domenica 27 settembre 2015

ERA IL 1994 QUANDO IL LAGO DI VAGLI FU SVUOTATO PER L'ULTIMA VOLTA...

Vi è mai capitato di rimettere in ordine un cassetto, e di passare le due ore successive a guadare vecchie diapositive? Certo che si.
Anche noi, cercando di rimettere in ordine delle vecchie pellicole, abbiamo messo le mani su un vero tesoro, di cui avevamo dimenticato di essere in possesso.
Infatti, siamo stati tra i fortunati che nel 1994 sono stati a visitare Fabbriche di Careggine, l'antico paese sommerso sotto al lago di Vagli (Lucca), e che dal 1948, anno del completamento della diga, è stato vuotato quattro volte per la manutenzione e la pulizia del fondo.
L'ultima volta, appunto, nel 1994.
Il lago di Vagli - che è un lago ENEL -  è stato formato nel 1947, dallo sbarramento del torrente Edron.
Ha sommerso il paese di Fabbriche di Careggine, un paese fondato nel XIII secolo, e che ospitava, come altri da queste parti, una colonia di fabbri provenienti dal nord Italia. Di queste comunità dedite alla lavorazione del ferro e provenienti dall'italia del nord ne abbiamo già parlato nel post dedicato Fabbriche di Vallico (vedi link) che ha una storia simile (ma i fabbri erano bergamaschi...).
Si trattava di un paese di tutto rispetto, che verso la metà del XVIII secolo era assai fiorente, essendo tra i maggiori centri per la lavorazione del ferro di tutto il Ducato di Modena.
Alla fine dello stesso secolo, con la decadenza della Via Vandelli (vedi link) gli abitanti del borgo dovettero gradualmente dismettere l'attività di fabbri ferrai e dedicarsi alla pastorizia e all'agricoltura. Solo all'inizio del novecento fu costruita una piccola diga sul torrente Edron, per produrre l'energia necessaria alla lavorazione del marmo, nelle vicine cave.
Il progetto di costruire la diga c'era già in epoca fascista, ma fu solamente dal 1947 che fu costruita l'attuale diga.
Fabbriche di Careggine, che contava allora solo 146 abitanti, fu interamente sommerso, e i residenti furono spostati in un villaggio, appositamente costruito a Vagli di Sotto, e che riproduce fedelmente il tessuto urbanistico del villaggio sommerso.
Il lago è l'invaso artificiale più grande della Toscana, ma quando ci siamo capitati noi di recente, era almeno dieci metri sotto il suo livello abituale. Non tanto, tuttavia, da far vedere il campanile della chiesa (sempre che sia ancora in piedi).
Sul lago, posizionato laddove passava l'antica via Vandelli, è situato un ponte a tre arcate, progettato all'architetto Riccardo Morandi.

c'è in costruzione anche un ponte tibetano (!) - ma in cavi d'acciaio, tranquilli - che porta a questo straordinario gruppo di statue, raffigurante il capitano De Falco (quello del:" torni sulla nave, ca@@o") e di Schettino, raffigurato con le orecchie di coniglio (ah,ah). Un paio di metri sotto c'è anche una statua di un coniglio, e una bozza della statua di di Falco.

Un gruppo marmoreo a dir poco sorprendente!

Ma la cosa più interessante sono i ricordi che abbiamo della visita al paese fantasma.
La cosa che ricordiamo maggiormente era il caldo soffocante che abbiamo sofferto.
Era il 1994, quindi in tempi ancora esenti dagli anticicloni africani.
Bisogna però ricordare che ci si trova sul fondo di un lago: solo melma solidificata, un opprimente catino assolutamente privo di qualsiasi forma di vegetazione e senza il minimo alito di vento.

Dopo una lunga strada, da percorrere a piedi sotto un sole martellante, si arriva al paese, straordinario monumento di fango in mezzo ad un paesaggio lunare.
Sembrava un miraggio, ed  infatti la sensazione di trovarsi in un deserto era fortissima!

