lunedì 24 agosto 2020

I CANTIERI NAVALI DI LIMITE SULL'ARNO

Ad oggi pensare a Limite sull'Arno come un luogo di cantieri navali lascia un po' perplessi. Eppure non si deve tornare indietro di moltissimi anni, perchè gli ultimi cantieri si sono trasferiti sulla costa in alcuni casi solo una ventina di anni fa.
Ma cominciamo dall'inizio.
Limite sull'Arno, insieme a Capraia Fiorentina, costituisce il comune di Capraia e Limite. Non si tratta di un'unione di comodo realizzata di recente; i due borghi, ben distinti e con propria personalità, formano un comune di cui Limite è capoluogo, da molti, molti anni. 
Capraia (storica) sorge su uno sperone roccioso, sul lato destro del fiume Arno, ben visibile dalla sponda opposta che è comune di Montelupo Fiorentino, da cui il famoso detto: " da Montelupo vedea Capraia" e poi noi abbiamo sempre sentito dire anche, a completamento della frase "Cristo li fa e poi li appaia".
(Non sappiamo se la frase fosse tutta propriamente di Dante, ma ci pareva doveroso citarla).
Torniamo a Limite sull'Arno.
Il nome è legato al fatto che sorge(va) sul "limite" di tre importanti giurisdizioni civili ed ecclesiastiche, Pistoia, Firenze e Lucca.
Abbiamo saputo  questa cosa dal sito del comune di Limite, e ci è sembrata una cosa importante da conoscere, perchè spiega il motivo di un nome piuttosto particolare.
Quella dei cantieri navali, per Limite è una tradizione antichissima, che risale al 1575, quando iniziò l'attività di una famiglia, che proprio per il loro lavoro che consisteva nel battere continuamente dei martelli su dei ferri, e provocare un conseguente rumore, fu chiamata Picchiotti.
Ma come mai questi cantieri navali nascono in una località a 80 chilometri dal mare?
Prima di tutto, a quei tempi il fiume Arno era navigabile, e costituiva un'importante - ed economica - via di comunicazione per il trasporto delle merci, oltre tutto molto più sicura delle strade, specie quelle di pianura, infestate dai briganti.
Inoltre Limite aveva alle spalle il Montalbano, il che significava grandi estensioni di boschi, che hanno permesso l'approvvigionamento del legname, indispensabile per qualità e quantità, ai vari tipi di lavorazione.
Perchè naturalmente non tutti gli alberi andavano bene per la costruzione dei vari navigli, che potevano essere traghetti, barchini da rena, barchini da caccia, navicelli, barche da pesca o da diporto.
Il legno doveva essere di buona qualità, che non marcisce, e quindi di piante particolari, che a volte dovevano essere "importate" da altre zone perchè non presenti sul posto; se poi si trattava di imbarcazioni particolarmente grandi, si dovevano interpellare squadre di boscaioli, che dovevano cercare piante già curvate secondo il progetto di costruzione, in modo che la curvatura a caldo del legno non fosse troppo gravosa per il materiale.
Gli addetti ai lavori erano pochi, e scelti. Chi aveva costruito l'imbarcazione poi doveva provvedere anche alla sua manutenzione quando, dopo due, tre anni, si richiedevano i primi interventi.
Non siamo in grado di scendere troppo nel dettaglio tecnico delle varie lavorazioni. sappiate però che una barca in legno viene costruita adesso proprio come cento anni fa, la lavorazione è proprio la stessa.
Ritorniamo al cantiere più famoso, il cantiere Picchiotti, che ha continuato il suo lavoro in riva all'Arno sino al 1944, quando ha trovato più conveniente trasferirsi a Viareggio. Dai suoi cantieri sono uscite imbarcazioni di ogni tipo, sia fluviali che marittime, perchè ha fornito la Marina Italiana,  costruendo tra l'altro anche i MAS per la I° e la II° Guerra Mondiale, e anche splendide imbarcazioni da diporto!
Poi negli anni '90 è entrato a far parte del gruppo Perini Navi.

