domenica 30 novembre 2014

UNA CONSEGUENZA DELLA LIBERAZIONE: DALLA PINETA MALEDETTA DEL TOMBOLO A CAMP-DERBY

Sono in molti a sapere che, nei pressi di Pisa, esiste una delle più grandi basi militari americane in Italia: è Camp Darby, in un luogo logisticamente provilegiato perchè vicino al porto di Livorno,
all'aeroporto di pisa, alla stazione di Pisa, attraversato da un importante canale (il canale dei Navicelli).
Il suo nome deriva da quello del brigadiere generale William O. Darby, fondatore del corpo del Rangers
Fin qui, la stringatissima storia che un civile può conoscere di questa base militare.
Ma questa location ha basi storiche che nella memoria collettiva sono state ampiamente rimosse.
La zona era quella compresa tra il porto di Livorno, il campo d'aviazione di Pisa, e le colonie del Calambrone, arrivando all'interno fin quasi ai confini della bonifica di Coltano, dove fra l'altro, fu istituito un campo di prigionia per fascisti repubblichini e tedeschi.
Dopo la liberazione nella Pineta del Tombolo, dove più o meno adesso si trovano i circa 1.000 ettari di  Camp Darby, si è scritto una delle pagine più nere della nostra storia.
E "nero" non è detto a caso.
Infatti in questa zona si insediarono i militari della divisione "Buffalo", che erano composti in massima parte da truppe di colore (mentre invece i comandanti erano bianchi, ovvio...).
Nell'atmosfera dell'immediato dopoguerra, questi soldati, discriminati dal loro stesso esercito, si trovarono davanti un paese che aveva bisogno di tutto, e non ebbero alcuna difficoltà a inserirsi nei traffici del mercato nero e del contrabbando, favorendo,  in molti casi, furti ai loro stessi quartier generali, essendo questa la base logistica americana più avanzata, nel Mediterraneo, e che  custodiva una quantità enorme di beni.
In questa pineta avevano costruito una specie di villaggio - nel vero senso della parola, perchè si trattava di capanne fatti di rami e con il tetto di frasche -  terreno fertile per tutti i malavitosi della zona.
C'era un po' di tutto: ladri, contrabbandieri, trafficanti, prostitute, disertori, spacciatori, falsari.
Qui potevano vendere, smerciare, barattare in una specie di zona franca,una "città proibita"  dove si poteva perdere l'anima o la vita,  e dove nemmeno i Carabinieri si azzardavano ad entrare,
Ci sono un paio di film che raccontano questa vicenda: uno è il bellissimo "Senza Pietà" di Alberto Lattuada, che non parla nello specifico di questa storia, ma ne mostra molto bene il contesto.
L'altro, meno bello ma assai più realistico, si intitola "Tombolo paradiso nero".
Sono film dell'immediato dopoguerra, difficili da reperire, ma meriterebbero di essere visti, se non altro per farsi un'idea dell'ambiente e delle condizioni di vita.
Una curiosità: in entrambe i film, il protagonista di colore è sempre lo stesso attore di colore, John Kitzmiller, la cui carriera cinematografica non è andata molto oltre questi due film.
Nel febbraio del 1947 viene firmato un armistizio che prevede la consegna all'Italia delle strutture militari e civili, e lo sgombero delle truppe rimaste: fu necessaria un'azione congiunta tra Carabinieri  e Militar Police, per permettere che  il 14 dicembre di quello stesso anno le ultime truppe lasciassero  la zona.
Nel 1948 viene firmato un accordo Italia-USA che prevede la creazione di un Centro Sbarchi USA.
Intanto dal Porto di Livorno (e poi ovviamente dal Tombolo) continuano a transitare un'enorme quantità di aiuti del Piano Marshall, e gli affari continuano a prosperare...
Nel 1951 la Pineta del Tombolo viene concessa agli Stati uniti con un trattato bilaterale, e nel 1952 assume il nome di Camp Darby, e diventerà la base per il ritiro ed il reimbarco dei soldati, degli equipaggiamenti e degli approvvigionamenti.