Le case erano tutte prive del tetto, mentre era ancora in piedi la cupola della chiesa; unica possibilità di godere di un po' d'ombra, ma anche l'unico posto dove il fango non si era solidificato, e quindi comunque assai poco praticabile.


La cosa più straordinaria era tuttavia, l'antico cimitero. Isolato sulla parte opposta di un pendio, e perfettamente riconoscibile nella sua architettura.
Chiudendo gli occhi e concentrandosi un po', si poteva immaginare lo stesso luogo coperto di boschi, con il torrente Edron che scorreva nel mezzo. I fabbri lavoravano e si sentiva il martello battere sull'incudine, la vecchietta che si recava al cimitero, il prete che usciva dalla sue chiesa, la ragazzina che portava a spasso le oche...riapri gli occhi e ti trovi nel fondo di un girone dantesco.
Affascinante proprio nella sua precaria provvisorietà, in quel riemergere periodicamente dalle acque, come un ricordo, che suona come un monito a tutti quei paesi che sono morti, anche senza essere sommersi dall'acqua; per loro il riscatto è sempre possibile, mentre per il povero Fabbriche di Careggine ormai non c'è niente da fare.

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domenica 20 settembre 2015

UN PARADISO SULLE COLLINE DI SESTO FIORENTINO


Vi è mai capitato uno di quei giorni  in cui tutte le mete sembrano troppo lontane, e non si riesce a trovare un luogo dove andare, nemmeno a spremersi il cervello?
In questi casi noi ricorriamo alla moto, ed al fatto che in moto non c'è bisogno di avere un posto preciso dove andare, un meta identificata, perchè in moto il piacere nasce dal mettersi in viaggio, e la destinazione può essere anche solo quella di andare in giro, portati solo dal capriccio dell momento.
Proprio in una di queste occasioni, ci siamo ritrovati verso Sesto Fiorentino, e abbiamo cominciato a percorrere le strette stradine che portano verso le campagne.
Il territorio di Sesto Fiorentino è prevalentemente pianeggiante, ma si estende anche sui rilievi di Monte Morello, l'unica vera montagna della conca fiorentina.
Ecco, proprio sulle pendici di Monte Morello, abbiamo trovato il paradiso di cui parliamo nel titolo, tra le frazioni di Sesto Fiorentino.
Certo, a proposito dell frazioni di Sesto Fiorentino, non vogliamo parlarvi dell'Osmannoro, dove il monumento più notevole è la Motorizzazione Civile.... o l'uscita della A11.
Uno dei più belli è il Borgo di Querceto, che deve il suo nome ai ricchi boschi di quercia, che ormai sono scomparsi; 
Limitrofo è il borgo di Colonnata ricco di bellissime ville, quasi tutte non visitabili perchè recuperate come alberghi o ristoranti come Villa Gerini 

oppure Villa Villoresi o villa Ginori, ancora di proprietà dell'antica famiglia nobiliare fiorentina, e di cui il marchese Carlo Ginori fu grande imprenditore con la creazione nel 1753 della "Manifattura di Porcellane di Doccia", proprio nella tenuta della sua villa.
A Colonnata abbiamo trovato la perla di questo incantevole ponte medioevale, ottimamente restaurato, e collocato tra villette vecchie e nuove in uno scenario di pace veramente notevole.

Colonnata dovrebbe - è un'ipotesi, anche se accreditata - derivare il suo nome da una colonna che indicava le distanze da Firenze, nell'ambito della centuriazione romana - evidente nei toponimi della zona: 
Quarto - frazione di Firenze -;
Quinto, diviso in alto e basso, frazioni di Sesto Fiorentino; 
Sesto, che poi è diventato Sesto Fiorentino, comune tra i più grandi della provincia di Firenze;
Settimello, frazione di Calenzano.

