domenica 18 febbraio 2018

L'ANFITEATRO ROMANO DI FIRENZE

Che i romani a suo tempo avessero costruito Firenze a Fiesole, era cosa nota.
Il pantano che era il fondovalle, con le sue febbri malariche, non era nè agevole nè benevolo, mentre le colline erano salubri e ben difendibili.
Vero è anche che quando si parla di Fiesole romana si parla dell'epoca repubblicana, mentre quando si parla della Florentia romana si parla di epoca imperiale, quindi secoli dopo, verso il II° secolo d.C., quando il fondovalle era stato bonificato ed era ormai abbastanza salubre e vivibile anche per le raffinate abitudini romane.
Come in ogni città romana che si rispetti, anche a Florentia erano state costruite terme, teatri ed un imponente anfiteatro, uno dei più grandi della penisola, secondo solo al Colosseo di Roma, all'Arena di Verona e a quello di Pompei.
La scelta della posizione era ai limiti dell'area urbana, che venne raggiunta solo nell'epoca in cui era al potere l'imperatore Adriano.
L'edificio doveva essere alto circa 19 metri, e di forma ellittica, come tutti gli anfiteatri, ma mancano i dati precisi su dove fossero posizionati esattamente gli ingressi principali, e come fossero distribuiti i posti sui due anelli delle gradinate.
Anche se, come tutte le costruzioni romane dopo la caduta dell'impero, fu certamente usato come cava di materiale da costruzione, si può notare che le sovrastrutture medioevali della Piazza Peruzzi, via Bentaccordi e via Torta,

seguono alla perfezione la curvatura ellittica del vecchio anfiteatro, anche se la struttura non è così perfettamente visibile come è in quello di Lucca, che addirittura al suo interno ha ancora una piazza, e che all'esterno ha ancora dei rimasugli di vecchie mura!

Ma se guardiamo attentamente il perimetro delle case lungo le mura, troveremo ancora qualche traccia dell'antico monumento; infatti, entrando nella piazza dei Peruzzi, e posizionandosi davanti al muro curvo, notiamo una fila di archi nel perimetro esterno dell'anfiteatro.
Anche degli ignoranti di architettura come noi, notano che non si tratta di archi medioevali, ma di archi a tutto sesto, tipici dell'architettura romana.

Una curiosità nella curiosità: gli archi non risultano oggi nella loro altezza originaria perchè il livello stradale della piazza Peruzzi è più alto di due metri rispetto al livello del terreno in epoca romana!
Anche altri particolari dell'anfiteatro sono stati utilizzati in altro modo: per esempio, la rete di corridoi sotterranei sotto la costruzione, sono stati utilizzati come carceri già in età longobarda, e poi in età comunale.
Una notizia che non molti sanno, è che tra la piazza Peruzzi, e il fiume Arno, sorgeva la Scuola dei Gladiatori, dove i combattenti si allenavano e dove vivevano (quelli che riuscivano a farlo...), e che sicuramente c'era anche il passaggio sotterraneo che, come nel Colosseo a Roma, portava i Gladiatori dalla Ludus Magnus (cioè la Caserma di cui sopra) sin dentro l'anfiteatro.




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(notizie fornite dal testo "Antiche curiosità fiorentine" di Enio Pecchioni)

domenica 11 febbraio 2018

L'ISOLA DELLE API INDUSTRIOSE

Ci sono delle cose che nel tempo hanno perso completamente la loro connotazione originale, e adesso hanno un aspetto completamente  diverso da quello che a suo tempo può aver addirittura ispirato uno scrittore come Carlo Lorenzini, detto Collodi.
In un episodio di Pinocchio, Collodi fa riferimento ad un'isola delle Api industriose, un paese dove tutti avevano un'occupazione e non esisteva nessuno che stesse in ozio.
Ecco, quest'isola si trova nell'Osmannoro, lungo la via Lucchese, a cento metri dalla Motorizzazione Civile di Firenze.
Stupìti... vi vediamo stupìti (per citare un verso di una canzone di Guccini)
Procediamo con ordine.
Chi conosce la zona sa che di fronte ai capannoni della Motorizzazione, proprio sulla sinistra della via Lucchese (per chi va verso Firenze) c'è un piccolo complesso di - chiamiamoli così - piccoli capannoni con un ponticino per accedervi ed un campanile a vela, che ricordava i villaggi messicani nei vecchi film western.