Non vogliamo entrare nel merito di quello che la base può essere stata negli anni successivi: voci di custodia di armi nucleari, di transito di prigionieri di guerra, di torture e uccisioni di persone scomode...  Sono tutte cose che, pur interessandoci, non vogliamo trattare in questo contesto.
Sicuramente è una base logistica di enorme importanza, dove mezzi e munizioni e rifornimenti vengono custoditi tutti insieme, tanto che un'intera brigata può trasferirsi - ipotesi -in medio oriente senza portarsi dietro nemmeno un pacchetto di fazzoletti di carta.
E' altrettanto  certo è che quest'area enorme, proprio per la presenza della base,  si è mantenuta integra dal punto di vista naturalistico: qui vivono ancora molti animali selvatici, che nella vicina pineta libera - nel senso di non recintata con il filo spinato - non vivono più da molti anni, e la vegetazione somiglia molto a quella voluta dal Granduca di Toscana - il Lorena, non il Medici - che ne volle la piantumazione,  alla fine del XVIII secolo.

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domenica 23 novembre 2014

IL TRASMETTITORE DI MARCONI E COLTANO

Coltano è uno di quei luoghi, che tanto ci piacciano, a metà tra terra e acqua.
Come il Padule di Fucecchio (vedi link) o l'ex lago di Bientina (vedi Link), Coltano è il risultato di una bonifica, fatta però in epoca fascista.
Il luogo era tuttavia una riserva dei caccia dei Medici, che, tanto per cambiare, avevano qui una villa.

 Anzi, un "casino di caccia", così chiamato perchè era un'abitazione più semplice e rustica, adatta ai gentiluomini che qui potevano coltivare la loro passione venatoria: meno alle dame, perchè mancante di tutti i confort egli agi che una vera e propria villa doveva avere. 
Tuttavia, questa è stata una delle poche ville apprezzate e abitate anche dai Lorena, rispetto allo sterminato patrimonio immobiliare lasciato loro dai Medici.
 Infatti i Lorena, da buoni tedeschi, consideravano queste ville come un inutile e dispendioso fardello, ed erano poche le abitazioni che hanno continuato a frequentare durante i loro Granducato.
Coltano era una di queste.
Il capoluogo del borgo rurale, è situato su un piano lievemente rialzato rispetto alla ex palude, adesso in gran parte coltivata, e si chiama Palazzi, 
Qui, oltre alla villa, sorgono le scuderie, realizzate su progetto del Buontalenti, ed alcune altre abitazioni rurali.
 Il luogo è solo in apparenza desolato: la sua natura di ex-palude si vede molto bene: dalla terra pare salire, insieme ai lievi vapori dell'acqua che trasuda dalla terra nera e grassa, una sensazione di pace antica, estranea alle tradizionali campagne toscane, più mosse da colline, piccoli boschi, fondovalli stretti e strade tortuose fiancheggiate da cipressi.