Sempre alle pendici di Monte Morello è Cercina, che si raggiunge percorrendo la panoramica dei colli alti, dove c'è la Pieve di Sant'Andrea a Cercina, una chiesa di cui si hanno notizie certe fin dall'anno 880.

Nei boschi di Cercina c'è anche il monumento ai caduti di radio CO.RA.

E' questa una vicenda che merita di essere ricordata, non essendo molto nota.
Radio CO.RA. (significa: COmitato RAdio) fu l'emittente del partito d'Azione fiorentino, tra il gennaio ed il giugno 1944, e mantenne i contatti tra i partigiani e gli alleati, comunicando la posizione delle truppe tedesche.
L'idea fu di un gruppo di ragazzi fiorentini - gente che era davvero avanti per l'epoca! - e che  iniziarono le trasmissioni all'inizio del 1944, spostando continuamente la sede in modo che non potesse essere identificata. Nonostante questa precauzione, il 7 giugno 1944 i tedeschi irruppero nella sede della radio - identificata in Piazza d'Azeglio a Firenze - e vennero tutti arrestati.
Portati in una delle tante "Villa Triste" di cui purtroppo in italia a quel tempo non mancarono esempi, furono torturati e poi fucilati nei boschi di Cercina il 12 giugno 1944. Tra di loro c'era anche Anna Maria Enriquez Agnoletti, il cui nome è noto come eroica partigiana, una delle poche donne decorate con medaglia d'oro al valor militare.
A parte questa annotazione storica, la passeggiata è stata veramente incantevole; si tratta di antiche strade di campagna, con muretti a secco quasi sempre ben conservati, olivi e viti a perdita l'occhio, ville e villette a volte carine, a volte splendide, moderne e antiche, tra cui non manca questa torretta - proprietà provata -  di cui non abbiamo trovato nessuna notizia.

Il più delle volte le strette stradine bordate di cipressi non portano da nessuna parte: ad una villa più grande o più antica, oppure ad una azienda agricola, oppure finisce in uno stretto sentiero sassoso, oppure nei boschi, belli, fittissimi e profumati.
Sono poco più che strade ciclabili, poco adatte alle macchine -  anche se è ovvio che chi ci abita la macchina ce l'ha e ci si destreggia assai bene - frequentate da tanti ciclisti, gente coraggiosa che non arretra davanti alle erte salite, e da tanti pedoni, magari con cane, che si godono il paesaggio e la tranquillità.
Ecco, se una volta non sapete dove andare, non passate un pomeriggio stupido in un centro commerciale. Venite a vedere queste strette stradine.
Realizzerete sicuramente un risparmio - niente acquisti compulsivi di cui vi pentireste una volta arrivati a casa - e godreste dell'incomparabile profumo resinoso dell'aria e della bellezza che potrete vedere con i vostri occhi, con un incantevole panorama di Firenze che occhieggia dalle chiome degli ulivi.