Sino a metà ottocento, l'Osmannoro era una palude, e quando nella brutta stagione pioveva (più di adesso), la zona da paludosa che era, diventava tutta un lago. 
Ci si spostava con i tipici barchini da palude, oppure con delle botti tagliate a metà!
L'unica striscia di terra che rimaneva emersa era proprio quella dove sorgeva questo piccolo complesso.
Non sono piccoli capannoni; chi ha voglia di parcheggiare la macchina e di andare a dare un'occhiata, scoprirà quel che è rimasto di un antico ospedale per i pellegrini, con tanto di chiesetta (dove adesso c'è un'officina) con il famoso campanile a vela, un rimasuglio di chiostro e un cortile.

Lo Spedale risale almeno al 1250, e la chiesetta era dedicata alla Santa Croce, e infatti di chiamava proprio Santa Croce all'Ormannoro, o Smannoro, come si chiamava il fosso su cui sorgeva.
Il nome derivava dagli antichi proprietari della zona, gli Ormanni, anche se lo Spedale era sotto il patronato della famiglia degli Spini, di cui rimane un malandato stemma.

Fu costruito essenzialmente per assistere i malati di malaria, che certamente in quella zona ed a quel tempo non dovevano mancare, e comunque come lazzeretto per tutte le malattie che dovevano stare lontane dai centri abitati.
Ma come tutti i luoghi pianeggianti e paludosi, erano anche infestati di briganti, per cui doveva servire anche come ricetto per i viandanti.
In quello che a quei tempi era un vero deserto, si ritirarono in eremitaggio dei monaci Agostiniani, che con il tempo trasformarono l'ospedale in un convento.
Fu allora che Carlo Lorenzini ci andò, proprio quando la piccola altura emergeva dall'acqua come un'isola, e fu lì che ebbe l'idea dell'isola delle api industriose
Poi a verso la metà del XIX secolo la zona fu bonificata, i frati se ne andarono e la chiesetta fu sconsacrata.
Nel fienile c'è stato un'autosalone e adesso c'è un ristorante.
Sul portone del convento avevano messo una riproduzione di un razzo - chi era ragazzo negli anni settanta del secolo scorso se lo ricorda - ed intorno al vecchio convento sono nate autostrade, capannoni (veri, stavolta) e inceneritori (link).
Insomma, manca l'acqua ma lo squallore è lo stesso.

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domenica 4 febbraio 2018

L'INCENERITORE DI SAN DONNINO

Quella sagoma inquietante che si vede passando dall'autostrada del Sole, è una specie di antitesi della chiesa dell'autostrada, un condensato del male, in pratica.

Le sue due ciminiere grigie sono un monito, un ricordo, una ferita mai guarita.
Fa venire in mente l'ICMESA, la diossina, Seveso.
E certamente quello che usciva dalle due ciminiere grigie sino al luglio del 1986 era una  sostanza molto simile da quella che uscì dalle ciminiere dell'ICMESA di Seveso il 10 luglio del 1976.
La nube di Seveso era TCDD, la più pericolosa diossina conosciuta, ed uscì tutta insieme per un guasto al reattore; i venti favorirono la propagazione della nube tossica in una vasta area densamente popolata tra Seveso, Meda, Cesano Maderno e Desio.
La zona contaminata fu quindi molto vasta, e la nube provocò danni enormi alla popolazione, all'agricoltura ed agli animali, che morivano  uno dopo l'altro, (questa è una cosa di cui non si parla mai, ma gli animali, proprio per le ridotte dimensioni, non si ammalano: muoiono).
Tuttavia le operazioni di bonifica iniziarono quasi immediatamente e l'azienda colpevole del disastro fu chiusa, il reattore e la vasca furono racchiusi in un sarcofago di cemento armato, e altre vasche ignifughe e monitorate - per evitare qualsiasi perdita - raccolgono tutto il terreno di superficie di tutta la zona denominata A, dell'estensione di circa 108 ettari;  e sopra il quale è stato realizzato un parco naturale denominato Bosco delle Querce.
Quella di San Donnino era "solo" PCDO, una diossina meno pericolosa, ma combinata con PCDF (policrodibenzofurani, per chi sa cosa vuol dire), ma rilevata nel terreno in concentrazioni 4 volte superiori a tutti i limiti massimi consentiti; ed emessa per un periodo molto lungo, dal 1973 - anno della sua inaugurazione - al 1986,  anno in cui l'USL di Firenze fece questa bella scoperta e l'inceneritore fu chiuso in tutta fretta.
Anche a San Donnino si è fatto un parco, il "Chico Mendez" (link) riqualificando una cava di sabbia presente in zona, ed altri interventi urbanistici sono stati pensati, e realizzati,  dalle varie amministrazioni comunali che si sono succedute.
Tuttavia, la differenza fondamentale con Seveso, è che qui il territorio non è mai stato bonificato, nè si è mai provveduto a fare un serio censimento delle persone che sono state colpite dai vari tipi di tumori, e che seri  studi hanno invece dimostrato essere notevolmente aumentati.
Anche perchè, questo avrebbe significato dover studiare poi il modo di risarcire le popolazioni colpite da questo disastro.
Da allora questo grigio monumento di cemento continua a troneggiare vicino all'A1,  e non è mai trovato il modo di riutilizzarlo in nessun modo.
si utilizza il piazzale come isola ecologica, per permettere ai cittadini di portare allo smaltimento ciò che in casa non serve più o ingombra, ma nel 2016, per cause del tutto accidentali, divampò un incendio durante la macinatura dei rifiuti, che provocò un'altissima colonna di fumo nero.