Somiglia forse alla  pianura padana, ma più raccolta, più intima. Nemmeno troppo lontano si vedono i monti Pisani. E' come essere in un lago, invece che nel mare: si, la proporzione è questa!.
Coltano ha anche un record, di cui siamo rimasti un po' stupiti. Nel suo territorio infatti, transita il più lungo viadotto autostradale d'Italia, lungo ben 9.619 metri.
In realtà si tratta più di una sopraelevata: non era certamente sicuro costruire la A12 direttamente su questi terreni paludosi, per cui fu ritenuto più sicuro fare questo viadotto, che ha il pregio di passare sopra i territori geologicamente meno stabili.
Nel territorio di Coltano, alla fine dell II guerra Mondiale, fu gestito dalla V° armata americana di stanza in Italia, un campo di prigionia per prigionieri appartenenti alla Repubblica Sociale, o militari tedeschi o in generale collaboratori del precedente regime. Si trattò di un campo provvisorio, che durò una sola estate, tra maggio e ottobre del 1945.
Altra storia dimenticata  che riguarda Coltano: 
A pochi chilometri dalla ville medicea, sorge un centro, voluto e gestito da Guglielmo Marconi in persona, dal quale, nel 1931, diede il segnale di accensione delle luci sul Cristo Redentore di Rio de Janeiro.
Il centro fu inaugurato nel 1911, sui terreni all'epoca di proprietà della Casa Savoia e che, proprio a causa della sua natura paludosa, si prestava meglio di altri alla trasmissione a onde lunghe.
Inoltre, risultava al centro del Mediterraneo, quindi nella zona più adatta per poter  inviare il segnale a quelle che allora erano le basi coloniali italiane: la Libia e l'Eritrea. Il centro fu utilizzato anche dalla Regia Marina per la trasmissione alle navi.
 Furono costruite delle torri enormi, alte oltre 75 metri, con dei basamenti immensi, che sono l'unica testimonianza rimasta, visto che le torri furono minate e abbattute dai tedeschi dopo il 1943, ma che tuttavia non siamo riusciti a localizzare.
La palazzina di Marconi è ancora in piedi, sia pure in condizioni pietose: diroccata, invasa dalle erbacce, spogliata di tutte le attrezzature ed arredi. Un vero scempio, alla quale nemmeno l'autorità e l'impegno della figlia di Marconi, Elettra, è riuscito a porre rimedio.
Era conosciuto all'estero, per essere il più importante centro di trasmissione in Europa, eppure l'Italia l'ha completamente dimenticato. E' proprio la classica storia sparita dalla memoria collettiva, come purtroppo il nostro paese ci ha abituato a fare.
Tutto questo ci ha ispirato delle amare riflessioni: forse troppe vestigia, troppi ruderi antichi, troppe opere d'arte ci hanno viziato, e portato a fare una scelta tra quello che può essere valorizzato e quello che può essere dimenticato o distrutto.
In un altro paese una storia del genere sarebbe stata insegnata nelle scuole, mentre forse, nemmeno chi abita nella vecchia palazzina Rai, conosce la storia del posto.