domenica 13 settembre 2015

LUCIO SERGIO CATILINA: facciamo giustizia della sua cattiva fama

Abbiamo deciso di parlare di Lucio Sergio Catilina partendo...dalla sua morte.
Già, perchè se è vero che è nato a Roma, è anche vero che è morto a Pistoia.
La cosa ci ha lasciato alquanto perplessi: questi grandi personaggi nascono - per esempio - in Mesopotamia e muoiono a Roma, oppure nascono a Roma e muoiono ad Alessandria (d'Egitto).
Pistoia ci è sembrata uno strano luogo dove morire, per un senatore - nonchè generale - romano.
La nostra curiosità ha fatto il resto.
Allora: Lucio Sergio Catilina nasce a Roma nel 108 a.C., da una nobile, per quanto in decadenza, famiglia romana, quella dei Sergii.
Non avendo appoggi di rilievo, un patrizio romano che fa? Si arruola nel prestigioso esercito romano, e, appena ventenne, combatte con il generale Strabone e poi con Silla. 
Proprio al seguito di Silla, durante la guerra civile romana, si distingue per la sua crudeltà e spietatezza, tanto da uccidere con le sue mani anche il fratello della propria moglie, la cui testa offrì a Silla stesso come pegno.
Di sicuro non era uno stinco di santo - e chi lo era a quei tempi? - ma le accuse che gli sono state gettate addosso durante gli anni in cui Silla era al potere sono veramente eccessive: sacrifici umani, cannibalismo, corruzione, incesto, cospirazione, violenza sessuale (ai danni di una vergine vestale) e fermiamo qui, per il momento.
Tutti i processi ai quali fu sottoposto, lo riconoscono innocente, tanto che gli storici hanno cominciato a pensare che questa "leggenda nera" fosse stata creata ad arte per screditarlo ai contemporanei.
Diciamo che si era fatto un sacco di nemici, soprattutto tra quelli che chiameremmo adesso "gli intellettuali" del tempo.
Sallustio (no, il Sallusti de "Il Giornale non c'entra niente) dice di lui che:
« Lucio Catilina, nato di stirpe nobile, fu uomo di grande vigore morale e fisico, ma d'indole malvagia e corrotta. »
Dopo la caduta di Silla,  Catilina prudentemente sparisce per un po', tra Africa e Macedonia, ma  al suo ritorno, nel 66 a.C. si candida console; per toglierselo di torno viene accusato di vari reati, tipo concussione e abuso di potere. Viene assolto, ma ormai la carica di console se la può sognare.
Nel 63 a.C ci riprova, e siccome ottiene larghi consensi, il Senato gli oppone un avvocato che sta facendosi un nome, un certo Cicerone - e scusate se è poco - e in quello che potremmo chiamare un "faccia a faccia" elettorale, Cicerone lo accusa di tutte le nefandezze possibili. I Senatori mobilitano le loro clientele a suo favore e Cicerone vince.
Alle successive elezioni Catilina si ricandida nuovamente. Visto che il tentativo di ingraziarsi i patrizi romani era fallito, due anni prima, adesso prova con la plebe, ottenendo un grande successo tra schiavi e popolino. Il sistema era il solito di oggi: farsi vedere con attori (avevano la stessa considerazione odierna da parte del popolo) e gladiatori (le star dello sport di oggi).
Ma questo non sarebbe stato niente: ebbe la malaugurata idea di proclamare che, se fosse stato eletto, avrebbe emesso un decreto per la remissione dei debiti.
Questo era veramente troppo per il Senato! 
Catilina perde anche queste terze elezioni - che fra l'altro furono anche truccate da un certo Murena, di cui Cicerone prese le difese con una famosa orazione detta "pro Murena" che magari è un ricordo, forse non troppo simpatico, di chi ha fatto gli studi classici.
A questo punto Catilina perde la pazienza, e stringe varie alleanze per un congiura contro la Repubblica, di cui poi in seguito, Cicerone lo accuserà pubblicamente.
Così  è costretto alla fuga, e si dirige verso l' Etruria, ma il 3 gennaio del 62 Catilina viene dichiarato "Nemico Pubblico" dal Senato Romano, ed il 5, mentre si dirigeva verso la Gallia per trovare appoggio e alleanze, si trova la strada sbarrata da una legione romana, comandata da Quinto Cecilio Metello Celere, mentre un'altra, comandata da Antonio Ibrida, praticamente lo insegue, proveniendo da Roma.
La sproporzione tra le organizzatissime legioni romane e i pochi fedelissimi che seguono Catilina è enorme. 
Nonostante questo, nei pressi di Campo di Zoro (l'odierno Campo Tizzoro?) e quindi poco sopra Pistoia, la battaglia si svolge comunque.
Catilina sa che va incontro a morte certa: prima della battaglia pronuncia un toccante discorso, stranamente privo di retorica, e che quelli degli studi classici di cui sopra, ricorderanno in egual misura.
Per sottolineare che mai si sarebbe ritirato, lascia scappare i cavalli.
E' un massacro, nessuno dei suoi uomini sopravvive, e anche lui muore combattendo.
Una leggenda vuole che sia stato sepolto a Pistoia, dove c'è anche una strada che si chiama "della tomba di Catilina", e dove si trova una torre, costruita in epoca medioevale, che viene infatti detta "torre di Catilina" e dove pare che si trovi, alla base, la sua tomba.