Grande fu la paura della popolazione, tant'è che quella che allora era la proposta di riutilizzare il vecchio inceneritore come termovalorizzatore controllato, capace di produrre energia elettrica per il fabbisogno di circa 40.000 famiglie... decadde all'istante.
Come a dire, che quando si è stati morsi da un serpente, anche una corda fa paura!

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domenica 28 gennaio 2018

LO STROLAGO DI BROZZI (E LA STRANA STORIA DI BROZZI)

Con che cosa cominciamo?
forse è meglio cominciare con Brozzi.
Che adesso è solo un sobborgo alla periferia occidentale di Firenze, ma che sino al 1928 era un grande e popoloso comune.
E qui vorremmo spendere due parole sullo stravolgimento che nel 1928 ridisegnò la carta geografica italiana.
Ci piacerebbe fare un post su questa cosa, ma l'argomento è talmente vasto che si siamo un tantino scoraggiati. Lo accenniamo soltanto.
Quante volte abbiamo parlato del fatto che nel 1928 il Regime Fascista aveva istituito le province? e che ne aveva ridisegnato alcuni confini? un esempio lo trovate nei vari posti sulla Romagna Toscana (link) e (link) derivanti dal fatto che il Tevere, fiume della romanità, doveva nascere in Romagna, luogo natìo del Duce, e non in Toscana; anche se quelle terre erano toscane da secoli e secoli.
Altro esempio è Rieti, che è culturalmente Abruzzo, ma che fu creata provincia proprio nel 1928, rubando territori a Perugia ed a l'Aquila, ed inserita geograficamente nella regione Lazio - della quale si è sempre sentita una figlia poco amata - solo perchè Rieti è il centro geografico della penisola Italiana, e nella testa di Mussolini, doveva far parte del Lazio....
Anche dalle nostre parti abbiamo esempi su esempi di questo stravolgimento, e qui torniamo a Brozzi, che era appunto un bel comune, grande e popoloso, ma che fu smembrato e cancellato dalla carta geografica, per allargare i confini della città metropolitana di Firenze, al quale aveva il torto di essere un po' troppo vicino.
A Firenze fu assegnato l'antico abitato di Brozzi propriamente detto, insieme alla vicina Quaracchi, Petriolo, Peretola e la Sala.
A Sesto Fiorentino fu assegnato la frazione dell'Osmannoro, mentre a Campi Bisenzio toccò San Donnino, e a Signa una porzione di territorio presso l'Arno.
Se si percorre via di Brozzi a piedi, si trovano le tracce di un'antico borgo; ogni pochi passi si trova una corte, con il suo arco, le casette che si affacciano sull'acciottolato, a volte dipinte in colori vivaci, segno evidente che la gente ci vive, e rinnova le sue case di generazione in generazione.

