domenica 13 dicembre 2015

LA MISTERIOSA TORRE DI GRIGNANO

A volte i tanto bistrattati siti istituzionali, sono la migliore - anzi, l'unica - fonte che noi, curiosi delle nostre zone, delle nostre tradizioni e memorie, possiamo consultare.
A Grignano esiste una "via delle Badie", che si conclude con una imponente doppia torre merlata, in pietra e muratura -  adesso abitazione privata - con accanto una bassa costruzione, sempre nella tipica pietra bianco-grigia della zona.

Anziani della zona, interpellati al proposito, ci hanno riferito che la costruzione bassa era semplicemente "la casa del fattore", ma non hanno saputo darci notizie circa la destinazione d'uso della doppia torre.

Da queste parti ci si riferisce a questa costruzione, appunto come "la torre", che sino a una cinquantina di anni fa, costituiva una specie di baluardo verso una zona considerata desolata e selvaggia, conosciuta in zona come "il Lonco".
Sia pure attraversato, verso la metà degli anni '60, dal nuovo tracciato della A11 (vedi link della declassata), questo luogo non era una campagna propriamente detta, nel senso che non era intensamente coltivata.
Nella nostra memoria, ricordiamo interi campi di camomilla, che coglievamo e facevamo seccare,  per poi bersela nell'inverno
Certo, c'erano campi e poderi, ma nel linguaggio locale "Lonco" designava un luogo disabitato, quasi abbandonato e anche vagamente e misteriosamente pericoloso. 
Era assai sconsigliabile avventurarsi nel Lonco durante una notte di nebbia, per esempio (anche perchè le gore a quei tempi erano ancora scoperte, e qui ne passava una tra le più importanti, ed il rischio di caderci dentro non era da sottovalutare).
Infatti, avevamo pensato che potesse essere stata una torre di avvistamento - e certamente lo è stata, nei suoi tanti cambi d'uso.
Adesso il luogo non è molto cambiato: è sempre un luogo desolato, perchè è una zona industriale/artigianale, con scarse abitazioni, ed in più attraversata dall'ingombrante mole dell'autostrada A11.
Dopo una lunga e infruttuosa ricerca, che ci aveva scoraggiato un po', ci siamo imbattuti quasi per caso nel sito del comune di Prato, dove abbiamo finalmente trovato quello che cercavamo:
La Torre è una Badia, anzi: visto che le torri sono due, Le Badie, da cui il nome della strada, e anche della zona che si chiama tutt'ora così.
E le badie non erano altro che eremi, fondate dai monaci che nel XI° secolo, sull'esempio del fondatore della abbazia (quindi della badia)  vallombrosana Giovanni Gualberto, venivano fondate un po' dappertutto, e quindi anche nella zona di Prato, dove venne dedicata a Santa Maria di Grignano.
Le torri hanno subito innumerevoli restauri e cambi d'uso.
L'edificio basso - la casa del fattore nella memoria degli anziani della zona - era molto probabilmente il convento.
Nei pressi delle torri e del presunto convento, c'è una strada che si chiama "via del Lazzeretto". Tutto farebbe pensare ad un ricovero per malati di peste, tradizionalmente situato agli estremi confini cittadini, dove meno esteso potesse essere il pericolo del contagio. 
La sua vicinanza al convento potrebbe essere plausibile, visto che di solito i frati,  (perchè i conventi delle monache di solito sorgevano all'interno della cinta muraria, o comunque nelle loro immediate vicinanze) erano proprio coloro che assistevano i malati, cercando di alleviare le loro sofferenze, sia fisiche che spirituali.
Un'altra chiesa dedicata a Santa Maria a Grignano, sorgeva dove adesso c'è il collegio Cicognini. 
Sappiamo che era una chiesa di una certa importanza, con opere d'arte e sovvenzioni ragguardevoli - niente a che vedere con la povera badia spersa nella campagna - ma questo non bastò a salvaguardarla: quando fu deciso di costruire il Collegio, fu abbattuta senza pietà, e di lei adesso rimane solo questa lapide, affissa al muro esterno del Collegio Cicognini.

