Questa è una bella storia ma, contrariamente al solito, bisogna fare un po' di chilometri per arrivare sul luogo.
Anche se è un luogo segreto, nascosto, meno conosciuto; fuori dai circuiti turistici più battuti.
Bisogna andare in uno dei luoghi più belli d'Italia, in Umbria, sul lago Trasimeno; quindi un viaggio bello e comunque poco impegnativo.
Vernazzano è attualmente una frazione del comune di Tuoro sul Trasimeno. Si sale un po', e quando si vedono le isole Maggiore e Minore sul Lago, vuol dire che si è arrivati.
L'antico castello fu donato dalla nobile famiglia dei De Marchiones al monastero di Santa Maria Petroia nel 1098, ma sicuramente esisteva già da un po', con tanto di torre di guardia.
Infatti era situato su un nodo viario assai importante per il tempo, perchè collegava Perugia al lago, e quindi a Cortona, ad Arezzo e Firenze.
Nel 1282 contava ben 52 famiglie, una comunità importante per l'epoca.
Un centinaio di anni dopo fu occupata da dei fuoriusciti perugini, i Michelotti, che razziarono le isole e l'abitato, e ci vollero anni e un bel po' di denaro da parte di Perugia, per riuscire a rientrare in possesso del castello.
L'attacco da parte di Firenze che nel 1479 incendiò e distrusse l'abitato, fu decisivo per la sorte di Vernazzano. L'abitato non si riprese più da quei danni, anche perchè nel frattempo erano cambiate le sorti politiche della zona, e la sua non era più una posizione strategica: erano state costruite altre vie di comunicazione più dirette e veloci e Vernazzano rimase fuori dal giro.
Iniziò lentamente a spopolarsi, e quando nel 1750 un disastroso terremoto fece crollare gran parte delle abitazioni e portò la torre di guardia alla sua attuale pendenza, la popolazione rimanente ritenne più opportuno trasferirsi più a valle, dove nel 1772 venne inaugurata la nuova chiesa di San Michele Arcangelo.
Nel frattempo intorno alla costruenda chiesa, erano sorte le abitazioni di chi aveva potuto o voluto rimanere negli stessi luoghi in cui era nato e vissuto. Infatti la distanza tra i due paesi è minima: poche centinaia di metri più a valle, dall'altra parte del torrente Rio.
E sullo sperone roccioso è rimasta solo la torre di guardia, incredibilmente inclinata di ben 13 gradi, quindi un'inclinazione superiore a quella della torre di Pisa!
Infatti, per metterla in sicurezza, hanno dovuto ingabbiarla e sostenerla con dei tiranti; una cosa che certamente non potrebbero fare con l'assai più famosa torre pisana, e che non è certo il massimo dell'estetica, ma è sempre meglio che ritrovarsi con un mucchio di macerie!
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domenica 26 novembre 2017
domenica 19 novembre 2017
IL CASTELLO DI MONTERIGGIONI O ABBADIA ISOLA?
C'è uno strano destino che a volte unisce e divide dei luoghi ugualmente splendidi che abbiamo vicini.
Potremmo trovare decine di esempi per parlarvi di questa particolarità, ma ne scegliamo uno solo, quello del titolo:
Il Castello di Monteriggioni ed Abbadia Isola.
Crediamo che il Castello di Monteriggioni non abbia bisogno di presentazioni. Si tratta di uno splendido borgo fortificato, il cui andamento circolare delle mura, fu ottenuto semplicemente seguendo il perimetro della collina.
Fu costruito su terreni di proprietà dei Da Staggia, dove già sorgeva un'antica fattoria Longobarda che doveva essere probabilmente di proprietà regale (da cui il toponimo Montis Regis).
L'edificazione di un nuovo castello da parte della repubblica Senese di un nuovo castello era una novità, perchè di solito si limitavano a conquistarne uno già esistente. Ed ai fiorentini questa alzata di ingegno non piacque... iniziarono quindi le guerre per il suo possesso, già nel 1244 e poi nel 1254 e poi nel 1269 e ancora innumerevoli battaglie e sempre Siena riuscì a tenerselo!
Bisogna arrivare al 27 Aprile del 1554 perchè Monteriggioni passi sotto il dominio di Firenze. Ma non per una sconfitta, bensì per un tradimento, quello del capitano Bernardino Zeti corrotto dal Marchese di Marignano.
Questo Marchese di Marignano merita due parole.
Prima di tutto perchè occupando Monteriggioni, gettò le basi per la definitiva sconfitta di Siena, con la sanguinosissima battaglia di Scannagallo, ed il seguente assedio di Siena che si concluse il 17 aprile del 1555, con la resa definitiva della città.
Poi perchè il suo nome era Gian Giacomo Medici. Però non era nato a Firenze, bensì a Milano e non aveva nessun legame di parentela con i Medici di Firenze.
Anzi, era di famiglia di condizioni sociali piuttosto modeste.
Per dire la verità, i Medici di Firenze, quando lui che era diventato ormai un famoso condottiero, nonchè Marchese di Marignano; consegnò loro Siena su un vassoio d'argento; cominciò a vantare un fratello papa (Pio IV) ed un nipote che si chiamava Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, non arricciavano più il naso in sua presenza, chiamandolo con il nomignolo con cui era conosciuto, cioè "medeghino" che vorrebbe dire "piccolo Medici", a causa della sua bassa statura.
Ma anzi, cominciarono a dire che era loro parente.
Accettarono allora il gentile omaggio e cancellarono la repubblica di Siena dalla faccia della terra, inglobandola nel loro granducato.
Dunque, da dove eravamo partiti....?
Ah, che non dovevamo parlare di Monteriggioni perchè di Monteriggioni sapevamo tutto.
Ed infatti abbiamo parlato di tutt'altro, no?!