In altre invece le case hanno un aspetto spento, o sono abbandonate e tristi.
Come lo sono  - purtroppo . molte delle botteghe lungo tutta la strada.
Troppo vicino alla grande città, per non essere nient'altro che uno dei tanti quartieri dormitorio che la circondano.
A metà si trova una costruzione di mattoncini rossi, di aspetto chiaramente medioevale. E' il torrione di Brozzi, risalente al XIII secolo, che faceva parte della dimora del palazzo Orsini, e che rappresenta una delle costruzioni più importanti del borgo.

Nei pressi di questo torrione, in una abitazione che non siamo riusciti ad identificare, risiedeva lo Strolago di Brozzi del titolo, meglio conosciuto come 
Sesto Cajo Baccelli , nipote di Rutilio Benincasa (si, proprio quello del lunario azzurro che si comprava dal giornalaio all'inizio di gennaio, per la nonna).
Questo tipo strano di cui si diceva che "riconosceva i pruni al tatto e la merda al puzzo" non doveva essere evidentemente un granchè come indovino, vista la citazione...
Ed infatti noi abbiamo ancora la memoria delle nostre nonne che dicevano, dell'astrolago di moda in televisione "si...quello par lo strolago di Brozzi" e la nostra fiducia immediatamente cadeva al livello delle fogne di Calcutta.
Comunque, chi per lui ci ha fatto su un'industria in piena regola, perchè questi librettini azzurri del lunario sono stati sempre molto venduti, ed hanno generato una quantità di imitazioni di altrettanto successo. (primo tra tutti il calendario del Barbanera, famoso in egual misura).


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domenica 21 gennaio 2018

CURIOSITA' INTORNO AL CASTELLO DELL'IMPERATORE

Quindi il concetto è che qui NON si parla del Castello dell'Imperatore, cosa che, del resto, avevamo già fatto in un precedente post.(link)
Si parla di quello che c'è intorno, tante curiosità che, ammaliati dalla mole del castello federiciano più settentrionale d'Italia, passano spesso inosservate.
In un angolino della piazza che circonda il Castello, all'inizio di una piccola via che sia chiama via San Giovanni, c'è un edificio in mattoni rossi, come ce ne sono a centinaia in tutta la città, specie piccoli edificio ad uso artigianale.
Ed infatti, se abbiamo localizzato bene il luogo e facciamo un piccolo sforzo di memoria, ricordiamo chiaramente di averci visto per anni ed anni una piccola officina meccanica. 

Ed invece è la ex Chiesa di San Giovanni Gerosolimitano (vuol dire: di Gerusalemme), uno degli edificio più antichi della città, risalente al XII secolo e fatta costruire dai Cavalieri di Malta, che l'avevano adibita a Spedale.
Non turbi questo abbinamento: all'epoca era cosa normale; costruire un edificio era molto costoso e nello specifico uno Spedale che fungeva anche da chiesa di un qualche ordine ospedaliero era assai comune.
Dopo secoli di utilizzi alternativi - di cui l'officina è stata solo l'ultimo episodio - la piccola chiesa ad una sola navata è stata recuperata da un fondo di investimento privato, che l'ha destinata a sede di mostre, oppure di eventi privati (a pagamento, s'intende) in modo da recuperarla alla vita sociale della città.
Al suo esterno c'è una piccola maschera in cotto, raffigurante una testa umana contornata da vari altri simboli.

C'è chi dice che si tratti di Bafometto, un idolo pagano che è stato associato al satanismo ed ai Cavalieri Templari, accusati di venerarlo.
A noi sembra poco credibile che una rappresentazione del demonio sia sopravvissuta per tanti anni sul frontale di una chiesa cristiana, per dire la verità.
A noi moderni piace credere a queste cose, ma ne sono successe tante, dal XII secolo ad oggi, per cui quella mascherina dovesse essere tolta da lì, se fosse stato vero!
Andando verso la piazza, troviamo in un angolo, proprio dietro la facciata posteriore della Chiesa di San Francesco - che secondo la nostra opinione è assai più bella di quella anteriore, o perlomeno è diversissima da quella anteriore: classico romanico toscano, mentre la facciata posteriore sembra (ma noi siamo degli ignoranti in fatto di architettura) quasi gotica - a delimitare il giardino degli ulivi, pochi metri delle antiche mura di Prato.
Stiamo parlando della prima cinta muraria, quella costruita nel XI secolo e che lasciava fuori sia il castello degli Alberti, sulle cui rovine fu poi fatto costruire l'attuale Castello dell'Imperatore, sia la chiesa di Santo Stefano.