Visto lo stimolo a riflettere ,che le pur scarne informazioni del sito del comune di Prato ci hanno fornito, il post potrebbe  intitolarsi anche "mai perdersi d'animo" oppure "diamo fiducia alle istituzioni".

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domenica 6 dicembre 2015

IL PONTE DI ANNIBALE

Se il povero Annibale fosse passato da tutti i posti che riportano il suo nome, avrebbe passato la vita a viaggiare.
E se la sua vita fosse durata per tutto il tempo in cui hanno trovato il modo di dare a dei manufatti il suo nome, sarebbe morto all'età di Matusalemme!
Per esempio, questo Ponte di Annibale, che attraversa l'Arno a Bruscheto - e quindi si trova tra Reggello ed Incisa Valdarno - è sicuramente databile al XII secolo. Se si pensa che Annibale è morto più o meno verso il 183 avanti Cristo, si capisce subito che qui non è passato nemmeno in fotografia (per il semplice motivo che la fotografia non era stata ancora inventata...).
E allora lui che c'entra?
Mah, niente. C'è chi dice che il ponte risale ad epoca romana, e che lui ci sia passato sopra nel 217 A.C., ma la maggior parte delle fonti sembra accreditarlo come un ponte medioevale.

Ed in effetti tutto sembra confermarlo.
E' costruito in uno dei punti di attraversamento più favorevoli in assoluto. Qui il fiume è relativamente stretto, e in questo punto ci sono delle formazioni rocciose - sorta di piccole isole - da dove è stato facile "appoggiare" sopra delle piccole passerelle, facili da realizzare anche senza troppe cognizioni di ingegneria.

Inoltre è poco sopra il pelo dell'acqua, per cui ha resistito indenne a tutte le piene del fiume, opponendo una resistenza all'aqua pari a zero, perchè anzichè contrastarne la forza, se la faceva passare sopra.
Infatti, durante le piene il ponte rimane sotto l'acqua, e non subisce danni.
Inoltre, seguendo il principio che "quello che non c'è non si rompe", non avendo spallette, non c'era pericolo che il fiume se le portasse via...
Ha resistito indenne a tutte le piene, dicevamo, tranne quella del 1966.
Infatti una grossa cisterna trasportata dall'acqua del fiume, si portò via l'arcata principale, e da allora il ponte non è mai stato restaurato.
Anche perchè. diciamocelo chiaramente, non porta da nessuna parte.
Chi mai poteva avere interessa a restaurarlo?
Anticamente portava al mulino di Bruscheto, i cui ruderi sorgono ancora sulla riva destra dell'Arno, e che conserva ancora l'intelaiatura della macina, dove l'acqua scorre velocissima portata lì dall'ancora esistente margone.

Certo, un mulino a quei tempi era un luogo importante, e meritava sicuramente la costruzione di un ponte. Infatti non c'è strada, sulla riva opposta, che giustifichi in altro modo la costruzione di questo ponte; anche se è ragionevole pensare che in tempi passati, l'attuale SS69, che è piuttosto vicina, avesse un altro tracciato, e che magari passasse di qui, oppure un'altra strada tanto importante da giustificare un ponte.
Il tratto iniziale, vicino al mulino, è ancora perfettamente conservato, e calpestare queste pietre ci ha emozionato; sono un po' arrotondate dal passaggio dei carriaggi, dei cavalli, e dell'acqua che ci è passata sopra nei periodi di piena.
E ci ha fatto un po' ridere pensare che questo è uno dei (pensiamo pochi) ponti di cui si possa dire, per giustificare il passaggio del tempo, che l'acqua, anzichè passare sotto i ponti, in questo caso ci è passata sopra.