Questo per dire che Monteriggioni è una località assai nota, turistica, ben conosciuta. c'è un ampio parcheggio dedicato ai bus turistici, una bella scalinata per salire al paese, affollatissimo, con bei negozi, bei ristoranti, tanta gente.
Talmente tanta gente che noi siamo scappati via.
Ormai ci conoscete, lo sapete come siamo.
Ci piacciono i posti meno conosciuti.
Abbiamo fatto quattro (dicasi quattro) chilometri e siamo andati ad Abbadia Isola.
Questo piccolo, incantevole borgo, ci riporta in pieno medioevo.
Infatti era una delle tappe indicate da Sigerico sulla via Francigena, per fare tappa e tornarsene in Inghilterra, nel 990.
A quei tempi era conosciuta come Borgonuovo, ma siccome la zona era paludosa, l'Abbazia sorgeva dal lago, come un'isola.
Ed il nome, così evocativo, è rimasto.
Il paese è molto piccolo, ma ci sono case in cui la gente abita davvero. Abbiamo visto gatti sul davanzale al sole, panni stesi ad asciugare, una signora che spazzava davanti a casa... nessun negozio nel borgo medioevale. Solo un piccolo ristorante.
Dall'altra parte della provinciale, c'era il centro commerciale: un distributore di benzina, un bar, un minimarket.
Nel minuscolo parcheggio, oltre alla nostra macchina, solo un camper di olandesi.
E ci siamo domandati: Perchè?
Che cos'ha Abbadia Isola meno di Monteriggioni?
Perchè laggiù (quattro chilometri, ricordate?!) la gente fa a gomitate per vedere un posto certamente bellissimo e ricco di storia, e qui, dove la storia è la stessa ed è altrettanto bella e suggestiva, non c'è nessuno?
Sono domande cosmiche, che non hanno una risposta.
Forse a Monteriggioni è stata dato maggiore risalto, sui media oppure in TV.
In effetti il nome del Castello di Monteriggioni è conosciuto, e la sua immagine nota, mentre Abbadia Isola... se lo si chiede a uno di Pordenone, magari nemmeno la sa collocare geograficamente.
E' il destino di molti borghi, sparsi in tutta Italia, vicini ad uno noto, famoso, frequentatissimo.
Altrettanto belli e carichi di storia, ma dimenticati.
Ma per questo ci siamo noi.
Fateci un giretto. Sotto c'è la mappa per andarci!
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Potremmo trovare decine di esempi per parlarvi di questa particolarità, ma ne scegliamo uno solo, quello del titolo:
Il Castello di Monteriggioni ed Abbadia Isola.
Crediamo che il Castello di Monteriggioni non abbia bisogno di presentazioni. Si tratta di uno splendido borgo fortificato, il cui andamento circolare delle mura, fu ottenuto semplicemente seguendo il perimetro della collina.
Fu costruito su terreni di proprietà dei Da Staggia, dove già sorgeva un'antica fattoria Longobarda che doveva essere probabilmente di proprietà regale (da cui il toponimo Montis Regis).
L'edificazione di un nuovo castello da parte della repubblica Senese di un nuovo castello era una novità, perchè di solito si limitavano a conquistarne uno già esistente. Ed ai fiorentini questa alzata di ingegno non piacque... iniziarono quindi le guerre per il suo possesso, già nel 1244 e poi nel 1254 e poi nel 1269 e ancora innumerevoli battaglie e sempre Siena riuscì a tenerselo!
Bisogna arrivare al 27 Aprile del 1554 perchè Monteriggioni passi sotto il dominio di Firenze. Ma non per una sconfitta, bensì per un tradimento, quello del capitano Bernardino Zeti corrotto dal Marchese di Marignano.
Questo Marchese di Marignano merita due parole.
Prima di tutto perchè occupando Monteriggioni, gettò le basi per la definitiva sconfitta di Siena, con la sanguinosissima battaglia di Scannagallo, ed il seguente assedio di Siena che si concluse il 17 aprile del 1555, con la resa definitiva della città.
Poi perchè il suo nome era Gian Giacomo Medici. Però non era nato a Firenze, bensì a Milano e non aveva nessun legame di parentela con i Medici di Firenze.
Anzi, era di famiglia di condizioni sociali piuttosto modeste.
Per dire la verità, i Medici di Firenze, quando lui che era diventato ormai un famoso condottiero, nonchè Marchese di Marignano; consegnò loro Siena su un vassoio d'argento; cominciò a vantare un fratello papa (Pio IV) ed un nipote che si chiamava Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, non arricciavano più il naso in sua presenza, chiamandolo con il nomignolo con cui era conosciuto, cioè "medeghino" che vorrebbe dire "piccolo Medici", a causa della sua bassa statura.
Ma anzi, cominciarono a dire che era loro parente.
Accettarono allora il gentile omaggio e cancellarono la repubblica di Siena dalla faccia della terra, inglobandola nel loro granducato.
Dunque, da dove eravamo partiti....?
Ah, che non dovevamo parlare di Monteriggioni perchè di Monteriggioni sapevamo tutto.
Ed infatti abbiamo parlato di tutt'altro, no?!
Questo per dire che Monteriggioni è una località assai nota, turistica, ben conosciuta. c'è un ampio parcheggio dedicato ai bus turistici, una bella scalinata per salire al paese, affollatissimo, con bei negozi, bei ristoranti, tanta gente.
Talmente tanta gente che noi siamo scappati via.
Ormai ci conoscete, lo sapete come siamo.
Ci piacciono i posti meno conosciuti.
Abbiamo fatto quattro (dicasi quattro) chilometri e siamo andati ad Abbadia Isola.
Questo piccolo, incantevole borgo, ci riporta in pieno medioevo.
