domenica 31 maggio 2015

DUE GIARDINI GIAPPONESI IN TOSCANA

L'idea di parlare dei giardini giapponesi che ci sono in Toscana ci è venuta dopo che ne abbiamo visto uno in un posto spettacolare, e uno in un posto insospettabile.
A quel che ci risulta non ce ne sono altri in Toscana, ma saremmo lietissimi di essere smentiti.
Siccome ci piace documentarci sulle cose di cui parliamo, abbiamo - a scopo puramente introduttivo - condotto un piccola ricerca in proposito (una ricerca-bonsai, tanto per rimanere in tema, ah ah!)
Ci sono diversi tipi di giardini giapponesi:
il giardino zen secco (karesansui) è composto da pietre e sabbia, e - in quell'ambiente "di vuoto"
 dove la natura è riprodotta in maniera simbolica -  creano un luogo spoglio, adatto perchè la mente  possa meditare.
Il giardino del paesaggio ricreato (shakkei) dove  è riprodotto il paesaggio, con abbondanza di acqua, cascate e piccoli ponti, in modo che si possa entrare in comunione con la natura.
Il giardino della cerimonia del Te', dove un lento percorso ci conduce alla sukyia, la casa del te', e che serve a spezzare i legami con il mondo esterno, per condurci allo stato di meditazione.
Non prendete queste nota per oro colato: questo è il pochissimo che siamo riusciti a reperire di notizie in proposito, ma a noi sono servite per capire che i due giardini che abbiamo visto avevano caratteristiche diverse.

Cominciamo con quello nascosto in un luogo insospettabile.
Esiste infatti un giardino della cerimonia de Te', in un cortile del palazzo pretorio di Certaldo.
Infatti Certaldo è gemellato con la cittadina giapponese di Kanramachi.
Dei due cortili di questo splendido palazzo medioevale, uno è stato trasformato dall'architetto giapponese Hidetoshi Nagasawa.
Il colpo d'occhio è sconvolgente: Certaldo ha la particolarità di essere rimasta intatta nel suo nucleo medioevale, perchè dopo che la sua funzione di roccaforte contro Siena era finita - diventando parte del Granducato di Toscana - era stata praticamente abbandonata dalla popolazione, che aveva trovato più comodo abitare in pianura, vicino alle strade di comunicazione (ma di Certaldo avevamo già parlato ne "I Borghi della Valdelsa" (link)).
La sua via principale pavimentata in cotto, priva di piazza - che nel medioevo non usava - e il suo palazzo dei Priori con  il cortile lastricato, crea un contrasto incredibile con il raffinato spazio del giardino.
Un ciliegio ornamentale è collocato tra alcuni muretti scuri - che rappresentano le mura antiche, e alcune collinette coperte di erba - poco curata, in verità - sono le colline che realmente si vedono, solo che si alzi lo sguardo verso il panorama circostante.

Una piccola strada di pietre ci porta alla piccola casa da te' in legno, dove sono visibili dall'esterno tutti gli oggetti necessari per la cerimonia.

Noi l'abbiamo interpretato così: lo spazio chiuso del palazzo medioevale, paragonato allo spazio aperto dato dallo cerimonia del te'.
E' un vero peccato che non si trovi una riga su questo giardino, che alla biglietteria del museo non ci sia un pieghevole che ne parla, che praticamente nessuno ne sappia niente.
La gente si affaccia al porticato, e si meraviglia di trovare una casina di legno in mezzo al giardino.
Ecco tutto.

L'altro giardino, è a Firenze, ed è maggiormente conosciuto: si colloca all'interno del Giardino delle rose (e di questo ne parliamo a parte, perchè merita un post tutto per sè).
Intanto è sulle pendici del colle dove sorge il Piazzale Michelangelo, e quindi in un contesto paesaggistico da urlo.
E' un giardino karesansui, quindi di pietre, che prevede una cascata a sette livelli  (sogenno-taki) che ha una valenza molto poetica: la prima goccia è raggiunta dal altre gocce, e tutte insieme proseguono verso spazi più ampi - e una pagoda per il te' (fughen-tei)
Il giardino è   stato progettato dall'architetto giapponese Yasuo Kitayama,  -  donato dalla città di Kyoto, che è gemellata con Firenze - ed è stato inaugurato nel 1998, poi ampliato e arricchito nel 2012.