Fu costruita per unificare i due borghi da cui è nata la città di Prato, Borgo al Cornio, che si situava all'incirca dove adesso è via Garibaldi, e il Castello di Prato, che comprendeva il centro cittadino attuale, escluse le piazze più grandi (Duomo, Carceri e San Francesco).
Lo so che adesso sembra una stupidata; due città diverse in pochi metri. Ma qui stiamo parlando dell'Alto Medioevo, mica si potevano spostare con la tramvia!
Proseguendo verso Piazza San Francesco, troviamo un'altra curiosità: via San Bonaventura, che è la strada più corta della città, meno di cinquanta metri.

Avevamo sempre pensato che la strada proseguisse costeggiando l'attigua piazza Sant'Antonino e poi Piazza San Francesco.
In effetti google maps sembrerebbe confermare questa ipotesi, ma fonti ben informate, tra cui lo stradario del comune di Prato, ci dicono che la strada è solo quella compresa tra la chiesa di San Francesco e le costruzioni prospicenti piazza Sant'Antonino. 
Lo sappiamo, non è una gran notizia, ma avevamo promesso delle curiosità, mica di svelare i segreti della pietra filosofale!
Se giriamo in Piazza Sant'Antonino e ci dirigiamo verso le mura del giardino Buonamici, ci troviamo in una piccola piazza, sempre poco frequentata, e che si chiama Piazza di Santa Maria in Castello.
Chi non è più giovanissimo, si ricorda che quando finivano gli spettacoli al cinema Eden, si usciva in questa piazzetta.
Però ci siamo sempre domandati che c'entrasse con il nome di una chiesa, che in quella piazza non c'è. 
Anzi, sarebbe più esatto dire che non c'è più.
Se ci si avvicina al muro del giardino Buonamici  e si guarda verso il lato opposto della piazza, si vede che la casa che si ha di fronte ha un aspetto strano: 
Nella facciata è inglobato il frontone di una chiesa!

E' come un'illusione ottica, se sai cosa guardare lo vedi.
Era la chiesa più importante del Castello di Prato, di cui vi abbiamo accennato.
E' stata soppressa nel 1783, e trasformata in casa di abitazione.
In tempi recenti è stata abilmente restaurata all'esterno, in modo che possa essere riconoscibile la struttura della chiesa: il portone circondato di pietra alberese, il rosone centrale, la forma del tetto.
Per il momento abbiamo trovato solo queste...
Ma siamo sicuri che scavando ancora, troveremo altre cose curiose.
Abbiate fede.


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domenica 14 gennaio 2018

MONTEROTONDO MARITTIMO ED IL PARCO DELLE BIANCANE

Qui ci sono da fare un po' di chilometri.
A noi son sembrati tanti, abituati come siamo ai nostri chilometri zero, ma a chi non ha problemi ad andare a Follonica solo per andare a sdraiarsi al sole, o per fare un bagno in mare, sicuramente non sembrerà così lontano.
Infatti stiamo parlando del paese di Monterotondo Marittimo, che - come tutti i paesi che hanno "marittimo" nel nome - è in montagna, e Monterotondo, perchè il colle sul quale sorge il borgo è pressochè conico.
Semplice, no?
E' nel pieno delle colline Metallifere, terra di miniere, ora quasi tutte chiuse, ma che riservano ancora un bel po' di sorprese, come queste concrezioni, scarto della lavorazione del rame.