Infatti era una delle tappe indicate da Sigerico sulla via Francigena, per fare tappa e tornarsene in Inghilterra, nel 990.
A quei tempi era conosciuta come Borgonuovo, ma siccome la zona era paludosa, l'Abbazia sorgeva dal lago, come un'isola.
Ed il nome, così evocativo, è rimasto.
Il paese è molto piccolo, ma ci sono case in cui la gente abita davvero. Abbiamo visto gatti sul davanzale al sole, panni stesi ad asciugare, una signora che spazzava davanti a casa... nessun negozio nel borgo medioevale. Solo un piccolo ristorante.
Dall'altra parte della provinciale, c'era il centro commerciale: un distributore di benzina, un bar, un minimarket.
Nel minuscolo parcheggio, oltre alla nostra macchina, solo un camper di olandesi.
E ci siamo domandati: Perchè?
Che cos'ha Abbadia Isola meno di Monteriggioni?
Perchè laggiù (quattro chilometri, ricordate?!) la gente fa a gomitate per vedere un posto certamente bellissimo e ricco di storia, e qui, dove la storia è la stessa ed è altrettanto bella e suggestiva, non c'è nessuno?
Sono domande cosmiche, che non hanno una risposta.
Forse a Monteriggioni è stata dato maggiore risalto, sui media oppure in TV.
In effetti il nome del Castello di Monteriggioni è conosciuto, e la sua immagine nota, mentre Abbadia Isola... se lo si chiede a uno di Pordenone, magari nemmeno la sa collocare geograficamente.
E' il destino di molti borghi, sparsi in tutta Italia, vicini ad uno noto, famoso, frequentatissimo.
Altrettanto belli e carichi di storia, ma dimenticati.
Ma per questo ci siamo noi.
Fateci un giretto. Sotto c'è la mappa per andarci!
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domenica 12 novembre 2017
AUTUNNO NELL'ANCHIONESE E IL PORTO DEL CASINO DEL LILLO
Difficile che riusciate ad andarci quest'anno ormai, magari questo post ve lo dovete ricordare per l'anno prossimo.
Oppure meglio ancora: fregatevene delle nostre indicazioni e andateci quando volete, anche perchè secondo il nostro modesto parere, questi luoghi hanno un grande fascino in tutte le stagioni dell'anno.
Adesso il "foliage" (vorrebbe dire quando le foglie degli alberi cambiano colore da verdi a rosse o gialle) regala al paesaggio dei colori splendidi, ma siamo certi che gli alberi fioriti in primavera, oppure verdeggianti in estate, o nella nebbia in pieno inverno, non siano meno suggestivi.
Ok, vi immaginiamo già tamburellare con le dita: "tutta 'sta pappardella per autunno, ma che cavolo è l'anchionese?".
Giusto.
Anchione è una località del comune di Ponte Buggianese, situata al limite settentrionale del padule di Fucecchio.
In prossimità della frazione, oltrepassata l'antica Dogana Medicea
- che era una dogana dove le merci approvano via acqua e non via terra - e attraversato il ponte detto "del Pallini" (l'ultimo ponte sul Pescia prima che si impaludasse), proseguiamo su uno sterrato percorribile da qualsiasi vettura, e ci troviamo al Casino del Lillo, uno dei tanti porti dei barchini dei cacciatori, ma uno dei pochi (forse l'unico?) completamente restaurato dai cacciatori stessi, e che chiunque, con il dovuto rispetto, può visitare liberamente.
- che era una dogana dove le merci approvano via acqua e non via terra - e attraversato il ponte detto "del Pallini" (l'ultimo ponte sul Pescia prima che si impaludasse), proseguiamo su uno sterrato percorribile da qualsiasi vettura, e ci troviamo al Casino del Lillo, uno dei tanti porti dei barchini dei cacciatori, ma uno dei pochi (forse l'unico?) completamente restaurato dai cacciatori stessi, e che chiunque, con il dovuto rispetto, può visitare liberamente.
Qui il connubio tra i cacciatori, i loro cani e l'ambiente naturale, è totale.
Noi non amiamo la caccia, ma abbiamo molta stima per chi ha dedicato tanto tempo e risorse a ricostruire un ambiente tanto particolare, e che permette di godere così appeno della natura.
Il silenzio è totale, gli uomini parlano sottovoce, timorosi di turbarlo; solo qualche cane abbaia lontano.
Visitiamo in silenzio il porticciolo: vediamo arrivare un barchino dal canale, e rimaniamo sorpresi nel vedere quanto l'acqua sia poco profonda; il cacciatore ed il cane scendono direttamente nell'acqua senza problemi.
Leggiamo la lapide sul casotto di caccia; vengono ricordate due vittime dell'eccidio nazista del 23 agosto 1944, un padre e un figlio poco più che diciassettenne.
Nelle strade vicine troviamo molte di queste lapidi, vicine a un cipresso, e un'altra commemorativa davanti alla nuova chiesa di Anchione.
Abbiamo avuto una strana impressione di questa strage nazista, dimenticata dai più. E' come se il tempo qui avesse avuto uno stop, come se da quella strage, questi luoghi non si fossero mai ripresi.
Le edicole commemorative lungo gli stradoni bianchi, fanno un tutt'uno con le case coloniche diroccate sullo sfondo, a simboleggiare che, con quella feroce uccisione da parte delle truppe naziste sulla popolazione civile inerme, un'epoca finiva definitivamente.
L'epoca della vita contadina in questi luoghi, dove adesso vediamo tutto bello e ridente, coltivato com'è a vivaio di piante, ad albereta, punteggiato di belle villette rosso mattone o giallo vivo.
Ma alla fine dell'ottocento qui la vita doveva essere molto dura, si viveva dei prodotti della palude, cominciava appena qualche bonifica e non si arava terreno, ma fango.