Tutti i  materiali - pietre, legno, piante, le lanterne in pietra - vengono tutti dal Giappone, e anche il personale che, seguendo le direttive dell'architetto, ha effettuato tutto il lavoro, veniva dal paese del sol levante.
Ma sedendosi all'interno della fughen-tei, posando i piedi su un significativo pavimento in lastre di ardesia e cotto (Kyoto e Firenze...) si può ammirare una Firenze in tutto simile a quella che i turisti impazziti, fotografano solo pochi metri sopra le nostre teste, eppure più vera, più domestica, più "città da abitare". 
La strana sensazione che abbiamo provato,  ci è sembrato molto affine al pensiero giapponese, dove  la religione buddista insegna a vedere le cose sotto un punto di vista più intimo, forse più dimesso, e ad apprezzare le piccole cose.
Forse è proprio questo lo spirito di un giardino giapponese in un luogo così particolare come è questo: guardare nel proprio intimo, nonostante il paesaggio circostante sia così attraente, senza lasciarsi distrarre da uno dei paesaggi più belli e noti del mondo.


Mappa




domenica 24 maggio 2015

IL PARCO SCULTURE DEL CHIANTI

Ci piacerebbe dire che abbiamo trovato questo straordinario Parco, girovagando,  come sempre facciamo.
Beh, non sarebbe vero.
Siamo partiti apposta per andarlo a vedere, e dobbiamo anche faticato un po' per trovarlo, percorrendo quelle che sono delle normali strade provinciali, però "bianche", quindi non asfaltate.
Le strade bianche in questa zona sono una caratteristica peculiare - in questa zona  si tiene da anni una gara ciclistica che si chiama proprio così, "Strade Bianche", e che fino a pochi anni fa  si chiamava "L'Eroica" (sponsorizzata ovviamente dal Monte dei Paschi di Siena) - per cui percorrerle dovrebbe essere una bella sensazione.
Forse con un bel fuoristrada - per dire la verità il fondo era assai buono - ma con una moto stradale non tanto!
Vabbè, questo solo per dire che non era propriamente sulla Firenze-Siena, ecco... ma del resto, se fosse stato facile, che merito avremmo avuto a parlarne!?
Dunque, torniamo a noi.
Si trova nel comune di Castelnuovo Berardenga, in frazione Pievasciata,  a pochi chilometri da Siena.
Il Parco nasce da un'iniziativa privata dei signori Piero e Rosalba Giadrossi, appassionati di arte contemporanea, e proprietari di una galleria d'arte.
Non sappiamo se il bosco di lecci e querce era già suo o se l'hanno acquistato appositamente. Sappiamo che era già recitato perchè ospitava un allevamento di cinghiali.
Hanno poi investito tempo e risorse - notevoli - per attrezzare questa vera e propria galleria d'arte a cielo aperto, che è stata inaugurata nel 2003.
Noi non siamo esperti d'arte, tantomeno abbiamo il background per poter apprezzare l'arte contemporanea, però la visita a questo parco ci ha sorpresi ed emozionati.
Si tratta di 26 sculture di grandi dimensioni, realizzate nei materiali più diversi - marmo, certo, ma anche vetro, metallo in vari stadi di corrosione, tubi fluorescenti - da artisti di tutto il mondo.
L'eccezionalità di queste istallazioni è anche dato dal fatto che si esce dallo stereotipo dello scultore - uomo, europeo o comunque occidentale - perchè qui ci sono opere di scultori provenienti dai cinque continenti, di cui una gran parte sono donne.
Abbiamo trovato veramente straordinario il modo in cui le opere si integrano nell'ambiente naturale circostante; come se fosse assolutamente naturale trovarle lì.
E poi, a differenza delle statue antiche che si trovano nei musei - così algide, lontane, inaccessibili - queste hanno una corporeità e una materialità così forte, che senti che solo toccandole o entrandoci dentro puoi veramente apprezzarle e viverle.
Ecco, forse era tutto l'ambiente circostante, gli uccellini che cantavano, il sole, la brezza che faceva muovere le foglie degli alberi, che davano alle opere una vita che un museo non può dare.
Ci vorrebbe un post per ogni opera che abbiamo visto, ma come tutti abbiamo avuto le nostre preferenze.
Limes, che richiama nel nome gli antichi confini che delimitavano le civili terre romane da quelle dei barbari, costituito da candidi sassi di marmo che sembrano appoggiati a lunghi steli di metallo, per una lunghezza di di 60 metri.