A testimonianza dell'incertezza  sull'esatto luogo dove la battaglia si è svolta, abbiamo trovato dei riferimenti anche a Capostrada, e quindi molto più vicini alla città di Pistoia
Infatti, un'altra torre dedicata a Catilina sorge  dove c'è una via che si chiama appunto "della torre di Catilina".
La torre, a pianta rotonda, è in un terreno di proprietà privata, e anche se si vede dalla strada, non è visitabile.

Nei pressi c'è anche una strada il cui nome " forra sanguinaria" può far pensare che non acqua, ma sangue, sia scorso nelle sue rive.






domenica 6 settembre 2015

CAMPO CATINO (LUCCA, NON FROSINONE)

Nel comune di Vagli di Sopra (esiste anche un Vagli di Sotto, ovviamente, e non pensate che la divisione sia puramente amministrativa: uno era Guelfo e l'altro Ghibellino, e se non ci avessero pensato gli Este a metterli d'accordo, accorpandoli alle "tenne nuove" che hanno fatto parte del ducato di Modena sino all'unità d'Italia, se le sarebbero date di santa ragione), esiste una minuscola frazione che si chiama Campo Catino.
La precisazione del titolo è stata necessaria perchè Campocatino è anche il nome di una località sciistica in provincia di Frosinone.
Immaginiamo che il significato del toponimo sia lo stesso: un grande prato originatosi da un'antico bacino glaciale.
Sono solo 1000 metri di altezza, ma la sensazione di trovarsi non sulle Alpi Apuane, ma sulle Dolomiti, è fortissima.
Campo Catino era semplicemente un alpeggio, dove i pastori venivano a pascolare le pecore durante la stagione estiva, nei pascoli alti dove l'erba era migliore - la funzione di tutti gli alpeggi, niente di particolare - e siccome si trattenevano sino a stagione inoltrata, avevano costruito alcune casettine (dette "caselli") di pietra, che, con molta lungimiranza, sono state restaurate, così come le stradine di ciottoli che collegano le abitazioni.

Il risultato è un paesino incredibilmente grazioso, che domina un grandioso panorama.

Dalla piazza di questo che non era un paese, ma lo è diventato in seguito al restauro, si accede al prato dell'alpeggio, dominato dal monte Roccandagia, e dove sorge un minuscolo santuario - moderno -  dedicato a San Viano,

il cui spettacolare eremo incastonato nella roccia, è raggiungibile in una quarantina di minuti di cammino dall'alpeggio.
La pastorizia, insieme allo sfruttamento del bosco, era la fonte di reddito di queste zone, prima che diventasse bacino di forza lavoro da destinare alle cave di marmo. Tuttavia l'alpeggio è stato definitivamente abbandonato solo verso la metà del secolo scorso, con lo spopolamento delle montagne derivante dall'indutrializzazione delle pianure.
Per arrivare a Campo Catino, si percorre una spettacolare stradina, tutta all'ombra di secolari castagni - alcuni dalle dimensioni davvero impressionanti - che può essere agevolmente percorsa anche a piedi da chi desideri fare una facile escursione.
A questo scopo, esiste un agevole parcheggio che risulta esserne la partenza.