Se si arrivava a quarant'anni era già tanto, e comunque a quell'età si era già vecchi, finiti. L'alternativa era morire di malaria o di qualche malattia di palude. Poi con gli anni le bonifiche diventarono sempre di più e le fattorie di moltiplicavano; se ne vedono tante in questa pianura.
Poi arrivò quel 23 agosto 1944, e qui non rimase più nessuno. Donne, vecchi, bambini, tutti fucilati dai nazisti. Quando gli uomini tornarono dalla guerra - quelli che tornarono - andarono a lavorare nelle fabbriche, all'estero, oppure a Prato, o a Pistoia, lontano da questa vita e da quest'incubo. E qui tutto è rimasto cristallizzato, come l'antica Dogana Medicea, che - guarda caso - è diventata sede del centro di documentazione dell'eccidio nazista del Padule di Fucecchio.
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domenica 5 novembre 2017
LE BUCHETTE DEL VINO A PRATO
Le avrete viste di sicuro, così come le abbiamo viste noi per tutta la vita, domandandoci - ma in maniera piuttosto distratta, oltretutto - che cosa cossero quelle piccole finestrelle, il più delle volte a forma ogivale, che vedevamo nei muri dei palazzi antichi.
Per una fortunata coincidenza siamo venuto a sapere di che cosa si tratta, e come si chiamano. Sono le buchette del vino.
Si chiamano così perchè, sostanzialmente, servivano alle famiglie nobili per vendere il vino che loro stessi producevano, in maniera discreta, in modo da non mettersi contro gli osti delle taverne - che da loro quello stesso vino lo compravano e poi lo dovevano rivendere, quindi una concorrenza sleale. Adesso si rischia un'azione legale, a quei tempi, una coltellata nella schiena - e anche perchè così non si dava troppo nell'occhio nei confronti del popolo.
Infatti queste buchette servivano per arrotondare le entrate, quando i redditi delle antiche famiglie andavano assottigliandosi.
Adesso un grande nome è un'ottima carta da giocare nel commercio, ma a quei tempi veniva considerato dequalificante. E quindi queste buchette le troverete sempre nelle strade secondarie che circondano i palazzi nobiliari.
L'incarico di vendere il vino era affidato ad un servitore.
Ci sono anche casi in cui le buchette sono in bella evidenza.
In questo caso servivano alle famiglie nobili, durante il giorno, per offrire ai poveri gli avanzi delle loro tavole.
Ma non vi sbagliate: di notte servivano comunque per vendere il vino.
In piazza del Comune, sotto le logge, abbiamo trovato una buchetta dalla forma inconfondibile.
Ci passa un fiasco preciso!
Ma altre ce ne sono in molti altri palazzi
altre, recentemente trasformate in edicole sacre
a volte con delle piccole imposte di legno.
Sappiamo che sono diffuse nello stesso modo anche a Firenze ed a Pistoia, ed è logico; siamo tutti nella stessa piana, e che ci piaccia o no, siamo parenti molto stretti, ed abbiamo usi e costumi molto simili.
Non abbiamo mai fatto caso se queste buchette esistono anche fuori zona, che so...a Lucca o a Siena, ma scommetteremmo di sì.
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Per una fortunata coincidenza siamo venuto a sapere di che cosa si tratta, e come si chiamano. Sono le buchette del vino.
Si chiamano così perchè, sostanzialmente, servivano alle famiglie nobili per vendere il vino che loro stessi producevano, in maniera discreta, in modo da non mettersi contro gli osti delle taverne - che da loro quello stesso vino lo compravano e poi lo dovevano rivendere, quindi una concorrenza sleale. Adesso si rischia un'azione legale, a quei tempi, una coltellata nella schiena - e anche perchè così non si dava troppo nell'occhio nei confronti del popolo.
Infatti queste buchette servivano per arrotondare le entrate, quando i redditi delle antiche famiglie andavano assottigliandosi.
Adesso un grande nome è un'ottima carta da giocare nel commercio, ma a quei tempi veniva considerato dequalificante. E quindi queste buchette le troverete sempre nelle strade secondarie che circondano i palazzi nobiliari.
L'incarico di vendere il vino era affidato ad un servitore.
Ci sono anche casi in cui le buchette sono in bella evidenza.
In questo caso servivano alle famiglie nobili, durante il giorno, per offrire ai poveri gli avanzi delle loro tavole.
Ma non vi sbagliate: di notte servivano comunque per vendere il vino.
In piazza del Comune, sotto le logge, abbiamo trovato una buchetta dalla forma inconfondibile.
Ci passa un fiasco preciso!
Ma altre ce ne sono in molti altri palazzi
altre, recentemente trasformate in edicole sacre
a volte con delle piccole imposte di legno.
Sappiamo che sono diffuse nello stesso modo anche a Firenze ed a Pistoia, ed è logico; siamo tutti nella stessa piana, e che ci piaccia o no, siamo parenti molto stretti, ed abbiamo usi e costumi molto simili.
Non abbiamo mai fatto caso se queste buchette esistono anche fuori zona, che so...a Lucca o a Siena, ma scommetteremmo di sì.
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domenica 22 ottobre 2017
A UN TIRO DI SCHIOPPO: CASOLE D'ELSA
Una bella gita in un bel posto vicino.
E' quello che vi aspettate dai nostri suggerimenti.
Eccoci qua, al 100%!
Casole D'Elsa.
E' in Val'Elsa (lo dice il nome) quindi uno dei nostri luoghi preferiti.
Come tutti i borghi da queste parti, fu teatro di dispute sanguinosissime tra la Repubblica Fiorentina e Siena, finchè, dopo l'arcinota battaglia di Montaperti, nel 1260, non rientrò sotto la sfera d'influenza di Siena.