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domenica 16 novembre 2014

LE CHIESE MAGICHE DEL MONTALBANO

Girovagando, un po' in tutta Italia si trovano "Ponti del Diavolo", tipo quello che si trova sul Serchio, andando verso la Garfagnana, oppure quello di Bobbio, che attraversa il fiume Trebbia, poi ne conosciamo un altro nel Bolognese, e chissà quanti altri ce ne sono.
A San Gimignano esiste pure una Torre del Diavolo: si tratta di costruzioni che, nella memoria popolare "sono stati costruiti in una notte". 
Si va a letto la sera e sul fiume non  c'è niente, ci si sveglia la mattina - anche prestino, perchè ci sono da lavorare i campi - e, paff!, eccoti il ponte!
Mica male come costruttore, questo Diavolo... ci sarebbe un'autostrada o due da fargli finire! Dov'è quando serve?!
Chissà come mai, in epoca recente, il Diavolo ha smesso di costruire. 
Non è che era - anche a quei tempi - un modo come un altro per evitare di pagare ICI, IMU, TASI o come cavolo si chiama adesso?!

Tuttavia, nel Medioevo non era solo il Diavolo a costruire.
Ci si mettevano anche i Santi!
Sul Montalbano, ci sono infatti tre antiche chiese, legate da una bellissima leggenda: 
Tre monaci francesi, provenienti dal Monastero di Cluny-  sede di una prestigiosa comunità Benedettina, - decisero di stabilirsi in questi luoghi.
A quei tempi, parliamo del X° secolo, il Montalbano era certo un luogo selvaggio, dove era facile imbattersi nei banditi o in qualche animale feroce.
I Monaci decisero quindi di costruire ognuno  una piccola chiesa, con annesso un romitorio, che poteva servire anche da spedale per assistere i viandanti: infatti si collocavano tutti su un asse viario altomedioevale, che collegava l'Arno nel suo punto più stretto - la Gonfolina - da Firenze a Pistoia.
Questi tre monaci si chiamavano Alluciem, Justis e Barontes.
la leggenda narra che chiesa e romitorio furono costruiti tutti e tre in una sola notte, e visto che avevano fatto il voto di povertà, avevano una sola mestola per la calce in tre, e se la passavano per costruire i tre edifici.
Qui il Diavolo davvero non c'entrava niente, visto che erano tre santi.
La prima è San  Giusto (Justis) al Pinone (nel comune di Carmignano)
L'edificio, non molto lontano dalla strada principale,  è stato ricostruito parzialmente nel XIX secolo, ed  è visitabile solo dall'esterno: infatti  la chiesa è chiusa al culto ed in  stato totale di abbandono, pur essendo proprietà privata.

La seconda è San Baronto (Barontes), nell'omonima frazione del comune di Lamporecchio; 
La chiesa originale fu consacrata nel 1018, e ne resta una piccola cripta,  ma quella che si può vedere adesso è stata ricostruita nel secondo dopoguerra. Però è una chiesa parrocchiale, e quindi ancora vitale.

Sant'Allucio (quindi Alluciem) a Tizzana (poi diventato comune di Quarrata).
Purtroppo quest'ultima, che rispetto alle altre è abbastanza lontana dalla strada asfaltata, ho subito la sorte peggiore. La torre è quasi distrutta, e del romitorio, che è stato adibito per secoli ad uso rurale,  rimangono solo pochi ruderi, divorati dalle erbacce. 

Ora, questi tre luoghi non sono lontanissimi tra di loro, ma è evidente che i tre santi non potevano passarsi la cazzuola tra di loro, specialmente pensando alla viabilità dell'epoca a cui si fa riferimento.
Il miracolo era giustificati, ai tempi della costruzione dei tre edifici sacri!


domenica 9 novembre 2014

LE CERTOSE IN TOSCANA - CALCI


In Toscana ci sono quattro Certose, cioè edifici monastici fondati sulla regola creata da San Bruno nel 1084 , e che prende il nome dal massiccio della Certosa, in Val'd'Isere, dove San Bruno si rifugio' insieme a sei compagni per condurre vita eremitica.
Particolarità dell'ordine Certosino è quello di essere composto da "solitari riuniti come fratelli", per cui è vero che vivono insieme secondo delle regole, ma in clausura ed in silenzio.
Una delle più bei monasteri certosini, è sicuramente questo, a soli 10 km da Pisa ( e infatti è conosciuta anche come Certosa di Pisa), ma  attualmente nel comune di Calci.

Il nome della località dove si trova la Certosa, ai piedi del Monte Serra, è tutto un programma: Val Graziosa. Vi possiamo assicurare che mai nome fu più appropriato!
La certosa fu fondata nel 1366, ma la gran parte dell'architettura dell'edificio è di chiara ispirazione barocca, molto lussuosa.
Una particolarità sono i pavimenti, tutti in marmo di Carrara, in tre tonalità bianco, nero e grigio.
Sono stati posati tutti in maniera prospettica, per cui cambiano a seconda del punto da cui si guardano. 
Ogni Cappella - e sono 14, una per ogni Padre Capitolare - ha un pavimento dal disegno diverso, ma sempre con le caratteristiche appena descritta.
Inoltre ogni cappella è riccamente affrescata, e adorna di un altare in marmo.
I Padri, come si è detto, erano 14. E Tanti rimanevano, nel senso che non ne poteva essere ammesso un altro se non per la morte di un suo predecessore. Erano sempre nobili, o ricchi, o entrambe le cose: il loro compito era esclusivamente quello di pregare, ed erano legati al vincolo della più stretta clausura. I loro alloggi davano su questo chiostro - uno dei tre della Certosa -