Naturalmente Picchiotti non era l'unico cantiere navale di Limite. Nel 1830 nacque il cantiere Serafini, che però non riuscì a superare la distruzione operata dalla II° Guerra Mondiale, o il Cantiere Arno, nato nel 1907 e trasferitosi a Pisa nel 2000, la Cooperativa Artieri, nata nel Secondo dopoguerra, e operante nel settore navale sino al 1956, quando si è riconvertita nel settore costruzione mobili, i Cantieri Salani, nati nel 1949 e ancora operanti, specializzati nel settore delle barche da canottaggio.
Ecco, chiudiamo questo elenco di aziende nautiche, ben consapevoli di tralasciarne molte, sia di ormai chiuse da anni, che ancora attive, per parlarvi del  canottaggio. 
Perchè qui esiste la più antica società di canottieri d'Italia, la "Società Canottieri Limite 1861" che ha nel suo nome, l'anno di costituzione, appunto il 1861.
Si tratta di una società gloriosissima per storia e risultati sportivi, collegata ad un notevole "Centro Espositivo della Cantieristica Navale e del Canottaggio"  che è visitabile su prenotazione, presso la sede storica della Società, in Piazza C. Battisti.


Noi abbiamo avuto la fortuna di poter fare una visita "sui generis" mentre il centro era in ristrutturazione, guidati da Tito, un signore gentilissimo e di grande competenza.
Lui ci ha illustrato i vari metodi di lavorazione, fatto vedere i vari attrezzi e minuterie, che ancora  - appunto - sarebbero necessari ai maestri d'ascia per costruire una nave in legno anche ai giorni nostri.


Ci ha poi parlato della vita durissima degli alzaioli, coloro che trascinavano a spalla, dalla riva, le imbarcazioni che risalivano il fiume.
Confessiamo che questa cosa ci ha sorpreso, ma il nostro Mentore ci ha chiarito con un sorrisetto che le barche andavano verso il mare con la corrente, ma con che cosa tornavano verso le città? 
Certo, quelle piccole avevano i remi o le vele, ma le grandi navi merci?
Le navi merci si fermavano presso i porti fluviali che allora erano presso ogni paese che si affacciava sull'Arno. Dopo essere partita da Firenze, si fermava a Signa per i cappelli di paglia, poi a Montelupo per la ceramica, poi a Santa Croce per il cuoio... in ogni porto prendeva la merce per portarla fino al mare e spedirla in tutto il mondo.
Ma poi come tornava a Firenze? Con gli alzaioli, che la trascinavano tramite le funi lungo gli appositi camminamenti tracciati sulle rive dell'Arno.
Era un lavoro al limite del disumano, tanto che gli uomini - e le donne - chiamati a praticarlo,perdevano la loro dignità, diventando delle bestie da soma.
Lo ritrae mirabilmente Telemaco Signorini in un suo celebre quadro, chiamato proprio "gli alzaioli".

Fonte www.cultora.it


Abbiamo poi potuto ammirare la straordinaria vasca da allenamento - come chiamarla altrimenti? - dove chi si avvicina allo sport del canottaggio può allenarsi a remare insieme, magari ad altre sette persone in modo da trovare la giusta sincronizzazione.


Infatti, in barca senza la dovuta esperienza, quello di trovarsi in acqua a gambe in sù, è più di un rischio!

Inoltre bellissimi modellini raffiguranti imbarcazioni costruite dai vari cantieri navali limitesi.


Ci Ha colpito molto questa splendida riproduzione del brigantino Florette, costruito nel 1920 a Limite dai cantieri Picchiotti, armato poi a Viareggio e costruito per il trasporto del marmo dalle cave di Carrara, verso i porti del Mediterraneo.


E' stato uno degli ultimi velieri del mediterraneo progettato e costruito senza motore, e pensate! è ancora in esercizio! E' stato acquistato da un armatore che lo ha trasformato in nave da diporto, pur mantenendo le sue caratteristiche originarie. Adesso effettua crociere turistiche nel mediterraneo.