E ci rimase sino al XVI scolo, quando entrò a far parte del Granducato di Toscana, sotto il dominio dei Medici.
Poi, entrò a far parte del Regno d'Italia, che le piacesse o no.
Essendo in una zona di passaggio, come tutta la Val d'Elsa del resto, fu praticamente distrutto nel 1944, con il passaggio del fronte nel corso della seconda guerra mondiale.
Quindi, molto in sintesi, una storia che abbiamo raccontato almeno un centinaio di volte, in tutto simile a quella di molti altri borghi che abbiamo visitato e che vi spingiamo a visitare a vostra volta.
E allora che ci andiamo a fare... direte voi. Storia vista e rivista.
Prima di tutto Casole è in un luogo incantevole. Su una collina, domina un panorama a perdita d'occhio, e dove ci sono anche poche zone industriali!
E poi è uno di quei borghi senesi talmente accurati, dove persino i panni stesi ad asciugare sono in nuance tra di loro, tanto che ti domandi se la vecchietta con il grembiule a fiori seduta sulla sedia impagliata, e che fa la calza davanti a casa sua, non sia per caso pagata dalla pro-loco.
Noi ci siamo capitati durante una fiera dei fiori (si, va bene, sembra un gioco di parole, ma per una volta non ce lo siamo cercato...) e l'atmosfera era così deliziosa che non abbiamo potuto far altro che passeggiare su e giù, cercando di assorbire più serenità possibile da quel luogo incantevole.
Quando poi abbiamo cercato un posto dove poter nutrire anche il corpo, (oltre che l'anima) abbiamo trovato un ristante all'aperto con una vista a dir poco spettacolare sulla valle, i prati ed i borghi vicini.
Abbiamo mangiato bene, ma per quel che ci riguarda potevano darci da mangiare anche rape lesse: con quel panorama da ammirare non ce ne saremo accorti nemmeno.
Più in basso, un percorso pedonale conduce all'ammirazione di alcune opere di artisti contemporanei,
di cui alcuni già li conosciamo, perchè abbiamo visitato "Selva di sogno" (link) e altri invece ci hanno sorpreso per la loro forza, pensando soprattutto che si trovano in un piccolo borgo, e non in una grande città, dove sicuramente potrebbero essere visti da un maggior numero di persone.
Ma si sa che a volte le piccole realtà locali sono quelle maggiormente aperte rispetto ad altre più grandi, che possono scegliere tra molte proposte e privilegiare magari grandi nomi, e non artisti emergenti o locali.
Certo, le piccole realtà hanno anche qualche problema di censura.
Questa statua non ha senso, se non si sa che il personaggio qui ritratto stava guardandosi il pisello, e che l'amministrazione locale lo ha fatto togliere perchè era vicino ad una scuola e poteva turbare i bambini!!
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E' quello che vi aspettate dai nostri suggerimenti.
Eccoci qua, al 100%!
Casole D'Elsa.
E' in Val'Elsa (lo dice il nome) quindi uno dei nostri luoghi preferiti.
Come tutti i borghi da queste parti, fu teatro di dispute sanguinosissime tra la Repubblica Fiorentina e Siena, finchè, dopo l'arcinota battaglia di Montaperti, nel 1260, non rientrò sotto la sfera d'influenza di Siena.
E ci rimase sino al XVI scolo, quando entrò a far parte del Granducato di Toscana, sotto il dominio dei Medici.
Poi, entrò a far parte del Regno d'Italia, che le piacesse o no.
Essendo in una zona di passaggio, come tutta la Val d'Elsa del resto, fu praticamente distrutto nel 1944, con il passaggio del fronte nel corso della seconda guerra mondiale.
Quindi, molto in sintesi, una storia che abbiamo raccontato almeno un centinaio di volte, in tutto simile a quella di molti altri borghi che abbiamo visitato e che vi spingiamo a visitare a vostra volta.
E allora che ci andiamo a fare... direte voi. Storia vista e rivista.
Prima di tutto Casole è in un luogo incantevole. Su una collina, domina un panorama a perdita d'occhio, e dove ci sono anche poche zone industriali!
E poi è uno di quei borghi senesi talmente accurati, dove persino i panni stesi ad asciugare sono in nuance tra di loro, tanto che ti domandi se la vecchietta con il grembiule a fiori seduta sulla sedia impagliata, e che fa la calza davanti a casa sua, non sia per caso pagata dalla pro-loco.
Noi ci siamo capitati durante una fiera dei fiori (si, va bene, sembra un gioco di parole, ma per una volta non ce lo siamo cercato...) e l'atmosfera era così deliziosa che non abbiamo potuto far altro che passeggiare su e giù, cercando di assorbire più serenità possibile da quel luogo incantevole.
Quando poi abbiamo cercato un posto dove poter nutrire anche il corpo, (oltre che l'anima) abbiamo trovato un ristante all'aperto con una vista a dir poco spettacolare sulla valle, i prati ed i borghi vicini.
Abbiamo mangiato bene, ma per quel che ci riguarda potevano darci da mangiare anche rape lesse: con quel panorama da ammirare non ce ne saremo accorti nemmeno.
Più in basso, un percorso pedonale conduce all'ammirazione di alcune opere di artisti contemporanei,
di cui alcuni già li conosciamo, perchè abbiamo visitato "Selva di sogno" (link) e altri invece ci hanno sorpreso per la loro forza, pensando soprattutto che si trovano in un piccolo borgo, e non in una grande città, dove sicuramente potrebbero essere visti da un maggior numero di persone.
Ma si sa che a volte le piccole realtà locali sono quelle maggiormente aperte rispetto ad altre più grandi, che possono scegliere tra molte proposte e privilegiare magari grandi nomi, e non artisti emergenti o locali.