Il labirinto, interamente costruito in mattoni di vetro, al cui centro c'è un cubo in mosaico arancio e uno specchio, per essere soli con se stessi.

Leapfrog, con i bambini in pietra lavica, che giocano a saltare

Raimbow crash,  in vetro colorato e tubi fluorescenti
The keel , che può sembrare sia uno scheletro di un dinosauro, che i resti di una grande nave

Energy un incredibile albero in vetro alto otto metri.
e ci fermiamo qui, altrimenti le foto sono troppe e il post non si carica... ma l'unico motivo per cui non le menzioniamo tutte, una per una, è solo questo.
All'arrivo abbiamo pensato: caspita, c'è la coda al botteghino...

E invece no, era un'opera di un'artista giapponese.
Il vero botteghino invece era questo: perfettamente in stile, non è vero?

Sfruttando un avvallamento naturale, è stato costruito un anfiteatro veramente particolare, dove in estate si svolgono concerti e manifestazioni.

Mappa


domenica 17 maggio 2015

IL CASTELLO DI SAMMEZZANO COME NON L'AVEVAMO MAI VISTO!

Abbiamo avuto un'occasione straordinaria.
Quella di aggregarci ad un gruppo fotografico per una visita privata al Castello di Sammezzano.

Avevamo già avuto modo di vedere questa straordinario edificio,  e ne avevamo parlato (link)
Quella di oggi però è stata una visita particolare, in cui non siamo stati intruppati in un gruppo che poteva solo seguire pedessiquamente la propria guida.
Essendo, non solo un gruppo, ma un gruppo fotografico, siamo stati lasciati molto più liberi di muoverci rispetto alle  - rare - visite che sono concesse al pubblico.
Ovviamente appena siamo entrati al piano nobile, i fotografi sono impazziti nelle sale arabeggianti.
Le sale sono disposte come un corridoio circolare che gira intorno alla stanza centrale, la famosa sala bianca. 

Disposte intorno al corridoio principale, ci sono un'infinità di stanze più piccole, che diremmo di servizio, e che a nostra sensazione - non ne siamo sicuri, perchè a forza di girare intorno alla sala centrale, le nostre idee si sono un po' confuse - forma un ulteriore cerchio, parallelo al primo.
Dopo aver provato una varietà infinita di inquadrature, abbiamo imboccato una scaletta di servizio, che ci ha portato al piano superiore.
Sapevamo che negli anni '80 questo era stato un albergo di lusso, ma vedere le tracce di questo passaggio è stato traumatico.
Al primo piano sono poche le stanze decorate: solo gli ambienti di passaggio sono nello stile del Castello. Per il resto si tratta di stanze piuttosto comuni,  che a causa dell'uso che ne è stato fatto per anni come albergo, ha reso ancora più sciatte. Pochi mobili rimangono all'interno di queste stanze, per lo più vecchi divani polverosi o fusti di letto sfondati, che accentuano ancor di più - se pur possibile - l'impressione di abbandono e sfacelo che si vede tutto intorno, e testimoniato da tanti particolari avvilenti.
L'anonima moquette rossa  che copre un rosone intagliato nel pavimento, un ascensore che pare vergognarsi di sè stesso, tanto è piccolo è nascosto o il parquet gonfio di umidità, che copre chissà quale pavimento intarsiato.
E poi le macchie di muffa negli angoli alti delle stanze, gli specchi opachi di polvere, la plastica cotta dal sole, nella parte alta delle finestre.
Viene da domandarsi come sia possibile che un simile patrimonio di bellezza sia stato lasciato a marcire in queste condizioni, per oltre venti anni.
L'insulto più grande lo abbiamo visto in una stanza al primo piano, che sembrava fosse stata  adibita ad ufficio: le pareti affrescate a gigli di Francia erano state coperte con una anonima carta da parati, i i pavimenti intarsiati, erano stati forati per far passare le canaline dei cavi dei computer (o si trattava di macchine contabili?! dopotutto stiamo parlando degli anni '80).
Una piccola apertura nel muro ha attirato la nostra attenzione: una stretta scaletta ci ha portato sempre più in alto, sino alla torre ed al suo belvedere, dal quale si può spaziare su una spettacolare vista a 360° sul panorama circostante.