Se volete visitare il centro, dovete prima chiamare l'ufficio cultura del comune di Limite 0571/978135/6

Se invece vi domandate perchè l'Arno non sia più navigabile, la maggior parte della colpa è dell'Autostrada del Sole, per costruire la quale si sono avvalsi dei materiali tratti dal fiume, la cui linea di navigabilità si è abbassata in quegli anni di molti metri.








domenica 16 agosto 2020

ANCORA SULLA FERROVIA PORRETTANA, DUE CAPOLAVORI DI INGEGNERIA

Rieccoci sulla Ferrovia Porrettana.
Sappiamo che penserete che ci siamo un po' fissati, ma su questa ferrovia ci sarebbe da scrivere un'enciclopedia in 12 tomi da 500 pagine ciascuno. 
Ogni singola traversina ci racconta una storia.
Mettetevi a vostro agio: ne avremo ancora per un po'.
Vorremmo parlarvi della Galleria di Piteccio, un autentico capolavoro - sia pure un po' pasticciato - dell'ingegneria ferroviaria dell'epoca.
Vorremmo ricordarvi infatti che la ferrovia Porrettana è stata inaugurata nel 1864 e che ha costituito l'unico collegamento tra i due versanti dell'Appennino finchè nel 1934 non entrò in funzione la Direttissima.
Riassumiamo in due parole: quando fu progettata la Porrettana, l'Austria impose al Granduca (che era pur sempre un Asburgo-Lorena) di far transitare la ferrovia da Pistoia, che Vienna considerava strategica per il suo esercito.
Purtroppo le pendenze erano proibitive per le ferrovie, specie per quelle di allora, arrivando ad essere circa il doppio di quelle previste per altre soluzioni, che poi furono comunque adottate.
Comunque sia, progettazione e parte dei lavori furono realizzate in ambito granducale e ormai i lavori erano troppo avanzati per fermarli.
Il Re Vittorio Emanuele II inaugurò la ferrovia, orgoglio della Nazione, il 2 Novembre 1864.
Ma se tanti problemi si erano presentati in fase di progettazione e realizzazione, altrettanti se ne presentarono all'utilizzo.
Torniamo alla nostra galleria di Piteccio.
Essendo la parte in maggior pendenza di tutto il tracciato - stiamo parlando del 23 per mille - si sviluppa per tutta la sua lunghezza di 1750 metri in forma elicoidale; una soluzione che decenni dopo è stata ripresa per la ben più lunga galleria del San Gottardo.
Il problema più grande di questa galleria è che il foro di entrata e quello di uscita erano orientati all'incirca dal solito lato. Questo non sarebbe un problema adesso, ma lo era a quei tempi con le locomotive a vapore: infatti quando soffiava il vento il fumo veniva respinto all'interno del tunnel da entrambe i lati, anzichè fuoriuscirne.
La situazione era talmente disastrosa che alla fine della galleria, sostavano due macchinisti, diciamo così "di riserva" pronti a saltare sul treno al posto dei due che invece saltavano giù, intossicati dal fumo.
Il problema vero era per i passeggeri, che non potevano effettuare questo cambio e che rischiavano di morire asfissiati. E infatti la linea non portò affatto l'incremento sperato in zona dal turismo, proprio a causa di questo motivo, e fin dall'inizio fu più che altro una ferrovia destinata al trasporto merci.
Nel 1881 fu creata l'opera di cui intendevamo parlarvi. Magari a chi ci transita adesso in treno sembra semplicemente di passare da tre gallerie molto ravvicinate, ma non è così: è la stessa galleria che è stata "scoperchiata", nel vero senso della parola, per permettere al fumo di fuoriuscire.
Sembra incredibile vero?
Vi domanderete: e che differenza c'è tra tre gallerie molto ravvicinate e una sola galleria alla quale sono stato tolti due "tappi"?
Pensateci... una galleria dentro una montagna è un tutto unico, semplicemente gli togliamo il coperchio, come ad una pentola, ma i lati rimangono. 
Mentre tre gallerie molto ravvicinate sono tre piccole montagnole dove, passando, io non troverò niente sopra di me, ma nemmeno a destra e a sinistra.
Non è una cosa banale come potrebbe sembrare!
Comunque sia, anche questa soluzione non fu sufficiente.
Nel 1899 allora costruirono un ventilatore (Il Ventilatore Saccardo) installato all'imbocco sud che spingeva aria fresca nella galleria.
Ma indovinate? l'aria fresca ed i fumo arrivati alla prima apertura salivano in alto, lasciando gli altri due tronconi a soffocarsi.
Allora furono messe delle lamiere tra i tronconi del tunnel per ricrearne la continuità.
(non potevano pensare prima al ventilatore?!)
Poi vabbè, nel 1927 la linea venne elettrificata e il problema si risolse da solo.
A quel punto tolsero le lamiere, almeno si potevano vedere le due opere d'arte ingegneristica che sono le due trincee. (così si chiamano)

La trincea di Vignacci ha anche la particolarità che al suo interno ha la minuscola casetta del  sorvegliante.