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domenica 30 agosto 2015

LA CULTURA DEI FILATI IN LUCCHESIA LO JUTIFICIO D PONTE A MORIANO

L'archeologia Industriale ci appassiona, ma ancor di più ci intriga scoprire come mai una zona è particolarmente vocata per una determinata lavorazione.
Questo è un argomento quasi inesauribile: girando la Toscana - ma l'Italia tutta - si trovano continuamente isole dedicate a quella o a quell'altra lavorazione: si va dalle sedie, alle scarpe, alla lavorazione delle pelli e potremmo continuare questo elenco all'infinito.
Sarà perchè siamo nati e vissuti in una zona come Prato, con una vocazione ben precisa - ne abbiamo già parlato, ma ne parleremo ancora ...work in progress -  ma questa "zonalità" del lavoro ci affascina.
Per esempio, una delle nostre uscite preferite è la Lucchesia.
Qui, la lavorazione preponderante era la filatura: ma non filatura della sola lana, come a Prato. Qui si filava di tutto.
Il cotone, per esempio:
Dalla piccola fabbrica di filati di Carlo Niemack, nel centro di Lucca, che nel 1890 si trasferisce nello stabilimenti di Acquacalda e, unendosi con il Cotonificio Cantoni,  diventa Fabbrica Italiana Filati Cucirini;  nel 1904 si fonde con la J.& P. Coats  ltd con sede a Paisley in Scozia, facendo nascere il colosso Cucirini Cantoni Coats.

oppure il cotonificio Sciaccaluga al Piaggione, di cui abbiamo già parlato in un altro post (link) e che, utilizzando direttamente l'acqua del Serchio,  ha fatto nascere una città laddove non c'era niente.
E poi i setifici. Data la grande disponibilità di acqua, la zona era particolarmente adatta alla coltivazione dell' albero del Gelso, come testimonia la presenza delle vestigia di molti setifici in zona. Ci avevano parlato anche di una "via della seta" a Cerreto di Borgo a Mozzano - un paesino circondato da un panorama di rara bellezza - ma non abbiamo trovato testimonianze che i nostri occhi abbiano saputo cogliere... ma sappiamo che la potenza di Lucca era fondata proprio sulla filatura della seta!
E poi abbiamo anche uno Jutificio, nato per volontà di Vittorio Emanuele Balestreri, il quale, dopo aver fatto fortuna a Genova, volle mettersi in proprio, e nel 1879 acquisto' il fabbricato di una azienda per la produzione del ferro, la Henry-Vignoles & C., che era stata costretta a chiudere per motivi economici. Utilizzando  l'acqua del Condotto Pubblico, costruito dalla Repubblica Lucchese nel XIV secolo, ed affidandosi all'Ing. James Smith, che ne progettò le quattro turbine che alimentavano l'opificio, l'imprenditore realizzò quello che fu il primo Jutificio a ciclo completo in Italia. Già nel 1880, lo stabilimento contava  25 telai. 

Emanuele Balestreri era un tipino niente male: manovrò l'amministrazione comunale - anche avendo contro l'opinione pubblica - per modificare la presa stessa del condotto, che in origine non era posta sul Serchio, e proprio per questo aveva delle portate irregolari, che male si addicevano all'attività produttiva.
Siccome non riusciva a manovrare i politici come voleva, decise di scendere in politica egli stesso, proprio per poter ottenere i benefici che potevano tornargli utili per la propria attività:
riuscì a farsi dare l'autorizzazione per una linea tramviaria che, andando da Lucca a bagni di Lucca, passasse proprio da Ponte a Moriano.
Ah, se questo personaggio vi ricorda qualcuno di più recente....sappiate che ha fatto lo stesso effetto anche a noi!
Il piccolo paese si trasformò in base alle esigenze della fabbrica, che per la verità realizzò anche molte infrastrutture, così come usava nella politica un po' paternalista di allora.
Visto il rapido successo dell'impresa, fu costruito nel 1890 anche un secondo stabilimento per la lavorazione della Canapa.
Tuttavia, allora come adesso, la finanza rovinò l'economia reale: un cattivo collocamento azionario rese necessaria l'uscita di scena del Balestreri nel 1899, lasciando il campo alla "Manifattura Italiana della Juta". 