L'esercizio è immaginare il paesaggio, come doveva essere al momento della costruzione della villa!
La visita al pianoterra è stata veramente interessante. Qui negli anni '80 c'era un ristorante, ovviamente con annesse cucine, che per dire la verità non sembravano affatto abbandonata da oltre 20 anni.
 Sinceramente, il girarrosto profumava vagamente di legna bruciata!
Ma forse la spiegazione è alla portata di tutti. Esiste una associazione a difesa e decoro della villa: niente di più probabile che abbiano usufruito di questi spazi per farsi un bell'arrosto.
Il bar è quanto di più kitsch abbiamo visto... il bancone di zinco con le decorazioni arabeggianti su fondo arancio era autenticamente anni '80!
Come in tutto l'edificio, tutto ruota intorno ad una stanza centrale rotonda. In questo caso si tratta della vasca, pavimentata in maiolica blu, che alimentava la fontana nella sovrastante sala bianca.
Questa era sicuramente la sala centrale del ristorante, perchè c'erano ancora dei tavoli e delle sedie, oltre alla solita vetrinetta zincata che c'è in tutti i ristoranti.
Intorno, sale di riunione, separè, sale di soggiorno e poi, ovviamente, stanze di servizio ancora ingombre di piccoli oggetti: una scatola piena si saliere di metallo, un'altra di vecchi addobbi natalizi, tre o quattro televisori a tubo catodico, un ammuffito quadro ad olio con una scadente raffigurazione del castello stesso.
Poi, una sala riunioni ben conservata, con arredi vecchi ma in ordine - forse sede dell'associazione di cui sopra - dove ad una enorme colonna quadrata, era infissa una targa di marmo che riportava questa inquietante scritta: questa colonna sorregge tutte le volte
Di fronte, uno stemma in pietra con le sei palle dei Medici.
All'esterno l'atmosfera è serena, ma leggermente cupa: i grandi alberi - quelli che sono sopravvissuti all'incuria degli anni e alla tempesta di vento dei primi di marzo del 2015 - sono maestosi, ma tristi; la balaustra in cotto è corrosa dai muschi e dalle muffe.

In generale, lontano dai colori squillanti dell'interno, tutto il giardino ha un'aria vagamente inquietante.
Chi ha la pazienza di seguirci, sa che non ci piace dare giudizi o mettersi a fare la morale: in genere ci limitiamo a riportare i fatti o a fare qualche battuta - che speriamo strappi un sorriso.
Ma qui c'è veramente da fare una riflessione e domandarsi perchè un ambiente come questo viene lasciato da venti anni a marcire.
Fose, - è un'ipotesi -  in Italia siamo drogati dalle bellezze architettoniche dell'antichità, per cui un Castello come questo, vecchio di non più di 150 anni, non viene considerato all'altezza di essere considerato come facente parte del nostro patrimonio culturale.
Sicuramente ci sono edifici più antichi e più meritevoli di questo di essere adeguatamente preservati e restaurati - basti l'esempio del sito archeologico di Pompei, che sta cadendo letteralmente a pezzi - ma qui c'è la magia di sentirsi trasportati in un luogo ed in un tempo assai lontano da quel che può essere qui e ora, come se il signor Panciatichi Ximenes ci avesse aperto una porta spazio-temporale, che ci conduce in un sogno esotico, fatto di candidi intarsi, maioliche dai colori vivaci e porte di bronzo raffiguranti animali fantastici, dai quali puoi immaginarti di vedere passare un'odalisca velata, da un momento all'altro.
Questo era sicuramente il suo obiettivo: vivere in un sogno, cosa che non tutti hanno i mezzi per fare!

Mappa






domenica 10 maggio 2015

CASTELNUOVO DEI SABBIONI TRA VECCHIO E NUOVO

Quando siamo venuti a Castelnuovo dei Sabbioni, città mineraria fantasma del Valdarno superiore, sapevamo solo che presentava una curiosa caratteristica, e cioè che è situato in una località per cui ci sono da percorrere 33 km per andare ad Arezzo, 33 per andare a Siena e 33 per andare a Firenze.
Già una coincidenza del genere ci intrigava, figurasi poi se ci facevamo scappare un paesino abbandonato.
Ma quando siamo arrivati lì, sorpresa!
Non è affatto un paese abbandonato: prima di tutto è vicinissimo al nuovo abitato, che porta lo stesso nome - ma il suo nome sarebbe Camonti -  situato  solo un po' più in alto.
Fra l'altro, nella piazzetta abbiamo fotografato questo splendido plastico, realizzato da un artista locale, che raffigura il vecchio paese così come era.