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domenica 29 novembre 2015

IL SERPENTINO VERDE DI PRATO E IL MONTEFERRATO

Occuparsi di Prato è la nostra principale "Mission", e di conseguenza di tutto ciò che può correlarsi in qualche modo a Prato stessa.
A Prato abbiamo un tipo di marmo particolare, il verde di Prato, altrimenti detto anche "Serpentino".
E' quello con i quale sono state decorate gran parte delle basiliche e cattedrali costruite in "romanico toscano", e che si può vedere un po' dappertutto in zona.
L'ispirazione era troppo bella per lasciarsela sfuggire, anche se confessiamo che quando si parla di geologia, la nostra mente si obnubila, la testa si riempie di bollicine rosa e cadiamo in un sonno profondo, dal quale usciamo solamente dopo ripetute gomitate nelle costole...
Ma una Mission è una Mission, e poi per Prato si può fare anche uno sforzo.
Ordunque.
Il Verde di Prato viene così chiamato per il suo bel colore, che ricorda la malachite, e viene detto Serpentino perchè appartiene alla famiglia geologica delle serpentiniti, formazioni rocciose tipiche degli Appennini, delle quali la definizione esatta è "roccia ultrafemica metarmofizzata".
E'detto anche "marmo di Figline", perchè le cave si trovavano in maggior parte sul Monteferrato, situati proprio in prossimità della (attuale) frazione di Figline di Prato.
Ecco, diciamo due parole anche sul Monteferrato, che molti vecchi pratesi tramandano essere stato un vulcano spento.
Per quel che ne sappiamo potrebbe essere anche vero. 
Per dire la verità non si tratta di un monte, ma di una piccola catena montuosa: sono tre colli disposti in ordine decrescente di altezza, dove il piu' alto - il Poggio Ferrato -  domina la città di Prato, con i suoi 420 metri.
Poi, in direzione della dorsale appenninica, troviamo il Monte  Mezzano (398 metri) ed il più settentrionale è il Monte Piccioli (362 metri)
Sicuramente sono composti da rocce ferrose, inadatte allo sviluppo della vegetazione.
Nella parte bassa, poi, è ricco di argille che hanno alimentato l'industria tessile della zona, fornendo - prima dell'invenzione delle sostanze chimiche - le terre adatte alla follatura dei panni di lana.
Nei primi anni dell'ottocento fu rimboschito con pini marittimi, con l'intenzione di utilizzarli per estrarne la ragia.
Fu un intento lodevole dal punto di vista paesaggistico, ma una pessima scelta per l'ambiente in cui questi poveri alberi sono stati inseriti.
Non sappiamo se l'impresa di estrazione di ragia sia andata a buon fine - ne dubitiamo - ma il terreno su cui questi alberi sono stati piantati, era quanto di meno adatto si potesse pensare per questa specie vegetale.
Se ci si prende la briga di una passeggiata, si vede che gran parte degli alberi sono in sofferenza: sono cresciuti in maniera stentata, sono contorti e radi, ed è una pena vederli tra queste rocce verdastre, o luccicanti di pirite.
Ma torniamo al nostro marmo.
Presenta varie tonalità di verde, che vanno da quelle più pallide, quasi grigie - o addirittura giallastre, tanto da farli prendere il nome di "pietra ranocchiaia" -  al verde scurissimo che tende al blu.
Siccome è una pietra che può essere facilmente lucidata, veniva utilizzata specialmente per intarsi e decorazioni, insieme al marmo bianco di Carrara o alla pietra Alberese, con effetti veramente notevoli.
Nell'ispirazione del Romanico Toscano per le antiche costruzioni di Roma, si era sostituito, con la bella pietra delle nostre montagne, il porfido verde di Grecia che le decorava con i suoi intarsi, e al quale tanto somigliava.
Ebbe poi un lungo periodo di oblio, venendo recuperato solo nell'ottocento, con le sue costruzioni romantiche, ispirate al medioevo italiano.
In tempi più recenti, prima che la sua estrazione cessasse quasi completamente, veniva prosaicamente utilizzato per le massicciate delle strade, come pientra da riempimento. Che fine ingloriosa!
Il suo utilizzo è sempre stato puramente decorativo e molto difficilmente veniva utilizzata per la costruzione di interi edifici: noi siamo riusciti a trovare solo le tre absidi  della Pieve di Sant'Ippolito in Piazzanese, nella frazione - appunto - di Sant'Ippolito di Galciana.
A quanto sappiamo si tratta di una costruzione unica nel suo genere.