Ma torniamo a Monterotondo che, oltre a sorgere in una zona ricca di minerali, è vicina sia a Siena che a Pisa, e questo ha fatto sì che fosse sempre sempre al centro di contese politiche ed economiche.
E, naturalmente, non mancava la voglia di autonomia del borgo, sull'esempio della vicina Massa Marittima.
Ma nel 1163, Federico Barbarossa - si, proprio lui - concesse il privilegio sui castello alla nobile famiglia degli Alberti.
Questa Famiglia degli Alberti è un ramo di quella dei Conti di Prato, nel senso che sono parenti, ma non sono proprio gli stessi.
Ma siccome sempre Alberti erano, e quindi litigiosi, attaccabrighe, armeggioni e spesso implicati in affari poco puliti, dopo alterne vicende  il castello di Monterotondo passò sotto il dominio di Massa Marittima, e ci rimase sino al 1263, quando fu preso dalla Repubblica Senese.
Poi nel 1554 arrivarono le truppe medicee che rasero al suolo il castello; malattie ed epidemie fecero il resto e la popolazione di Monterotondo si ridusse a poche decide di abitanti.
Del Castello rimane davvero molto poco da vedere, solo un paio di porte, le più recenti perchè si tratta di un fortilizio che nel corso dei secoli è stato ricostruito innumerevoli volte sulle proprio rovine, e alcuni tratti delle mura. Il resto è stato inglobato nelle case di abitazione, e non è visibile.

Ma la maggiore attrattiva di questo piccolo borgo è il parco delle Biancane. 

Le biancane, per chi non lo sapesse, sono delle collinette chiare, che devono il loro colore alla forte presenza di sali minerali, e la fuoriuscita di sodio solforato causa una reazione chimica, trasformando tutto in gesso.
Questa bella pappardellina l'abbiamo copiata pari pari da wikipedia, tanto per dare una spiegazione geologica. Ma siccome la sola parola "geologia" ci fa venire sonno, allora lasciamo le spiegazioni tecniche a chi ne sa più di noi.
A noi piace molti di più descrivervi che posto strano e meraviglioso sia questo, dove il vapore esce sbuffando dalle rocce bianche come la neve, e bisogna tenersi lontani perchè è molto pericoloso!
Come da una specie di belvedere si possa ammirare (si, ammirare) il fango grigio chiaro che sbuffa, e salta, e borbotta, sotto di noi, avvolto in una fascinosa nebbiolina. 

E di come la vegetazione sia stanca, esausta, vicino a questo calore interminabile,e che ricopre di una leggera patina bianca qualunque cosa, e della terra rossa che si scopre nelle impronte delle scarpe di chi ci ha preceduto, e delle rocce color rame che sono rimaste dagli scarti di lavorazione di chissà quanti anni, e dei muretti di contenimento che ancora esistono delle antiche vasche nelle quali il minerale veniva lavato.
E poi ti giri e vedi uno specchio scintillante, e ti ci vuole un po' per capire che quello è il mare, e che quella montagna azzurra che ci vedi galleggiare dentro è l'Isola D'Elba.
Naturalmente non è tutta natura incontaminata, sia chiaro.
Come per  la vicina Larderello, qui il vapore geotermico è stato ampiamente sfruttato per la produzione di energia elettrica - e direi che va anche parecchio bene - e certamente trattandosi di vapore endogeno,  si sta parlando di un fluido che usura molto i macchinari, e la ruggine la fa da padrone, ma credeteci, non si tratta di incuria.
Del resto l'economia ed anche la vita di questi piccoli paesi dell'entroterra grossetano - o pisano, questa è una zona di confine - si basa proprio su queste produzioni, e non si può fare troppo gli schizzinosi.


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domenica 7 gennaio 2018

TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SU MEZZANA (E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)