Chi è nato qui prima degli inizi degli anni settanta, è sicuramente nato nel vecchio paese, che è stato evacuato dalle autorità in quel periodo, quando i crolli delle abitazioni si susseguivano a causa dei cedimenti del terreno sottostante, causati dalle escavazioni della miniera di lignite lì vicina.
Curiosamente, la miniera di lignite - esaurita a metà anni novanta e adesso chiusa - è stata la causa della fine e anche causa, se non della nascita, dello sviluppo di questo paese.
Il laghetto, ai piedi dell'antico abitato, esisteva già, ma si è allargato proprio a causa dello sfruttamento minerario.
Il  borgo esisteva fin dal 1120 , e si chiamava Castelnuovo d'Avane.
Il nome fu mantenuto sino all'unità d'Italia, quando furono iniziati li scavi della miniera di lignite.
 I terreni ricchi di argilla (qui detta "sabbione") furono la causa del nuovo nome.
A questo fulcro centrale furono aggiunte dall'inizio del secolo scorso, una serie di abitazioni dette "la dispensa" che dovevano ospitare gli operai della miniera.
Poi, negli anni venti, con la creazione della centrale elettrica di Santa Barbara, quelli che erano dormitori, furono mutati in abitazioni per le famiglie degli operai della Società Mineraria Valdarno.
Anche qui, purtroppo, abbiamo trovato il ricordo di un eccidio nazista: il 4 luglio del 1944 fu teatro di quella che è conosciuta come la Strage di Cavriglia, dove 73 uomini furono uccisi dai nazisti a Castelnuovo e altri 97 a Meleto, entrambe - appunto - frazioni di Cavriglia.
Nel paese di Castelnuovo dei Sabbioni,nel 1995 e quindi a paese già abbandonato,  sono state girate le scene in esterni del film di Alessandro Benvenuti "Ivo il Tardivo", dove un malato di mente viveva da solo nel paese abbandonato, decorandone i muri  con rebus e cruciverba, dei quali, purtroppo abbiamo trovato ben poco.

Per accedere al vecchio paese c'è un cancello - sempre aperto nei giorni festivi - perchè anche se adesso è ormai consolidato, e i crolli sono terminati, va sempre usata prudenza.

Gran parte delle stradine sono interdette al pubblico e solo chi lavora ai consolidamenti può accedervi.
 La chiesa - nella parte più alta - e l'annessa canonica sono stati completamente restaurati e ospitano l'interessante Museo della Miniere.

Dal cortile interno del Museo,  e non solo da quello, si gode un bellissimo panorama della Valdarno Superiore, che le torri di raffreddamento della Centrale di Santa Barbara - strano a dirsi - non turbano affatto. Anzi, forse aggiungono quel qualcosa in più, ad un panorama forse anche troppo ampio.

Del resto, le torri sono state disegnate e realizzate nel 1954 da un grande architetto razionalista, Riccardo Morandi.

Mappa

domenica 3 maggio 2015

"LE PAROLE D'ORO" E L'ACQUEDOTTO NOTTOLINI A LUCCA

Chiunque, percorrendo la A11 vicino prima di arrivare all'uscita di Lucca Est, nota questo acquedotto ed è palese che non si tratta di un acquedotto romano.
L'autostrada lo attraversa, e per permettere questo nel 1928, alla costruzione del tracciato originale, una delle arcate dell'acquedotto fu abbattuto per permetterne il passaggio.
Tuttavia l'acquedotto continuò la sua funzione, perchè tramite una complicata conduttura, il servizio non fu interrotto.
Era invece inutilizzato nel 1962, quando la A11 fu raddoppiata e si rese necessario abbattere altre cinque arcate.