Il Balestreri morì pochi mesi dopo questo evento, ma l'azienda continuò a produrre, tanto che prima della seconda guerra mondiale contava 600 dipendenti.
Poi, nel giugno del 1944 cominciò l'opera sistematica di spoliazione e distruzione dello stabilimento da parte delle truppe tedesche, e quando la guerra finì la produzione ripartì ma si esaurì abbastanza presto.
Non abbiamo trovato notizie certe, in proposito alla fine dell'attività produttiva., ma a giudicare dallo stato di alcune costruzioni, deve essere finita da parecchio.
In quella che doveva essere l'entrata dell'Opificio sono state istallate varie attività commerciali.
Altre invece versano in stato di totale abbandono.


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domenica 23 agosto 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA NERA DI MONTOVOLO

Quando abbiamo affrontato il viaggio per venire a visitare questo santuario, l'abbiamo fatto principalmente con l'intento di vedere questa Madonna nera.
Quello delle Madonne nere è un culto che si collega alle tradizioni orientali. Infatti molte icone bizantine riportano immagini della madonna con il volto quantomeno scuro. 
Secondo una tradizione teologica abbastanza diffusa, le Madonne nere potrebbero essere considerate simbolicamente "Madonne Addolorate", facendo riferimento al versetto del Vangelo di  San Luca dove dice:
"quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà come colpisce una spada" (Luca, 2,35), ed alla tradizione di San Luca pittore, che portò in italia la famosa madonna nera attualmente collocata nel Santuario di San Luca a Bologna.
Altre spiegazioni fanno riferimento a Bernardo di Chiaravalle, che interpretò un versetto del "Cantico dei Cantici", laddove parlando della sposa la si definiva 
"nigra sed formosa", e quindi per identificare la donna del Cantico dei Cantici con la Madonna, si era preso a raffigurarla con la pelle scura.
Un'altra ipotesi sulle madonne nere, è quella che la ricollega al culto di Iside.
Essendo Iside rappresentata con in braccio il figlio Horus, ed essendo colorata in giallo o comunque con la pelle scura, è stato logico che le popolazioni convertite "ricilassero"le statue di iside con Horus per rappresentare la Madonna con il Bambino Gesù. 
Siccome Montovolo è noto per essere stato un luogo sacro fin da tempi antichissimi - come testimonia l'iconografia di questa lunetta, 


 dove la croce centrale è stata anch'essa "riciclata, essendo evidente che non si tratta di una croce cristiana - e noto come Centro Oracolare sin dai tempi degli Etruschi, ci siamo fregati le mani e abbiamo pensato "bingo! sai che post con i fiocchi che viene fuori?!"
Allora: è un posto bellissimo che merita una visita.
E' su una specie di balcone naturale, sa cui si dominano i colli bolognesi e si intravede la pianura padana, immerso in un bosco fittissimo e verdissimo nonostante la stagione fosse molto arida.
La chiesa è bella, e abbiamo ammirato la famosa lunetta misteriosa.
Il fatto che sia molto piccola, tanto da non giustificare il nome di Santuario, ci fa pensare che siano stati i collegamenti ai precedenti luoghi sacri a rendere il sito così importante.
Scendendo pochi scalini si può ammirare la cripta.
Ma la Madonna non è nera! E' solo un po' abbronzatina, ma neanche tanto!
Abbiamo scoperto che un recente restauro l'ha fatta diventare così.
Ma del resto, nel sito del Santuario non si fa menzione del colore del viso della Vergine. La si definisce semplicemente "Madonna della Consolazione", e la consolazione, giustamente, non ha colore.
Poco prima di arrivare al Santuario vero e proprio, si trova una costruzione in pietra grigia: è la foresteria, dove - quando siamo andati noi - abbiamo trovato un 'allegra brigata, intenta ad accendere il fuoco negli appositi spazi, per farsi una sostanziosa grigliata.
Salendo invece pochi gradoni a secco - costruiti su incarico dei Lions di Bologna, lo dice una iscrizione ai piedi della scala - si arriva all'Oratorio di Santa Caterina, una chiesetta piccolissima, in stile romanico montano, probabilmente di influenza toscana: purtroppo non è visitabile.