e ne uscivano solo la domenica a pranzo, quando tutta la comunità, Padri e fratelli conversi - quelli che venivano dal popolo, che con il loro lavoro mantenevano tutta la comunità e che non erano legati al vincolo della clausura - si riuniva nel magnifico refettorio, anche quello affrescato in maniera prospettica.
Solo dopo il pranzo della domenica, i frati avevano il permesso di conversare tra di loro per un'ora. Tutto il resto del tempo dovevano passarlo in silenzio, secondo la regola certosina.
Passavano tutta la settimana nelle loro celle, e ognuna di loro aveva una porticina che dava sul chiostro, da dove uno dei fratelli conversi forniva il cibo per la giornata.
Abbiamo visitato una delle celle, e sinceramente non era poi così piccola. L'entrata dal chiostro, dava su un giardino, non troppo piccolo, e salendo due gradini si entrava in una stanza dove il padre mangiava e studiava.

Accanto c'era la camera da letto - tutte le finestre guardavano sul giardinetto interno . poi c'era una stanza in cui i padri potevano assolvere all'obbligo di un lavoro manuale, come previsto dalla regola,   e in ultimo c'era il bagno.
Sinceramente, abbiamo visto appartamenti moderni assai meno spaziosi!
I fratelli conversi invece, provenivano dal popolo e svolgevano i lavori che permettevano al monastero di sopravvivere. Quindi lavoravano la terra, allevavano il bestiame, cucinavano, pulivano e in piu' pregavano.
Può sembrare una distinzione di classe - ed in effetti per la nostra mentalità moderna lo è - ma per l'epoca non era così. Nessuno pensava che un nobile potesse svolgere un lavoro manuale, e inoltre per la mentalità medioevale, pregare era un lavoro come un altro.
La suddivisione era chiara: i nobili comandavano - e combattevano, dove era necessario - il clero pregava ed il popolo lavorava. In questo modo ognuno aveva la sua occupazione, accettata e codificata,  e ogni strato della popolazione dipendeva dall'altro. Nessuno si sognava di mettere in discussione questo stato di cose: l'epoca delle rivendicazioni sociali  nell'XI secolo,  quando è stata creata la figura del fratello converso, all'interno dell'ordine certosino, era assai lontana da venire.
Comunque, i fratelli conversi avevano lo stesso degli appartamenti come quelli dei Padri, forse - ma di poco - più piccoli.
I padri vivevano in clausura, mentre invece, per ovvie ragioni, la regola non valeva per i fratelli conversi.
Tutte e due le figure erano invece tenute ad osservare il più rigoroso silenzio.
Esiste a  questo proposito un bellissimo film, girato nella grande Grande Certosa a Grenoble, che si intitola appunto "Il grande silenzio"e che dà un'idea della vita certosina.
Sono due ore di film, quasi completamente muto. Ma se qualcuno ha voglia di vederlo, è una grande esperienza!
La Certosa, che era forse la più importante del Granducato, aveva un'ala completamente dedicata a foresteria, dove i parenti dei Padri, ma anche nobili desiderosi di un'esperienza mistica, o semplicemente  di tranquillità, potevano trascorrere alcuni giorni.
Vista la particolare attenzione che il Granduca (stiamo parlando di Leopoldo di Lorena, non dei Medici...) aveva per il monastero, il Priore fece costruire un appartamento, detto appunto "Granducale" dove il Lorena poteva trascorrere il suo tempo quando era in zona.

L'appartamento, che ha ancora i suoi arredi originali, non è grande ma ha una vista da urlo: dalle sue ampi finestre, oltre a quelli che, ai tempi di maggior splendore del monastero, erano gli orti, si vede in lontananza il porto di Livorno, e girandosi di poco, la cupola del duomo di Pisa, nonchè la torre pendente!
I monaci hanno vissuto qui in comunità sino al 1972.
Dopo qualche anno di abbandono, l'edificio è stato rilevato dall'università di Pisa, che ha qui gran parte dei suoi uffici e magazzini.
Il possesso dei quattro quinti dell'edificio da parte dell'istituzione Universitaria, permette la visibilità della parte visitabile.

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