E fin qui abbiamo parlato della cosa che si vede dall'autostrada, quindi senza preoccuparsi di fare la minima deviazione per vedere qualcosa di nuovo.
Ma noi mica ci fermiamo qua...
Intanto abbiamo preso qualche informazione.
Si tratta dell'Acquedotto conosciuto come Nottolini, dal nome dell'architetto che lo ha ideato in epoca Napoleonica, riprendendo un'idea che già era stata elaborata da altri architetti prima di lui, già a partire dal 1732.
Infatti l'acqua dei pozzi, a Lucca, non era di buona qualità, e spesso portava a epidemie.
Bisognava provvedere ad acqua pura e sana ad uso de popolo - perchè le famiglie abbienti già se la facevano portare in cisterne dalle colline - e il progetto si concretizzò quando al governo della città c'era Elisa Baciocchi, nel 1812.
Purtroppo, a causa della caduta di Napoleone  - e di tutti i suoi fiduciari messi qua e là a governare in nome e per conto suo - i lavori furono sospesi nel 1814, e rimasero fermi sino al 1822, quando furono ripresi da Maria Luisa di Borbone, duchessa di Lucca. Nel 1832 l'acquedotto era già in parte attivo, ma i lavori si conclusero solo nel 1851.
La particolarità di questo acquedotto è che approvvigiona acqua da bere e acqua per usi non potabili, provenienti da fonti diverse.
L'acqua più  pura proveniva da delle polle sui monti di Guamo, mentre quella ad uso comune, dalla Serra Vespaiata, dove confluivano due piccoli rii.
Ecco, diamo qualche notizia di questa Serra Vespaiata, perchè è un posto veramente notevole.
Sarà perchè ci siamo stati in una bella mattina di primavera... erba verde; fiori bianchi, e gialli, e viola; cani e bambini che correvano, inebriati dall'aria fresca e pulita.
La cascatella artificiale scendeva silenziosa, i muri erano coperti di antico muschio: ai lati due antiche scale intagliate nella pietra , il rio scendeva gorgogliando delicatamente, passando sotto un ponte di pietra scura dove spiccava una scritta il latino,  brillante al sole come oro.
Ovviamente era ottone, ma si è mantenuto pulito e integro per tutto questo tempo, e la scritta - niente di più che la celebrazione dell'opera realizzata - ha dato il poetico  nome alla località: le parole d'oro.

Tra l'erba verde e soffice, sorgono ancora alcuni edifici di servizio all'acquedotto e che, a differenza del ponte e della cascata, sono in stato di abbandono.
Ma sono così ben integrati nell'insieme, ed il luogo così ben frequentato da famiglie, che ci ha lasciato incantati, riguardo alla fruizione di un luogo di archeologia industriale come è questo.
Vorremmo, noi che siamo appassionati di questo particolare tipo di archeologia, che dovunque gli antichi ( o sarebbe meglio dire semplicemente "vecchi") opifici venissero riutilizzati in tale modo.
Certo, non tutti i luoghi hanno questo soave aspetto: quell'insieme di cose che solo la zona intorno a Lucca possiede, e delle quali non sappiamo raccontare.
Forse è la particolare architettura delle case - intonaco e pietra, colori vivaci e grate di mattoni - o la disposizione degli orti, degli alberi e l'abbondanza d'acqua.
Non lo sappiamo dire...noi veniamo da una Toscana diversa.
Però lo sguardo spazia e tu poi solo dire: sono a Lucca!
Ma sarà meglio chiudere questo intervallo lirico e tornare al nostro acquedotto...
Dalla serra Vespaiata, seguendola la traccia delle antiche tubature in mattoni - e che si è trasformata con il tempo in una graziosa via pedonale - si giunge al tempietto/cisterna di Guamo.

Qui l'acqua veniva ulteriormente filtrata e proseguiva giù per i 3250 metri dell'aquedotto vero e proprio, sostenuto da 460 archi (compresi i 6 abbattuti per il passaggio dell'A11) sino ad un tempietto simile - ma più grande e imponente, in pietra verrucana e stile neoclassico -  che fungeva da partitoio per i vari  utilizzi cittadini.
E' situato proprio sul retro della Stazione Centrale di Lucca, in località San Concordio, e purtroppo è in pessime condizioni.

E' completamente sostenuto da una intelaiatura di tubi innocenti, e dalle porte scardinate si intravede lo sfascio dell'interno.
Persino la scritta in ottone dorato - simile a quella della Serra Vespaiata - è annerita e rovinata.
Lucca, che tanto ha fatto per riqualificare il suo centro storico e le sue immediate adiacenze, dovrebbe dedicare un po' di risorse anche per questo bellissimo monumento.
L'acquedotto vero e proprio,  cioè le 460 arcate, non è in cattive condizioni, anche se in alcune parti ci sono strutture di sostegno alle stesse.
E' anche ben  integrato nel parco fluviale del Serchio, e si può fare una bella passeggiata costeggiandone il percorso.

Mappa