domenica 22 novembre 2015

FAENZA GIOIELLO DI ROMAGNA

Faenza è al centro della Romagna, ed è una città molto antica.
Sapevamo che i suoi abitanti, oltre che faentini, si chiamano anche manfredini, dal nome del casato che ha a lungo avuto signoria sulla zona.
Quando eravamo piccoli lo sentivamo dire : "la moglie del tale è manfredina" "babbo che vuol dire?" "vuol dire che è di Faenza".
Queste sono cose che segnano la psiche di un bambino, sinceramente...
A parte queste facezie, essendo alla confluenza del fiume Lamone, e l'incrocio tra la via Salaria e la via Emilia, è stato un centro commerciale tra i più fiorenti, anche in epoca pre-romana (la Salaria non si chiamava Salaria, la via Emilia si chiamava in altro modo, ma sempre all'incrocio tra due importanti vie di comunicazione era situata, dopotutto).
Nel VII secolo eresse delle mura per difendersi dai longobardi, e nel 1164 ospitò per diverso tempo Federico Barbarossa.
Cambiò bandiera diverse volte, perchè dopo la visita del Barbarossa aderì alla lega lombarda e divenne guelfa. E rimase così per un po' perchè le cronache citano che nel 1239 Faenza era l'unica città guelfa di Romagna.
In epoca rinascimentale divenne famosa per la produzione di maioliche che esportava in tutto il mondo. Tanto che in inglese maiolica si dice "faience".
Entrò a far parte della Romagna Pontificia, dopo la morte dell'ultimo Manfredi, intorno al 1509.
Di genitori faentini era Evangelista Torricelli, nato a Roma ed inventore del barometro ( c'è una piazza con un grazioso parco e una sua statua al centro).
Nel 1890 è nato a Faenza Pietro Nenni, uno dei padri della repubblica, e nel 1912 Benigno Zaccagnini, esponente di spicco della Democrazia Cristiana di altri tempi.
Nella cattedrale abbiamo visto questo curioso monumento funebre, che la gente le posto chiama "Jacmena".
Vabbè, detto questo come quadro storico generale, vogliamo dire che Faenza è una città molto graziosa, con bellissimi parchi, grandi strade alberate e tantissima gente che gira in bicicletta.

Il centro del centro storico (bel pasticcio, eh?!) sono due grandi piazze rettangolari, piazza della Libertà e Piazza del Popolo, che non sono divise da niente, sembrano una sola, enorme piazza lunghissima e circondata dai classici portici delle città padane.

E come tutte le città padane, abbiamo trovato anche in Faenza quella particolarità che non sappiamo dire.
Saranno le biciclette, che da queste parti non mancano mai, e con le quali tanta gente si sposta da un capo all'altro della città.
Certo, è facile... qui è tutta pianura, ci si sposta bene in bici. E' facile essere ecologisti in una città padana, provate a farlo a Roma, che è su sette colli, e poi ne riparliamo!
Ma è anche il rapporto che queste città hanno con il sole, con il bel tempo, con lo stare fuori all'aria.
Eppure il sole batte forte anche qui, ma qui il sole si va a cercare: i bar con i tavolini all'aperto non si contanto, si sta fuori all'aperto in tutte le stagioni, anche in gennaio. Magari con un bello spritz davanti - anche se sono le dieci di mattina, come abbiamo visto a Treviso - ma non si rinuncia mai a stare fuori, all'aria, al sole.
Invece da noi,  che siamo a sud dell'Appennino,  il sole lo temiamo, cerchiamo piuttosto di ripararci da sole, anzichè cercarlo. Anche da noi ci sono i bar con i tavolini all'aperto, ma sono strutture coperte, con i ventilatori sempre accesi, con grandi tende che tendono ad oscurarne la luce.
Forse perchè qui la nebbia in inverno è opprimente, chissà.
Però fa un bell'effetto, perchè qui tutto è chiaro, arioso, luminoso. I parchi sono ombrosi e pieni di vegetazione, laghetti, animali.