Certo, le piccole realtà hanno anche qualche problema di censura.
Questa statua non ha senso, se non si sa che il personaggio qui ritratto stava guardandosi il pisello, e che l'amministrazione locale lo ha fatto togliere perchè era vicino ad una scuola e poteva turbare i bambini!!
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venerdì 20 ottobre 2017
NEL MUGELLO: LA FORTEZZA DI SAN PIERO A SIEVE E IL PONTE DI CIMABUE
Tutti sanno che i Medici sono originari della zona del Mugello.
Pochi invece sanno che a San Piero a Sieve esiste una fortezza Medicea.
Noi, per esempio, non lo sapevamo.
Ed invece è abbastanza vicina al piccolo e grazioso centro storico della cittadina, da poco unita nello stesso comune con la vicina Scarperia.
E' situata su una piccola altura, anzi, vorremmo dire che "è" la piccola altura, perchè si tratta probabilmente della più grande fortezza medicea che sia mai stata costruita, e l'esterno è quello che conosciamo bene, e che abbiamo visto in tante altre fortezze medicee della zona, tutte opera del Buontalenti, del resto: terrapieni coperti di laterizio rosso, i baluardi (noi ne abbiamo contati nove) ancora assai imponenti, due grandi portoni uno che guarda verso Firenze ed uno che guarda verso Bologna.
All'interno non è attualmente visitabile, perchè secoli di incuria sono difficili da recuperare in pochi anni di restauri; inoltre c'è una vera e propria cittadella, con caserme, depositi per le armi, mulini a vento, officine per la riparazione dei carri e per la costruzione dei costruzione dei cannoni, oltre naturalmente alle stalle, alle prigioni, ed a una cappella, per la cura delle anime dei soldati, quindi tanta roba da restaurare.
E' possibile fare una bella passeggiata tutta intorno, ed ammirare i rampicanti che, purtroppo, hanno quasi sgretolato le antiche mura. Ma che dire? ormai fanno parte di esse.
La Fortezza, dedicata a san Martino, fu fatta costruire da Cosimo I°, nel 1569 e fu dismessa da Leopoldo I° di Lorena nel 1784, giudicandola inutile (ed a quel tempo era vero), perchè erano cessati i pericoli di invasione dal nord.
La fortezza fu destinata ad uso agricolo, e molti contadini della zona si trasferirono lì per abitarci e ricoverarci gli attrezzi agricoli.
Forse è stato proprio grazie a questo utilizzo, che non è una diventata una cava a cielo aperto, e che si è abbastanza ben conservata, nonostante l'incuria di secoli.
Ci si arriva dal centro del borgo, tramite un facile sentiero sterrato.
Ci si sposta di poco, e si va a Vicchio per trovare quello che adesso si chiama il ponte della Ragnaia, ma è conosciuto da tutti come il Ponte di Cimabue.
Si tratta di un ponte rinascimentale, costruito sui resti di un ponte medioevale, sperso nella campagna mugellana: per vederlo bisogna uscire dalla SS67 tosco romagnola e fare piccola deviazione.
Ci si trova in aperta campagna ed il piccolo ponte è quello dove, secondo la leggenda, il pittore Cimabue, incontrò il giovane Giotto, nativo di quelle parti.
La storia è arcinota: Cimabue se ne andava per i fatti suoi, quando notò un pastorello, che con arte sopraffina, ritraeva una delle sue pecore su una lastra di ardesia. Lo volle a tutti i costi nella sua bottega, e aveva le sue buone ragioni: quel pastorello era Giotto di Bondone.
La leggenda è questa, e essendo tale non è mai stata provata.
Il ponte potrebbe essere questo come altri cento nella zona - anche se c'è tanto di targa scolpita nella pietra - ma il luogo vale la visita.
E' uno di quegli scorci che il Mugello è ancora capace di regalare: una campagna soave, toccata dall'uomo quel tanto da disegnarla a sua immagine, ma non da deturparla.
Non si fa fatica nè ad immaginarsi il fiero artista, che cavalcava verso l'appennino, nè il piccolo pastorello che ritraeva la sua pecorella con mezzi di fortuna, perchè certamente qui il paesaggio è cambiato di poco: certo, la strada non era asfaltata, ma il ruscello che passa sotto il ponte cantava nello stesso modo, ed era limpido e brillante cinquecento anni fa come adesso.
La casa colonica non era vistosamente imbiancata di giallo, ma scommetteremmo che era già lì, e il filare di pioppi c'era già. Sicuramente non erano gli stessi alberi che ondeggiavano argentei al vento, ma nello stesso luogo sicuramente sì.
Ed i cavalli che pascolavano nel recinto, erano certamente dei parenti alla lontana di quelli che, cinquecento anni fa, pascolavano nello stesso recinto.
Si ha una leggera vertigine; e solamente il telecomando della macchina, facendo accendere le quattro frecce, ci riporta alla realtà.
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Pochi invece sanno che a San Piero a Sieve esiste una fortezza Medicea.
Noi, per esempio, non lo sapevamo.
Ed invece è abbastanza vicina al piccolo e grazioso centro storico della cittadina, da poco unita nello stesso comune con la vicina Scarperia.
E' situata su una piccola altura, anzi, vorremmo dire che "è" la piccola altura, perchè si tratta probabilmente della più grande fortezza medicea che sia mai stata costruita, e l'esterno è quello che conosciamo bene, e che abbiamo visto in tante altre fortezze medicee della zona, tutte opera del Buontalenti, del resto: terrapieni coperti di laterizio rosso, i baluardi (noi ne abbiamo contati nove) ancora assai imponenti, due grandi portoni uno che guarda verso Firenze ed uno che guarda verso Bologna.