domenica 16 agosto 2015

LA GUALCHIERA DI COJANO DI PRATO

La Gualchiera è un macchinario per la follatura della lana, e che permetteva di infeltrirla quel tanto da renderla impermeabile.
Questo si otteneva mediante il passaggio del tessuto in soluzioni - perlopiù saponose - ed a una conseguente battitura tramite un maglio: questo favoriva la consistenza del tessuto.
Si tratta di un macchinario pre-industriale, che poteva venire usato, in maniera perfettamente analoga, anche nell'industria cartaria.
Ma siccome siamo a Prato, sicuramente qui si parla di panni di lana.
Questa si trova a Cojano - già, secondo l'antica grafia - ed ha iniziato la sua carriera come mulino, infatti è conosciuta anche come "Molino Nardini".
Dopotutto il principio era molto simile.
Solo successivamente è diventata macchinario gualchiera, prima per la carta e poi per i tessuti.
(la terminologia industriale per gualchiera è "follatura" e questo termine chiarisce certamente il concetto ai nostri amici pratesi)
All'interno ci sono ancora le vasche e gli strumenti per la follatura  - appunto - e la trasmissione del moto precedente all'elettricità, quando i macchinari venivano fatti funzionare tramite lo scorrere dell'acqua di una piccola gora.

 La si sente ancora gorgogliare, freschissima, tra le piante e l'edera, in fondo al piccolo giardino che circonda l'antico insediamento industriale.
Qualcuno dovrebbe mettersi  una mano sulla coscienza: degli apparati industriali così conservati dovrebbero essere riadattati, perchè non si perda la memoria di quella che è la nostra storia.
Cosa succederà quando la nostra generazione, che non è stata protagonista dell'era del boom, ma ne è stata perlomeno testimone, non ci sarà più?
Chi conoscerà e tramanderà queste tradizioni?
Le tradizioni non sono uguali per tutti: ci sono città  a vocazione storica per cui va bene il calcio in costume, o il palio, o il gioco del ponte.
Ci sono paesi con tradizioni agricole, dove va bene la danza rusticana, o il palio degli asini, o la rievocazione della battitura.
Per Prato, le tradizioni sono  le antiche fabbriche, il ciclo della lana rigenerata, i macchinari tessili.
All'entrata del piccolo parco c'è una targa del comune: evidentemente la volontà di recuperare il sito c'era, ma sappiamo che con le buone intenzioni - di chissà quanti anni (e quante amministrazioni) fa - non si ottiene molto.

La costruzione della gualchiera è invasa dalle erbacce: un verde  muro impenetrabile che copre la parte più antica della costruzione.
Intorno, un piacevolissimo giardino, verde di erba e di alberi di fico, e che termina verso un muro di mattoni rossi sbreccati : niente di pre-raffaellita - anche se potrebbe sembrarlo - noi pratesi li conosciamo quei vecchi muri rossi; sono muri di vecchi capannoni.

Verso la strada, vicino alla gora, che conserva anche una parte di muretto, c'è una tettoia che copre malamente un vecchio macchinario tessile, coperto di ruggine e completamente colonizzato dalle erbacce.

A vederla parrebbe una vecchia stracciatrice - una "lupa" per capirsi - ma non non ne siamo molto sicuri.
Quello di cui siamo sicuri è che un macchinario del genere molto probabilmente non è più recuperabile, e non doveva essere lasciato all'aperto, in balìa degli agenti atmosferici.
Adesso un eventuale ripristino, pur ammettendo che sia ancora  recuperabile, risulterà sicuramente assai costoso.

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