Questa casetta è costruita all'altezza del piano binari, dove il sole non arriva praticamente mai - ed infatti è completamente coperta di muschio - e per arrivarci c'erano degli scalini di sasso infissi lungo le pareti che scendevano dalla montagna! Ci sarebbe davvero piaciuto conoscere il tizio che abitava in questa casetta e dirgli: "il guardiano del faro in confronto a te è un quaquaraquà".
Inoltre per scavare questa trincea è stato necessario deviare il corso del torrente Castagno, 



con tutta una serie di opere idrauliche non indifferenti per l'epoca.



Sempre a proposito di Piteccio, il viadotto a tre arcate originario era veramente un'opera straordinaria ed era esteticamente bellissimo;  purtroppo è stato distrutto dai  tedeschi durante la loro ritirata nel 1944. 
Sono rimasti un paio di basamenti di piloni del vecchio ponte, 


che esprimono ancora una notevole potenza,
ma anche quello che c'è adesso, vi possiamo assicurare che non è niente male!



















domenica 2 agosto 2020

LA STAZIONE PIU' BELLA DEL MONDO

Si tratta dell'importantissimo nodo ferroviario di Chicago (Illinois)?
O della Banhof di Frankfurt am Main?
Che sia la Stazione di Firenze Santa Maria Novella, progettata dal famoso gruppo dei cinque nel più puro stile razionalista?
Oppure una delle innumerevoli stazioni di Londra, come la King's Cross a Camden, per esempio.
No, siete fuori strada. E' questa: Castagno di Piteccio.


 
E credeteci, negli ultimi tempi di stazioni ne abbiamo viste parecchie.
Ma questa ci ha veramente stregati.
Per arrivarci si percorre questo straordinario vialetto di tigli, 


ancora profumati in luglio, perchè si sa, Castagno è una stazione climatica, 500 mt sul livello del mare!



La stazioncina è un oasi di frescura in un abbagliante mattina di luglio, linda e fresca come un lenzuolo di lino, stirato sino a togliergli ogni piegolina.
La stazioncina è composta di una sola stanza, ma è perfettamente pulita, i cartelli intorno sono stati amorevolmente lavati, i muri recentemente imbiancati di rosa geranio, nelle aiuole ci sono fiori che qualcuno innaffia con costanza e tiene puliti dalle erbacce.


Non c'è un sasso fuori posto.
Persino i servizi igienici, che sono a parte, lontano dalla costruzione principale, sono strati rimbiancati di fresco in un bel giallo carico.
E - meraviglia delle meraviglie - la porticina in legno dell'edificio principale si apre alla leggera pressione delle nostre mani, rivelandoci un minuscola ma linda sala d'aspetto con due panche di legno, l'orario del treno alla parete e un cestino per la carta. Nient'altro.


 Ah, sì... in un angolo, pudicamente nascosti, ci sono gli attrezzi per mantenere pulita questa piccola "chiesa".
Non osiamo violare la sacralità di questo luogo entrandoci: ci limitiamo a fare due foto dalla soglia e richiudiamo, rispettosamente.
La Ferrovia risale al 1864, ma la stazioncina è stata inaugurata solo il 20 agosto del 1960, anche se il treno ha iniziato a fermarsi qui dal 1958...ma era solo una fermata. Giustamente gli abitanti di Castagno hanno sentito il bisogno di una loro stazione, per incentivare il turismo, che allora era una fonte importante del reddito della zona, mentre le fonti ci dicono che a Castagno, nel 2010, transitavano 9 persone. Non abbiamo notizie più recenti. (fonte wikipedia)
Decidiamo di tentare l'avventura, e rassicurati dal fatto che il prossimo passaggio di treno è previsto tra circa un'ora, ci avventuriamo oltre la fine del marciapiede della stazione, attirati dall'ipnotico occhio di questa lugubre luce nella galleria!

Mappa