Ogni vola che attraversiamo l'Appennino e visitiamo una città della pianura padana, il nostro cuore si riscalda.

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domenica 15 novembre 2015

IL PONTE BITOSSI A CAMAIONI

Camaioni è una frazione di...un sacco di comuni.
Attraversata dal fiume Arno, sulla sua riva sinistra, che si distende lungo la SS67, al confine con il comune di Lastra a Signa,  è frazione del comune di Montelupo Fiorentino.
Sulla riva destra dell'Arno, la frazione si chiama La Nave di Camaioni, ed è a sua volta suddivisa tra il comune di Carmignano (nella sua parte a monte) e il comune di Capraia e Limite (nella sua parte a valle).
Inoltre è suddivisa tra le province di Firenze e quella di Prato.
Questa è certamente la sua caratteristica peculiare, ma non è tutto qui.
Nella frazione la Nave - a monte, e quindi nel comune di Carmignano - è nato il ciclista Franco Bitossi, famoso negli anni '60 e '70 - oltre che per le sue vittorie - per essere stato soprannominato "cuore matto".
Questo perchè soffriva di tachicardie, che spesso lo hanno costretto a ritirarsi dalle corse alle quali partecipava.
ok, abbiamo parlato di Bitossi e di Camaioni.
E il ponte?
Abbiamo detto che Camaioni si trova metà sulla riva sinistra e metà (la Nave) sulla riva destra: nel mezzo ovviamente passa l'Arno, e sino al 1976 le due rive comunicavano tra di loro solo con il passaggio di barche.
La leggenda vuole che il ponte che sorge attualmente tra le due rive - è che è a tutti gli effetti un ponte ciclabile, perchè è ad una sola corsia - sia stato costruito proprio per permettere al ciclista Franco Bitossi di allenarsi anche in pianura, percorrendo la SS67.
Ovviamente è una leggenda, perchè Bitossi non aveva certo bisogno di allenarsi a casa sua: si sarà allenato dove lo portava la squadra per la quale correva, no?!
Quello che è certo è che il ciclista si è notevolmente prodigato perchè il ponte venisse costruito - tra il 1972 e il 1976 - e certamente il suo nome e la sua fama hanno avuto il loro peso nella costruzione di questa strana opera: un ponte ad una sola corsia, che va a finire in una strada con un gomito a 90°, e che poi porta ad un sottopasso ferroviario tanto stretto che si percorre a senso unico alternato, e tanto basso da permettere solo il passaggio di autovetture e modesti furgoncini.
Con il tempo, tuttavia, ha dovuto sostenere il traffico crescente tra Carmignano e Montelupo, e tra Prato e Empoli, tanto da diventare una direttrice assai importante, specie per chi deve raggiungere la Firenze-Pisa-Livorno.
Per chi viene da Carmignano, il ponte porta ad un tratto bello e tranquillo della SS67 Toscoromagnola, ma per lo sprovveduto turista - straniero e non - che venendo da Montelupo imposta sul navigatore la strada più breve per Carmignano sono guai seri! dopo il claustrofobico sottopasso sotto la ferrovia, il gomito a 90° non dà nessuna visibilità su chi percorre il ponte in quel momento, e quello di trovarsi di fronte due fari corrucciati che vengono in direzione opposta, è più di un rischio.
Dopodichè ci si trova davanti una salita con pendenza del 15%.
Abbiamo visto automobilisti di provata esperienza, mettere le quattro frecce e piangere...