La Mezzana di cui parliamo è quella di Prato.
Siamo abituati a non considerarla un borgo, ma semplicemente il luogo dove è stata costruita l'uscita di Prato Est della A11.
Ed in effetti, Mezzana non dà l'impressione di avere una storia dietro di sè. 
Camminandoci nel mezzo, come abbiamo fatto noi, ci si ritrova nel mezzo a strade piene di palazzoni anni '70, particolarmente alti rispetto alla media di Prato.
Ed è proprio in questo periodo di crescita tumultuosa (e a volte anche piuttosto disordinata) della nostra città, che Mezzana è diventata quello che è oggi.
Infatti da allora non è cresciuta molto di più; si è solo evoluta, ed in certo senso nobilitata, aggiungendo alle strade di villette e di palazzoni, anche il centro espositivo di arte contemporanea "Luigi Pecci" e, a delimitarne i confini, quello che è stato per molto tempo il salotto buono della città, Viale della Repubblica.
E invece, se si ha un po' di occhio, e voglia di fare due passi, si possono trovare tesori inaspettati.
Procedendo per le strade della parte residenziale, non si fa fatica ad identificare le villette anni '50 (costruite su un piano rialzato, per permettere di avere al piano terreno il proprio laboratorio artigiano); quelle anni '60 (con le caratteristiche rifiniture geometriche a mattoncini) o addirittura quelle anni '30 (dai balconcini rotondi con la balaustra in pietra o cemento).
Se poi si vuole risalire indietro nel tempo, in questa "villa"pratese, che già dal nome si capisce che stava nel mezzo - mediana alla valle del Bisenzio -  ma forse sarebbe più giusto dire che era una "via di mezzo", e allora magari si capisce che poteva riferirsi ad una strada che magari portava da un luogo all'altro, senza che ci fosse bisogno di sapere da dove a dove!
Beh, ci siamo forse un po' persi, in questa via di mezzo...
Torniamo alle nostre costruzioni storiche.
Senza andare molto lontano, sulla via Ferrucci, in mezzo a quei palazzoni troppo alti di cui parlavamo prima, troviamo una costruzione che si capisce subito essere molto antica.
E' il Molino Caciolli, che era di proprietà dello Spedale della Misericordia e Dolce già dal 1367, e che la famiglia Caciolli ha gestito ininterrottamente dal 1652 sino al 1982, quando la gora che lo alimentava è stata deviata, causandone la definitiva chiusura.

Dopo un lungo periodo di doloroso abbandono, il mulino è stato riadattato ad abitazione privata, anche se sul sul angolo, non manca la caratteristica indicazione del comune - in marmo bianco e verde -  che lo identifica come costruzione storica.
Addentrandosi nelle stradine più antiche, ci troviamo a percorrerne una dal nome affascinante: via dell'Agio, dove troviamo, risalente al XIV secolo, Villa Martini.

E' un edificio dall'aspetto a dir poco pittoresco: si tratta di una casa di abitazione, ma l'imponente merlatura-  aggiunta alla fine del XV secolo, proprio dalla famiglia Martini, che l'ha posseduta per secoli - la fa sembrare più un castello fortificato, che una villa ci campagna, quale in effetti è.
Infatti non è certo in posizione tale da difendere un bel niente, nel mezzo ad un pianura come è situata.  Non conosciamo la storia - non abbiamo trovato più di due righe in tutto il web - ma sembrerebbe che questi Martini fossero dei simpaticoni che volevano farsi notare, più che altro.
Accanto, separata da alcune casette e da un cimitero che ha la caratteristica di sorgere nel centro del paese, senza un metro di quella che da bambini conoscevamo come "zona di rispetto" e che impediva la costruzione di edifici di abitazione accanto ai cimiteri, sorge la chiesa parrocchiale, dedicata a San Pietro.

La chiesa non è antica: risale al 1939, e la sua storia merita di essere raccontata perchè certe cose, a farle adesso, si verrebbe messi in croce a testa in giù.
Nello stesso sito c'era una bella chiesa a tre navate, risalente al 1500.
Il parroco di allora, don Pio Vannucchi, nome noto in città, e a cui è dedicata una strada, decise di abbatterla  nel 1937 per costruirne una più grande, in previsione di quello che già si prevedeva essere lo sviluppo futuro della zona.
La chiesa fu costruita con il contributo di tutto il popolo di Mezzana, e fu consacrata il 17 giugno del 1939 (un gran brutto periodo, in verità...), e gli affreschi che ci sono dentro, fatti da Leonetto Tintori, raffigurano personaggi della Mezzana dell'epoca.
Girando invece nella zona intorno al Museo Pecci, ci si imbatte in un piccolo e incredibile gioiello, quello del minuscolo oratorio di Sant'Andrea a Tontoli.
Non si trova per caso, bisogna cercarlo, perchè è nascosta tra case di abitazione, questa piccola chiesa romanica del XII secolo, recentemente restaurata, costruita tutta in pietra alberese, e un con piccolissimo campanile a vela, a filo di facciata.
Vi consigliamo di andarla a vedere di sera, perchè è illuminata in modo veramente suggestivo.

Noi siamo rimasti incantati a vedere questa piccola facciata, che somiglia a un piccolo viso un po' grinzoso, incastonato tra le case, e che ti guarda come a dirti : "io ce l'ho fatta, sono ancora qui, dopo otto secoli, chissà che cosa rimarrà invece di tutto quello che mi circonda".


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