All'interno non è attualmente visitabile, perchè secoli di incuria sono difficili da recuperare in pochi anni di restauri; inoltre c'è una vera e propria cittadella, con caserme, depositi per le armi, mulini a vento, officine per la riparazione dei carri e per la costruzione dei costruzione dei cannoni, oltre naturalmente alle stalle, alle prigioni, ed a una cappella, per la cura delle anime dei soldati, quindi tanta roba da restaurare.
E' possibile fare una bella passeggiata tutta intorno, ed ammirare i rampicanti che, purtroppo, hanno quasi sgretolato le antiche mura. Ma che dire? ormai fanno parte di esse.
La Fortezza, dedicata a san Martino, fu fatta costruire da Cosimo I°, nel 1569 e fu dismessa da Leopoldo I° di Lorena nel 1784, giudicandola inutile (ed a quel tempo era vero), perchè erano cessati i pericoli di invasione dal nord.
La fortezza fu destinata ad uso agricolo, e molti contadini della zona si trasferirono lì per abitarci e ricoverarci gli attrezzi agricoli.
Forse è stato proprio grazie a questo utilizzo, che non è una diventata una cava a cielo aperto, e che si è abbastanza ben conservata, nonostante l'incuria di secoli.
Ci si arriva dal centro del borgo, tramite un facile sentiero sterrato.
Ci si sposta di poco, e si va a Vicchio per trovare quello che adesso si chiama il ponte della Ragnaia, ma è conosciuto da tutti come il Ponte di Cimabue.
Si tratta di un ponte rinascimentale, costruito sui resti di un ponte medioevale, sperso nella campagna mugellana: per vederlo bisogna uscire dalla SS67 tosco romagnola e fare piccola deviazione.
Ci si trova in aperta campagna ed il piccolo ponte è quello dove, secondo la leggenda, il pittore Cimabue, incontrò il giovane Giotto, nativo di quelle parti.
La storia è arcinota: Cimabue se ne andava per i fatti suoi, quando notò un pastorello, che con arte sopraffina, ritraeva una delle sue pecore su una lastra di ardesia. Lo volle a tutti i costi nella sua bottega, e aveva le sue buone ragioni: quel pastorello era Giotto di Bondone.
La leggenda è questa, e essendo tale non è mai stata provata.
Il ponte potrebbe essere questo come altri cento nella zona - anche se c'è tanto di targa scolpita nella pietra - ma il luogo vale la visita.
E' uno di quegli scorci che il Mugello è ancora capace di regalare: una campagna soave, toccata dall'uomo quel tanto da disegnarla a sua immagine, ma non da deturparla.
Non si fa fatica nè ad immaginarsi il fiero artista, che cavalcava verso l'appennino, nè il piccolo pastorello che ritraeva la sua pecorella con mezzi di fortuna, perchè certamente qui il paesaggio è cambiato di poco: certo, la strada non era asfaltata, ma il ruscello che passa sotto il ponte cantava nello stesso modo, ed era limpido e brillante cinquecento anni fa come adesso.
La casa colonica non era vistosamente imbiancata di giallo, ma scommetteremmo che era già lì, e il filare di pioppi c'era già. Sicuramente non erano gli stessi alberi che ondeggiavano argentei al vento, ma nello stesso luogo sicuramente sì.
Ed i cavalli che pascolavano nel recinto, erano certamente dei parenti alla lontana di quelli che, cinquecento anni fa, pascolavano nello stesso recinto.
Si ha una leggera vertigine; e solamente il telecomando della macchina, facendo accendere le quattro frecce, ci riporta alla realtà.
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domenica 15 ottobre 2017
IL PARCO DI VILLA MONTALVO
Villa Ramirez de Montalvo, ecco il nome esatto dell'antica villa alle porte di Campi Bisenzio, e del cui parco vogliamo parlare.
Ecco, in due righe, abbiamo creato i presupposti per una serie di incisi, perchè non si tratta di un parco, ma di due parchi ben distinti, e Ramirez de Montalvo è solo uno dei tanti proprietari di questa avita costruzione, anche se in zona è conosciuta con questo nome.
Allora partiamo dai Ramirez de Montalvo, una nobile famiglia spagnola che arrivò a Firenze nel 1539 al seguito di Eleonora da Toledo, moglie di Cosimo I° de' Medici.
Qualche anno dopo, Don Antonio Ramirez acquistò questa villa - che era conosciuta come Villa alla Marina, per la sua vicinanza al torrente Marina, proprio alla confluenza con il fiume Bisenzio - da un componente di un ramo secondario della famiglia Medici, che a sua volta l'aveva avuta dalla famiglia Spinelli, che l'aveva acquistata dai Del Sodo, che l'avevano comprata dai Tornabuoni, che nella metà del duecento avevano fortificato una costruzione già esistente.
La villa appartenne ai Ramirez de Montalvo per circa trecento anni, senz'altro i migliori per la proprietà perchè i Montalvo la ampliarono ed abbellirono.
Poi, come succede in tutte le famiglie, ci furono personaggi che l'amarono di più ed altri che l'amarono di meno. Nel XVII secolo il vicino torrente Marina esondò più volte, provocando molti seri danni, e certamente questo non favorì i proprietari dell'epoca.
Tuttavia, intorno al 1760, la ereditò un certo Don Ferdinando che invece la fece restaurare ed ampliare, l'interno della villa venne ammodernato ed abbellito, ed il parco migliorato con molte piante di pregio e belle statue.
Lungo il famigerato torrente Marina è inoltre ripristinata - e anzi migliorata - una macchia boschiva che diventa una vera e propria ragnaia.
