino sino alla fine degli anni '80 (non siamo precisi con le date) era girato esattamente dalla parte opposta, cioè era dove adesso era la strada, e la strada passava accanto al Santuario.
Con una opportuna modifica della viabilità si è modificato l'assetto della piazza, rendendola molto più vivibile e fruibile.
Quello che è rimasto al suo posto è il monumento a Gaetano Magnolfi, che comunque non è sempre stato lì. 


Fu sistemata dove si trova adesso nel 1900, poi spostata in piazza del Duomo, dove adesso di trova un ottagono in marmo, e poi riportata nella sua sede originale negli anni '30.
(neanche fosse stato un soprammobilino...)

E veniamo all'ultimo miracolo quello della Madonna dei Papalini.
Questo miracolo si collega al più tragico momento della storia di Prato: il famigerato "Sacco di Prato" avvenuto nel 1512 e originato dallo scontro tra francesi e spagnoli, questi ultimi alleati dello Stato Pontificio ( e per questo denominati "papalini") per obbligare Firenze a riportare i Medici al potere dopo la loro cacciata del 1494.
Per salvare Firenze, la soldataglia si accanì su Prato per ventidue giorni a partire dal 29 agosto, saccheggando, uccidendo senza pietà e portando Prato sull'orlo della rovina e della miseria.
Solo il carattere della città e dei suoi abitanti ha permesso che potesse lentamente riprendersi e svilupparsi come poi ha fatto.
(Ma con quale fatica. E senza l'aiuto di nessuno. Come sempre)
Ma su questo argomento torneremo più approfonditamente.
Continuiamo con il nostro miracolo.
La furia dei soldati spagnoli non risparmiava nemmeno i monasteri, ma quando tre capitani spagnoli - di cui sappiamo anche i nomi: Giovanni, Spinozo e Vincenzio - entrarono nella Basilica, videro la Madonna in persona,  che li esortò a risparmiare il monastero.
Una volta  entrati nella clausura di San Vincenzo, trovarono le suore in preghiera davanti ad una statua della Madonna, la guardarono e caddero in ginocchio, pregando a loro volta.
Giurarono davanti alla priora che il monastero sarebbe stato rispettato, e così avvenne.
La statua, in terracotta policroma degli inizi del cinquecento, è considerato quindi protrettrice e salvatrice, e viene denominata "dei Papalini" proprio dal nome delle truppe pontificie che si erano alleate con gli Spagnoli.
La Statua viene esposta, riccamente abbigliata di un abito in seta ricamato che risale al '700, alla grata del monastero di clausura solo il 29 agosto di ogni anno.
Ed ecco perchè non abbiamo foto dell'immagine sacra.


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