domenica 9 febbraio 2020

UNA PERIFERIA DI PRATO: IL CANTIERE

Per essere una periferia è parecchio strana, perchè è in centro.
Chiusa in un triangolo tra il fiume Bisenzio e il terrapieno delle due ferrovie  che passano da Prato, e che si riuniscono proprio in questo triangolo: la Direttissima che va a Bologna e la linea che invece porta a Lucca e poi a Viareggio, la Maria Antonia.
Permetteteci due parole su queste due linee ferroviarie, perchè sono molto importanti...
La Maria Antonia è considerata la prima ferrovia internazionale al mondo, perchè quando fu pensata nel 1848, il Ducato di Lucca non faceva parte del Granducato di Toscana, per cui, per unire Firenze a Pisa era necessario passare da Lucca (e quindi..)
Il primo tratto, costruito proprio nel 1848, fu proprio quello da Firenze a Prato.
Per quanto riguarda la Direttissima, qui inizia il tratto appenninico, perchè poco più in là c'è l'imbocco della Grande Galleria dell'Appennino, che,  con i suoi oltre 18,5 km di lunghezza, richiese ben 11 anni di lavori negli anni '20 del XX° secolo.
E qui torniamo al nostro argomento, perchè le casette degli operai che lavoravano al cantiere erano proprio qui, in questo triangolo tra il Bisenzio e la Maria Antonia, un terreno demaniale di proprietà delle Ferrovie.
Poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Prato cominciava già a richiamare manodopera per la sua industria tessile, specie dal Sud, quelle baracche cominciarono a tornare utili a chi non aveva altro posto dove andare.
Cominciò così, negli anni '50 del secolo scorso, una crescita disordinata di casette, per lo più a un piano, che nascevano senza un piano regolatore - ovviamente, essendo abusive - e che si sviluppavano seguendo le ferrovie e poi in vicoletti, corticine e una straordinaria chiesetta che ha l'aspetto di una missione spagnola nella California del Sud, con le sue campane a vela, anzichè il campanile, così come ci hanno abituato a vederle negli Spaghetti-western.

Ed infatti è dedicata al Beato Junipero Serra, che da quando è stata eretto l'Oratorio (infatti è una chiesetta piccolissima) è diventato Santo, proclamato da Papa Francesco nel 2015.

Si tratta di un Santo molto controverso, perchè se da un lato fu tra i primi evangelizzatori del nord America - guarda caso fu proprio tra i primi evangelizzatori della California - fu pesantemente accusato dai nativi americani di aver partecipato attivamente al loro sterminio.
Accanto alla porta c'è  il riconoscimento del Comune di Prato come monumento: quattro riquadri in marmo, di cui uno in serpentino verde, con un accenno storico. L'oratorio, costruito appunto in stile neo-coloniale, risale al 1960 ed è l'unico dedicato a questo santo in tutta Italia, su richiesta del Serra Club di Prato.
Il Serra club di Prato?!
Ebbene, sì. Esiste questo Movimento Serra, dedicato appunto a Santo Junipero Serra, molto attivo in nord-America ma diffuso anche da noi (ha una sede anche a Prato, con tanto di organigramma) che promuove e sostiene nuove vocazioni al Sacerdozio ministeriale della Chiesa.
Non abbiamo trovato notizie certe, ma abbiamo ritenuto plausibile che una chiesa intitolata a questo Santo in una "zona di frontiera" come era il quartiere negli anni '60 sia sembrata una scelta più che sensata.
Infatti - e torniamo al nostro quartiere - negli anni '60 e '70 questo era considerato un quartiere poco raccomandabile; non era considerato affatto prudente avventurarsi per queste stradine tortuose, che a quei tempi erano ancora fiancheggiate da baracche o rustici, o abitazioni piuttosto precarie.
La cosa era ancora più stridente, perchè appena oltrepassavi uno dei sottopassi della ferrovia, ti trovavi nella zona più "chic" della città, il quartiere de "La Pietà", con le sue ville con giardino, circondate da alti muri, o le dignitosissime case a due piani in stile classico, anche quelle con ampi giardini posteriori. 
A quei tempi (parliamo sempre degli anni '70) cominciavano appena a venir costruiti  i primi palazzi di lusso, disegnati da architetti di nome, con ampie terrazze piene di verde ed i parcheggi interrati.
Il contrasto era terribile.
Adesso invece, dopo le sanatorie che si sono susseguite negli anni, e che qui sono state complicate dal fatto che il terreno su cui le case erano state costruite era di proprietà delle Ferrovie, il quartiere ha perso il suo alone malfamato, per diventare un luogo tranquillo e diverso da tutto il resto della città.
Come se la chiesetta in stile neo-coloniale (che si vede bene dall'altra parte del fiume Bisenzio) non bastasse, come abbiamo già avuto modo di dire, qui le strade diritte, a parte quelle che costeggiano le ferrovie, sono poche. 


Sono stradine tortuose, a conferma della crescita disordinata della case, che venivano costruite dagli abitanti stessi, utilizzando ogni istante libero dal lavoro.


Non sembra di stare in una città, ma in un piccolo paese, con le sue casette basse (difficilmente sono a più di un piano, al massimo hanno una grande terrazza colma di grandi vasi di agrumi), piccole corti con giardinetti, panchine collocate in modo che ci si possa sedere a chiacchierare, piazzette dove le case - tutte molto graziose -  hanno però anche tutte colori diversi.
Non si ha assolutamente la percezione della città: ci si trova proiettati in uno di quei piccoli paesi dove la gente si ferma a parlare, dove ti salutano anche se non ti conoscono, dove dalle finestre aperte senti già, alle dieci di mattina, l'odore del sugo che cuoce pian piano nella pentola.
Abbiamo conosciuto delle persone che provenivano da questo quartiere e possiamo anche dire che c'è un senso di appartenenza ed una solidarietà sconosciuta ad altre zone della città.

Un "feeling" veramente positivo, bellissimo.
Poi si si attraversa il famoso sottopasso, ed eccoci a Prato, eccoci a "la Pietà".
Gran bel posto, beninteso, ma un altro mondo!
Qui le strade sono grandi e diritte, la gente fa gli affari suoi, le macchine sono parcheggiate nei posti numerati, ed i parcheggio privato del condominio di lusso ha la catena.
Ecco, forse il bello di questa zona è proprio questo straordinario contrasto tra questi due mondi paralleli, così vicini ma destinati a non incontrarsi mai.
Fateci un giro. 
Ne vale la pena.

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