domenica 8 novembre 2015

IL SOGNO INDUSTRIALE DI CRESPINO SUL LAMONE

Se si giocasse a: "colloca il nome della località sulla carta geografica dell'Italia " - vi assicuriamo che questo gioco,  in rete , esiste - Crespino sul Lamone sarebbe uno di quei nome che sarebbero in pochi a posizionare esattamente, giusto quelli che abitano da quelle parti, perchè non è certo un posto molto conosciuto. 
E' amministrativamente una frazione del comune di Marradi.
Tuttavia ha una storia importante da raccontare.
Prima di tutto è stato teatro - come purtroppo molti posti da quelle parti - di un efferato eccidio della popolazione civile da parte delle truppe tedesche nel 1944, dove ben 42 tra donne e bambini - nonchè l'anziano parroco - furono trucidati il 17 luglio.
Un piccolo sacrario, sorge sulla riva destra del fiume Lamone, a ricordo della strage.
Ma noi, curiosi come siamo di archeologia industriale, volevamo parlare della vecchia fabbrica Kalter, che produceva termoconvettori.
La fabbrica aprì i battenti nel 1962, quando l'Ing. Donati di Faenza rilevò i locali di una preesistente fabbrica di tannino che era situata proprio in prossimità della cascata in località Valbura.
Era proprio la vicinanza di questa cascata, che permetteva la produzione di energia elettrica, a rendere appetibile aprire un'attività industriale in un paesino apparentemente insignificante come questo.
Certo, la logistica doveva essere complicata, ma a quei tempi i camion erano più piccoli, l'autostrada A 1 era ancora di là da venire, e comunque Faenza era a soli cinquanta chilometri.
Del resto, la località era sede di opifici sino dal 1500, perchè prima della Kalter, c'era la fabbrica di tannino di cui dicevamo - che era doppiamente favorita, perchè oltre allo sfruttamento della cascata, utilizzava anche i castagneti della zona, materia prima per l'estrazione del tannino - prima ancora una fabbrica di calce, e per cominciare, ovviamente un mulino.
La fabbrica dava lavoro ad una ventina di persone, il che voleva dire a venti famiglie, il che significa che per la zona era una realtà tutt'altro che trascurabile.
Non sappiamo quando la fabbrica ha chiuso, ma se si digita "Kalter" su google, la ricerca dà, tra le prime proposte, una scheda con tanto di numero di telefono, per cui viene logico pensare che sia stata chiusa in tempi già digitali, quindi abbastanza recentemente.

Il che non significa che sia stata chiusa ieri: i locali non sono certo in ottime condizioni, ma sono stati riutilizzati in parte come ricovero di macchine agricole.

La fabbrica sorge proprio sotto un'ampia curva della ferrovia faentina, di cui abbiamo parlato in un altro post (link) e percorrendo la quale,  si gode il panorama migliore del vecchio opificio.

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domenica 1 novembre 2015

PONTE D' ERCOLE anche detto del Diavolo

Avete fatto caso che quando ci troviamo di fronte ad un ponte antico che abbia forme o dimensini fuori dal comune e subito spunta fuori una leggenda che ne attribuisce l' opera al Diavolo ?
Ma se nei casi del ponte della Maddalena di Borgo a Mozzano o  del ponte Gobbo di Bobbio, fra i più noti a fregiarsi dell' appellativo " del diavolo", l' opera dell' uomo è evidente per i  materiali usati,  nel caso del ponte d' Ercole si rimane  perplessi: per i primi si è usato malta e pietre, nell' altro caso, invece ci troviamo di fronte ad un monolite di arenaria di una trentina di metri!

Localizzato nel parco del Frignano vicino al paese di Lama Mocogno, lo si raggiunge lasciando  la statale 12 e percorrendo una strada asfaltata sino ad un parcheggio; una volta lasciato il mezzo, si imbocca un facile sentiero che in un quarto d' ora ci porta al ponte. Noi lo abbiamo visto in estate con la vegetazione rigogliosa del sottobosco che lo mascherava un po'  ma ci immaginiamo che in inverno, con gli alberi spogli, l' effetto scenografico sia ancora più impressionante.

L' area che circonda il ponte è stata frequentata dall' uomo dalla preistoria  fino al medioevo - come  è stato testimoniato da scavi archeologici - che hanno evidienziato la sacralità del luogo generazioni di persone hanno frequentato la zona, che era riconosciuta come sacra.
Purtroppo, negli ultimi anni, la zona è stata frequentata dai soliti teppisti, che non hanno perso l'occasione di deturpare l'antica pietra con frasi stupide ed idiote.





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