(Per chi non lo sapesse, la ragnaia era una caratteristica dei giardini all'italiana; in sostanza si trattava di un boschetto molto fitto, di solito attraversato da un ruscello, dove si potevano stendere delle reti per catturare gli uccelli, che somigliavano a delle ragnatele - da cui il nome - e che con il tempo diventarono dei luoghi dove prendere il fresco in estate)
Questa ragnaia diventò molto famosa tra i nobili dell'epoca, ed era molto ben frequentata da tutti i nobili fiorentini.
La villa rimase di proprietà dei Ramirez sino al 1838, quando l'ultima discendente della famiglia, Giulia, sposò il giovane ingegnere lucchese Felice Matteucci, inventore con Eugenio Barsanti del motore a combustione interna!
Felice Matteucci ci ha vissuto a lungo ed è sepolto qui, nella cappella interna alla villa.
Nel 1921 i suoi eredi l'hanno venduta al fattore della villa, che incrementò le attività agricole che già erano legate a questa villa (e già, sennò lui che ci stava a fare, sino a quel momento?...), ma durante il periodo bellico l'ha rivenduta ad un industriale milanese, un certo Walter Pauly, che l'ha tenuta sino ai primi anni '70, quando fu ceduta ad una multinazionale.
A questo punto era in totale rovina.
Nel 1984 fu comprata dal Comune di Campi Bisenzio, nel cui territorio comunale la villa sorge.
Nel parco della villa ci sono alcuni splendidi alberi monumentali, tra cui un gigantesco platano ultracentenario ed una magnolia, famosa in tutta la zona.
Il restauro è stato lungo e meticoloso, ed è terminato alla soglia del 2000.
Adesso la villa ospita la biblioteca comunale, l'archivio storico e dei locali, che vengono messi a disposizione per manifestazioni di vario interesse.
L'altro parco è quello chiamato "Parco Urbano di Villa Montalvo" e sorge nei terreni adiacenti la villa, nei quali si svolse una festa nazionale dell'Unità, nel 1988.
L'allora Partito Comunista Italiano, si impegnò in una sottoscrizione, detta "Compra un Parco", per cui tutti i tesserati, e tutti i partecipanti la festa, potevano acquistare delle quote con le quali si sarebbe poi provveduto all'acquisto dei terreni ed all'allestimento del parco pubblico, che il partito intendeva lasciare alla zona, quale compenso all'ospitalità ricevuta per l'organizzazione della Festa Nazionale.
Purtroppo l'acquisto delle quote non andò bene come si era immaginato, ed il Comune di Campi Bisenzio provvide ad integrare - non senza polemiche - quanto mancava per l'acquisto della zona, operazione che si concluse solo nel 1995.
La zona - compresa tra la A11, via di Limite, il torrente Marina e la circonvallazione nord di Campi Bisenzio - fu allestita con numerose piante, arredo urbano, tracciatura di vialetti, sistemazione di ponti sui ruscelli che attraversano l'area, e un'area gioco per bambini e fu terminata solo nel 2001.
Una gestazione lunga e faticosa, ma adesso il risultata appaga gli occhi e l'animo e passeggiare qui è piacevole ed interessante, perchè si è immersi nel verde ed al sicuro, ma si possono vedere partire ed atterrare gli aerei dall'aereoporto di Peretola, e le macchine che sfrecciano (se non c'è la coda, beninteso) sull'autostrada A11.
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Felice Matteucci ci ha vissuto a lungo ed è sepolto qui, nella cappella interna alla villa.
Nel 1921 i suoi eredi l'hanno venduta al fattore della villa, che incrementò le attività agricole che già erano legate a questa villa (e già, sennò lui che ci stava a fare, sino a quel momento?...), ma durante il periodo bellico l'ha rivenduta ad un industriale milanese, un certo Walter Pauly, che l'ha tenuta sino ai primi anni '70, quando fu ceduta ad una multinazionale.
A questo punto era in totale rovina.
Nel 1984 fu comprata dal Comune di Campi Bisenzio, nel cui territorio comunale la villa sorge.
Nel parco della villa ci sono alcuni splendidi alberi monumentali, tra cui un gigantesco platano ultracentenario ed una magnolia, famosa in tutta la zona.
Il restauro è stato lungo e meticoloso, ed è terminato alla soglia del 2000.
Adesso la villa ospita la biblioteca comunale, l'archivio storico e dei locali, che vengono messi a disposizione per manifestazioni di vario interesse.
L'altro parco è quello chiamato "Parco Urbano di Villa Montalvo" e sorge nei terreni adiacenti la villa, nei quali si svolse una festa nazionale dell'Unità, nel 1988.
L'allora Partito Comunista Italiano, si impegnò in una sottoscrizione, detta "Compra un Parco", per cui tutti i tesserati, e tutti i partecipanti la festa, potevano acquistare delle quote con le quali si sarebbe poi provveduto all'acquisto dei terreni ed all'allestimento del parco pubblico, che il partito intendeva lasciare alla zona, quale compenso all'ospitalità ricevuta per l'organizzazione della Festa Nazionale.
Purtroppo l'acquisto delle quote non andò bene come si era immaginato, ed il Comune di Campi Bisenzio provvide ad integrare - non senza polemiche - quanto mancava per l'acquisto della zona, operazione che si concluse solo nel 1995.
La zona - compresa tra la A11, via di Limite, il torrente Marina e la circonvallazione nord di Campi Bisenzio - fu allestita con numerose piante, arredo urbano, tracciatura di vialetti, sistemazione di ponti sui ruscelli che attraversano l'area, e un'area gioco per bambini e fu terminata solo nel 2001.
Una gestazione lunga e faticosa, ma adesso il risultata appaga gli occhi e l'animo e passeggiare qui è piacevole ed interessante, perchè si è immersi nel verde ed al sicuro, ma si possono vedere partire ed atterrare gli aerei dall'aereoporto di Peretola, e le macchine che sfrecciano (se non c'è la coda, beninteso) sull'autostrada A11.
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